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Mercoledì 16 Novembre 2011
«La chiamerò Farah. Significa felicità»
Farida viene dal Marocco, è in Italia da dieci anni e aspetta una bambina
Farida è bella, con il suo pancione, l’espressione serena e le mani che si muovono mentre racconta la sua storia seduta su una panchina di marmo. Trentasei anni e il viso velato, ha ripercorso con noi la sua vita alla fermata del pullman che l’avrebbe riportata a casa, trasmettendoci una grande tranquillità e un insolito senso di leggerezza, simpaticamente in contrasto con la sua mole di futura mamma.Partita per seguire il marito in Italia alla ricerca di un futuro migliore, Farida si è incontrata con la nostra cultura e ha tirato le sue somme. L’Italia le piace, sa per certo che i suoi figli resteranno qui, ma in cuor suo rimpiange il Marocco, dove le piccole abitudini quotidiane e i gesti di una vita erano un punto di riferimento che la facevano sentire in pace.«Poco importa, va bene anche qui»: è con questo spirito che Farida affronta il presente. Il suo non è accontentarsi; almeno, non è questa la sensazione che ascoltandola si ricava. Al contrario, sembra piuttosto un saper accettare la vita per quello che è, senza opporsi, anzi apprezzando con semplicità ciò che di bello ogni giorno ha da offrire.
Buongiorno, aspetta il pullman?«Sì, devo tornare a casa».
Vedo che aspetta anche un bambino.«Si nota, vero? È una femmina. Nascerà a dicembre. Manca pochissimo».
È la sua prima figlia?«Ho due maschi di cinque e otto anni. Lei decisamente non era nei nostri progetti, ma adesso che c’è sono felicissima. L’unico problema è che abbiamo dovuto ricomprare tutto. Pochi mesi prima di restare incinta mi ero decisa a dare via il lettino, il seggiolone, la culla, il passeggino, il fasciatoio, i vestitini e qualsiasi cosa avesse a che fare con un bambino. “Tanto a me non serve più”, mi ero detta. E invece la vita ci sconvolge sempre i piani. Comunque, oggi sono andata a comprare solo qualche tutina. È un bel costo ripartire da zero».
Vedo che però sorride.«Come le dicevo sono molto felice. Poi, con due maschi, pensare di avere una bambina è ancora più bello».
Cosa ne dici, possiamo darci del tu?«Va bene, nessun problema, anch’io preferisco».
Ho una proposta da farti: ti andrebbe di raccontarmi la tua storia per il Cittadino?«Ma cosa devo fare? Come vedi non parlo l’italiano benissimo. Non vorerei dire cavolate. Sai che figura?».
A parte che mi sembra che tu conosca l’italiano abbastanza bene, non c’è il minimo rischio che tu possa dire “cavolate” raccontandomi la tua storia. Te la senti?«Va bene».
Continuiamo a chiacchiere come abbiamo fatto finora, vedrai che è più facile di quel che credi. Come ti chiami, innanzitutto?«Farida».
È un bel nome.«Grazie, anche il tuo è bello».
Grazie. Sei marocchina?«Sono marocchina, sì, vengo da Marrakech. La conosci?».
L’ho vista una volta, è bellissima.«Anche secondo me. Sai che bella fortuna? In Marocco ci sono i miei genitori, le mie due sorelle e mio fratello, e da un po’ di tempo a questa parte i voli per Marrakech costano molto poco, a differenza di quanto accade per il resto del Marocco. Sai, ultimamente c’è tanta gente che dall’Europa fa un week-end a Marrakech. Così, approfittando delle tariffe agevolate, ogni tanto torno a casa, con tutta la famiglia. Ovviamente adesso per un po’ me ne starò tranquilla, ma non mi sento più tanto lontana dalla mia famiglia come invece accadeva qualche anno fa».
Ogni quanto torni in patria?«Una volta all’anno. In questo modo i miei figli possono mantenere il contatto con le loro radici, possono stare con i nonni, sentire i loro racconti, giocare con i cugini, cenare con gli zii. È importante non recidere il legame con le proprie origini».
