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Mercoledì 15 Giugno 2011
Kiran, arrivata a Lodi dal Bangladesh
Ha 24 anni, ha seguito il marito che fa il mungitore in una cascina
Alta, con i capelli lunghi e neri, e i denti bianchissimi a valorizzarle il sorriso, Kiran è una bella ragazza di ventiquattro anni che si è ritrovata suo malgrado lontana dal mondo che conosceva e amava.
Come molte mogli di emigrati, infatti, Kiran non ha scelto di trasferirsi in Italia; al contrario, ha dovuto fare le valigie su imposizione del marito, attraversando un periodo particolarmente difficile della sua vita e provando nell’anima una profonda amarezza, che ancora oggi, tre anni dopo il suo arrivo, traspare da ogni parola.
A parte il marito e un’amica fidata, forse compagna di sventure in questa “emigrazione forzata”, Kiran in Italia non ha nessuno e le sue relazioni sono talmente ridotte all’osso che questa splendida ragazza riesce a malapena a mettere insieme quattro parole in italiano. Il suo è un isolamento culturale e sociale che fa pensare come dietro a una porta o una finestra di una via lodigiana possa esserci un angolo di Bangladesh, Marocco, Romania o Cina, con persone che pur vivendoci accanto, in realtà è come se non avessero mai lasciato il loro Paese d’origine.
Kiran è una di queste persone e, se solo potesse, tornerebbe a casa anche domani.
Buongiorno Kiran, da dove vieni?
«Vengo dal Bangladesh, dove ho vissuto fino a tre anni fa con i miei genitori e mio fratello minore. Mi manca moltissimo il mio Paese, sai? Da quando mi trovo qui mi sembra di non capire più chi sono».
In che senso?
«Nel senso che tutta la mia vita è cambiata radicalmente. Nel mio Paese, sebbene la mia famiglia stesse abbastanza male dal punto di vista economico, almeno avevo le mie certezze: le amiche con cui incontrarmi per fare la spesa o scambiare due chiacchiere, i negozi di fiducia, la mia famiglia sempre pronta a darmi una mano, le abitudini di ogni giorno. Per non parlare poi della nostra cucina. Qui non c’è niente di tutto quello che ha rappresentato un punto di riferimento per me e su cui ho basato la mia vita. A parte mio marito, ovviamente».
Ti trovi qui per tuo marito?
«Esatto. Lui ha scelto di venire in Italia circa otto anni fa. Come ti accennavo, dal punto di vista economico la mia gente non se la passa particolarmente bene. È difficile sbarcare il lunario, è difficile costruirsi una famiglia e pensare al futuro. Chi può leva le tende, perché per migliorare ci vuole davvero poco. Così ha fatto mio marito, insieme al fratello maggiore. All’epoca nemmeno ci conoscevamo».
Di cosa si occupava tuo marito?
«Faceva il meccanico. Il lavoro non mancava, anche perché da noi le auto, a differenza di quanto vedo qui, sono tutte piuttosto vecchiotte e “bisognose d’aiuto”. Ma, almeno così mi diceva, con le entrate di un mese mai e poi mai avrebbe potuto mantenere una famiglia».
Da voi le donne non lavorano?
«Qualcuna sì, ma l’impostazione della famiglia è nella stragrande maggioranza dei casi di tipo tradizionale: l’uomo lavora e la donna si occupa della casa e dei figli. Se l’uomo non riesce a mantenere una famiglia, non è un vero uomo. In realtà a ben vedere sono pochi gli uomini che ce la fanno davvero a mantenere una famiglia. Così nelle case si fa la fame».
Tu hai un lavoro in Italia?
«No, e mi dispiace, anche perché in Bangladesh facevo la commessa in un negozio ed ero fiera del mio lavoro. Sentirsi indipendenti dal punto di vista economico è una bella conquista. Ma probabilmente in Italia non lavorerò mai: primo perché è davvero arduo farsi assumere da qualcuno, anche solo per le pulizie; secondo perché mio marito non vuole, e quando lui decide non si discute».
Come vi siete incontrati?
