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Martedì 02 Agosto 2011
Il triste “secondo tempo” di Dimitri
Aveva un lavoro fisso e una famiglia felice, poi la sua ditta è fallita...
Ci sono vite tristi, che non conoscono un angolino di luce, e altre con incredibili alti e bassi, momenti di gioia intensa, colpi di fortuna, attimi felici, seguiti poi da tracolli ingenti, mancanza di speranze ed eventi che rimandano direttamente al punto di partenza. Le prime sono monotone, toccanti ma comprensibili: quante volte abbiamo sentito di persone che si trovano in situazioni stagnanti, da cui è impossibile uscire.Le seconde, invece, contrappongono alla gioia un dolore profondo: il tonfo è più forte, se si cade dall’alto. Certo, queste persone sembrano meno sfortunate rispetto alle prime, ma forse proprio dal confronto con la propria «vita precedente, il primo tempo», come la definisce Dimitri, nasce la sofferenza più grande.Sentire un uomo imponente e forzuto come Dimitri, 42 anni di cui venti passati in Italia, raccontare con tanta desolazione e sconforto la propria vita, non lascia indifferenti. Dimitri è ripartito da zero. Stavolta però con l’amarezza di non poter fare abbastanza per i propri figli.
Buongiorno, posso rubarle qualche minuto? «Per cosa?»
Per conoscere la storia della sua vita e pubblicarla sul Cittadino... «Guarda, non è proprio una bella storia da conoscere, la mia. Vorrei non conoscerla nemmeno io, pensa un po’».
Addirittura? «Addirittura, sì. La mia vita è un fallimento, un cerchio: sono ritornato al punto di partenza, o quasi. Ma adesso non sono più da solo, ho due figli da mantenere, e come faccio? Io e mia moglie siamo quasi impazziti cercando una soluzione».
Vorrebbe spiegarmi con calma cosa è accaduto? «Va bene, ma ribadisco che è una storia senza senso, brutta, squallida. Pensa un po’, è la mia vita e ne parlo così».
Da dove viene? «Albania: sono uno degli albanesi arrivati sul gommone anni fa, nei primi anni Novanta, quando praticamente eravamo gli unici stranieri in Italia. Avevo 23 anni, allora, non un soldo in tasca, ma nella testa mille sogni. Ero stato coraggioso, sai? Avevo attraversato il mare senza nemmeno saper nuotare, su un gommone instabile, come ti dicevo. Ho avuto un paura terribile, ma guai, nessuno doveva accorgersene. Io sono fatto così, sono orgoglioso, ci tengo».
Perché era partito? «Perché partivano tutti e io non volevo essere da meno. Mi spiego meglio: non volevo fare la fine di mio fratello maggiore, con la schiena spaccata per un pugno di soldi. Lavorava come un mulo e guadagnava pochissimo. Allora, per mantenere moglie e figlio, aveva anche il secondo lavoro. Mi faceva pena e rabbia. E intanto pensavo: “Io non finirò mai così”. Sentivo di tanta gente che in Italia “riusciva” e si sistemava. “Perché non tu, Dimitri?”, mi dicevo. E alla fine sono partito».
Come ha fatto con i soldi? «Classico, un prestito da un tizio che poi ha rivoluto indietro quasi il doppio, ma soprassediamo. Mi giocavo tutto, la mia vita, il mio futuro, su quel gommone in fuga per l’Italia: io ero Dimitri, portavo le mie braccia e la mia voglia di fare, dall’altra parte del mare c’erano la speranza e la fortuna, afferrarle o niente. Le ho afferrate, per le corna, almeno per un po’».
Come ha fatto? «Ho iniziato lavorando nei campi, con la raccolta di frutta e verdura. Eravamo in pochi, con un trattamento non proprio da albergo a cinque stelle, ma ci stavo dentro: guadagnavo sempre di più di mio fratello, e per me questo già significava aver vinto. La sera la schiena era a pezzi, una birra e subito a letto, ma andava bene così, ripeto. Finché un giorno».