Vero. Da quando tempo vivi in Italia?«Ormai sono dieci anni. Un bel po’, se ci penso. Diciamo che adesso è questa la mia casa, anche se ogni volta che torno in patria ho un tuffo al cuore. Qualche lacrima ci scappa sempre».
Cosa ti manca?«Ogni posto ha i suoi pro e i suoi contro. Qui di bello c’è che con il lavoro di mio marito stiamo bene tutti, che anche io ho potuto portare a casa uno stipendio».
Ora non più?«No, siccome sono incinta non mi hanno rinnovato il contratto».
Mi dispiace. «Non ti devi dispiacere, non avrei avuto modo di lavorare e occuparmi di tre bambini, lo sapevo che questo evento avrebbe cambiato la mia vita. Ma almeno per un po’ ho provato cosa significhi portare a casa uno stipendio».
Cosa significa per te?«Mi ha fatto sentire benissimo. Lavorare è duro, io facevo l’operaia in una ditta che produce formaggi e questo significa turni, molte ore in piedi e tanta fatica. Ma poi arrivava lo stipendio ed era un sogno. In Marocco non sono poi tante le donne che lavorano».
Eh già.«Comunque, tornando alle cose belle di questo Paese, ci sono anche le strade ordinate, le belle auto, la possibilità di avere diversi elettrodomestici, insomma il benessere, nonostante la crisi».
E da voi cosa c’è di bello?«Le chiacchiere al forno dove si fa il pane, i souk, i nostri mercati, dove fare la spesa ogni giorno, le mille spezie per cucinare, la mia cultura, la mia famiglia. Qui tutto è bello e ordinato, da noi tutto è “familiare”, ovviamente per un marocchino. Ecco dove per me sta la differenza fra il Marocco e l’Italia».
Perché sei partita?«Per seguire mio marito in questa sua avventura».
Non aveva un lavoro in Marocco?«Sì, ma era giovane e non si voleva accontentare. E devo ammettere che ha avuto ragione: diceva che la sua partenza avrebbe cambiato le nostre vite, e così è stato. I miei figli sono nati tutti in Italia, parlano due lingue, sono perfettamente integrati e in futuro potranno decidere se tornare in Marocco o restare qui, anche se credo già di sapere come andrà. Comunque, abbiamo mille possibilità, non ci manca nulla. In Marocco non sarebbe stato così, almeno su questo non ho dubbi».
Ti è dispiaciuto di dover lasciare la tua famiglia e la tua gente?«Mi chiedi se mi è dispiaciuto? Alla notizia ho pianto per un mese. A me la mia terra piace molto. Insomma, non avevo la benché minima intenzione di andarmene. Invece, eccomi qua. Ma va bene anche così, non c’è problema, non per me».
Che lavoro fa tuo marito?«Il muratore. In Marocco faceva il cameriere in un ristorante, molte ore in piedi per pochi soldi alla fine del mese. Qui ha imparato un mestiere, duro, durissimo, ma che gli permette di portare a casa uno stipendio decente. Adesso c’è la crisi che si sta facendo sentire non poco, ma riusciamo ad andare avanti e questo ci basta».
Mi sembri serena, soddisfatta della tua vita.«Mai mi sarei aspettata tanto dalla mia vita, mai avrei immaginato un cambiamento così radicale. Ogni tanto, è vero, mi sento sola, ma è il prezzo da pagare per avere un po’ di più. E poi, dai, ho due bambini bellissimi, una bimba in arrivo e una famiglia di cui vado fiera. Ho di che essere soddisfatta, non credi?».
Credo, credo. Un’ultima domanda: cosa vedi nel tuo futuro?«Vedo un bel periodo, un momento speciale, con una frugoletta fra le mie braccia. Sai come la chiamerò? Farah. Significa felicità. È un augurio per lei ed è ciò che porterà a tutti noi. Per il resto, non guardo oltre: mi basta pensare ai prossimi mesi e mi vien voglia di sorridere».
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