«Ogni due anni d’estate tornava in patria per riabbracciare la madre e i fratelli. Abitavamo nello stesso quartiere e ci incrociavamo spesso. Ci salutavamo, ogni tanto scambiavamo qualche parola, ma nulla di più. Poi le nostre famiglie si sono incontrate e nel giro di un paio d’anni siamo convolati a nozze. Un matrimonio indimenticabile con una festa bellissima».
Siete ripartiti subito per l’Italia?
«No, io sono rimasta a casa con la mia famiglia per un anno e mezzo, mentre lui ha cercato la casa e ha fatto la richiesta per il ricongiungimento. In fondo in fondo, all’inizio non mi sembrava nemmeno di essermi sposata, visto che tutto era come prima. Ma provavo una forte amarezza per il fatto di dover partire e venire in Italia. Le mia amiche mi dicevano che ero fortunata, che mi invidiavano. Ma non sapevano a cosa sarei andata in contro. Nemmeno io lo sapevo».
A cosa?
«Alla solitudine. Mio marito lavora dalla mattina alla sera e fino a poco tempo fa io me ne stavo in casa tutto il giorno a guardare la tv. Fatta la spesa, sistemato l’appartamento e ripulito tutto, cos’altro potevo fare? Non conoscevo nessuno. E lui a ripetermi: “Esci ogni tanto, fai due chiacchiere”. Due chiacchiere con chi? Con il panettiere? Mi sono sentita molto isolata fino a poco tempo fa, quando ho incontrato una connazionale nella mia stessa situazione. Adesso usciamo ogni mattina per fare le commissioni insieme e non mi sembra vero. Siamo molto unite, quasi sorelle».
Tuo marito di cosa si occupa?
«All’inizio faceva il muratore, ma non gli piaceva proprio quel lavoro: tutte le volte che ne parla si vede che soffriva. All’epoca, però, non c’era altro all’orizzonte e lui sapeva anche meglio di me che quando si decide di ricominciare tutto daccapo bisogna per forza di cose adattarsi. Poi, circa tre anni dopo il suo arrivo, tramite dei conoscenti è riuscito a trovare un posto in una cascina, dove fa il mungitore. Anche se gli orari sono assurdi, dice di rilassarsi quando lavora. Mi sembra contento».
E tu sei contenta?
«Io non ho deciso di trasferirmi qui. Sembra una riflessione banale, ma se scegli un percorso di vita sei disposto ad affrontare le sfide, se invece ti viene imposto trovi mille cose che non vanno. Io avrei preferito continuare a fare la commessa e ad avere le mie amicizie e la mia famiglia accanto; purtroppo non mi è stato dato modo di decidere. Quindi la tua domanda mi mette un po’ in crisi, perché devo necessariamente risponderti che non sono contenta e che rimpiango molto la mia vita precedente».
Dicevi di vivere in Italia da tre anni. Come mai per te è ancora così difficile parlare l’italiano?
«Perché lo utilizzo solo per fare la spesa. Per il resto tutto il mio mondo, anche qui in Italia, parla la mia lingua. Dalla televisione alla radio: la parabola mi fa sentire a casa».
Cosa ne pensi dell’Italia?
«Sarò sincera: ci sono degli aspetti di questo Paese che mi piacciono moltissimo. Penso all’ordine della città, alle strade pulite, alle vetrine luminose e a tutti i prodotti che si trovano nei negozi. Penso anche agli stipendi e alla cortesia della gente. Ma questo non è il mio Paese, punto e basta, e quindi non è qui che voglio stare, anche perché non ricevo molto in cambio».
Non ne hai mai parlato con tuo marito?
«Almeno mille volte, ma lui dice che non ci sono alternative: “Qui abbiamo il lavoro e i soldi, in Bangladesh faremmo la fame”. “È vero, ma staremmo meglio”, gli rispondo spesso. E lui chiude con un “Non se ne parla”. Sono qui, ormai la mia vita è qui, devo abituarmici. Prima o poi ci riuscirò».
Non avete intenzione di ritornare a vivere nel vostro Paese mai più?
«Mio marito dice di no, io ci spero. Poi magari quando avremo dei figli cambierò idea, o magari cambierà idea lui, non so. Fatto sta che in tre anni sono tornata a casa solo una volta. Non ho parole per descrivere quanto sia stato straziante ripartire».
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