Cosa? «Un amico mi dice: “Che vita è questa? Andiamo al Nord e proviamo a fare altro”. Io da perdere non avevo proprio nulla, visto che ormai anche il debito era saldato. “Andiamo”, è stata la mia risposta. Due settimane dopo eravamo su un treno diretto a Milano. Lì velocemente molto è cambiato».
In che senso? «Te la ricordi la Milano degli anni Novanta? Era tutta un cantiere, idem l’hinterland. Cercavano muratori come il pane e io, sebbene non avessi esperienza, sicuramente ispiravo fiducia, considerata la mia stazza. In capo a un mese avevo un lavoro a tempo determinato; poi, dopo qualche tempo, il lavoro a tempo indeterminato, il sogno di molta gente».
Era felice? «Ero felice? Volavo su una nuvola d’oro. Vivevo con gli amici, mandavo a casa parecchi soldi, ne mettevo da parte altri, potevo permettermi cose che da noi erano un lusso inimmaginabile, come i jeans di marca e lo scooter. Non mi mancava niente, avevo tutto ciò che un ragazzo può desiderare, tranne una cosa».
Cosa? «Una famiglia. Ma quando hai la stabilità economica anche costruirsi una famiglia è un sogno realizzabile. C’era una ragazza, già prima che partissi, con cui mi trovavo bene. Ci vedevamo spesso, scambiavamo qualche chiacchiera, ma mai mi ero azzardato a chiederle di uscire prima della mia partenza. La prima volta che sono rientrato in Albania ho subito posto rimedio a questa mancanza. Nel giro di due anni eravamo marito e moglie. Oggi abbiamo due figli, di 17 e 14 anni».
Ma la sua è una storia bella, non triste... «Qui finisce il primo tempo, e inizia il secondo. Lo vuoi conoscere?».
Cosa intende? «Il primo tempo del film, quello allegro, finisce così, con una casa, un lavoro a tempo indeterminato, due figli, una vita perfetta. Pausa popcorn, rientri ed ecco il secondo tempo: non riconosci più la storia».
Prego, allora, continui a raccontare... «Non navigavamo nell’oro, ma cavoli, eravamo contenti. Mia moglie si occupava della casa e dei ragazzi, io del lavoro, se c’erano spese particolari si risparmiava un po’; le solite cose, insomma. Poi il lavoro incomincia a scarseggiare, la cassaintegrazione è il passo successivo, e quindi è la volta del fallimento della ditta. Addio lavoro. E cosa fa un padre di famiglia senza uno stipendio?».
Cosa fa? «Si dispera. Per un po’ ho continuato a fare il muratore in nero, poi ho messo gli annunci per i piccoli lavori in casa, ma non bastava. Quando mia moglie una sera mi ha detto: “Mi cerco un lavoro”, mi è crollato il mondo addosso. Non valevo più nulla».
Ma non è vero. Scusi se la contraddico, ma non sono d’accordo... «E invece è vero. Ha iniziato facendo la donna delle pulizie a ore, e intanto io continuavo con i lavoretti, poi si è ammalata, e per qualche mese tirare avanti è stato davvero difficile: avere due figli in età adolescenziale significa sostenere parecchie spese e senza entrate è dura, credimi. Comunque, una volta rientrata al lavoro non ha resistito e ha accettato un’offerta che per me è stata l’ultima pugnalata nel cuore».
Ossia? «Un posto da badante, ventiquattro ore su ventiquattro, per guadagnare di più. Così i miei figli non hanno più la madre a casa e la sera a tavola regna la desolazione. Siamo una famiglia monca, per questa crisi. Ciliegina sulla torta, fra poco parto anch’io».
Dove va? «Riprendo con la raccolta della verdura, con un amico. Hai visto? Il secondo tempo non è bello come il primo. I miei figli staranno a Lodi da soli, nella nostra casa, io sarò al Sud, mia moglie in casa di un altro. Bel quadretto, non trovi?».
Mi dispiace moltissimo... «Anche a me. Ma questa è la vita, la mia “bellissima” vita. Raccontala, scrivi cosa è successo, che la gente sappia».
Grazie Dimitri. Buona fortuna. «Grazie, ne ho bisogno».
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