Antonio è un tipo tosto, un uomo tutto d’un pezzo che non ama piangersi addosso. In pochi anni è passato dall’indigenza alla stabilità economica, l’obiettivo di una vita. Poi, però, con la perdita del lavoro gli spauracchi di un tempo sono ritornati reali. Oggi l’unica alternativa a un impiego, ossia i cosiddetti “lavoretti”, rappresentano una vera e propria boccata d’ossigeno per lui e per tutta la sua famiglia. Se Antonio tiene duro è grazie alle prole del nonno: «La vita è come un’altalena. Non si ferma mai e ti porta prima in alto e poi in basso: salire per poi scendere, e di nuovo salire. L’importante, ovunque tu ti trovi, è non avere paura»
Buongiorno, vedo che sta fumando una sigaretta. Posso farle compagnia? «Prego. Serve da accendere?».
No, non fumo. Volevo solo chiederle se non ha voglia di raccontarmi la sua storia mentre sta qui fuori. È per Il Cittadino.«Ma sì, perché no? Cosa vuoi sapere?».
Le posso dare del tu?«Certo».
Come ti chiami?«Antonio. Vuoi sapere anche il cognome?».
No. Voglio solo conoscere la tua storia. «Fammi le domande e io rispondo».
Sai cosa facciamo? Stavolta niente domande, raccontami quello che vuoi.«In questo periodo c’è poco lavoro. Prima facevo il manovale in un cantiere, adesso mi sono dato ai lavoretti. Dopo il 6 gennaio devo tinteggiare una casa, da cima a fondo. È una bella villetta in Lodi, ho già visto di cosa si tratta. Sono contentissimo, perché mi permetterà di guadagnare qualcosa. Non poco, considerando che sono più di duecento metri quadri. Ce ne vorrebbero di più, di queste “commesse”. Sai da quanto tempo ho perso il lavoro?».
No.«Sette mesi. Per fortuna c’è mia moglie. Fa la badante ventiquattro ore su ventiquattro per una coppia di anziani. Ha solo due ore al giorno di pausa, dalle due alle quattro del pomeriggio, e mezza giornata libera il sabato. Con quello che guadagna dobbiamo tirare avanti in quattro: io, lei e le nostre due figlie. Ovviamente quando mi chiamano per un lavoretto siamo tutti felicissimi».
Capisco.«Sai, significa che possiamo concederci qualcosa di più, perché per il resto ci limitiamo all’indispensabile. Mia figlia minore è allergica a parecchie sostanze. La pediatra ci ha consigliato un prodotto per il bagno e i capelli che cosa otto euro e cinquanta. Mia moglie cerca di usarne pochissimo, ma ogni volta che c’è da comprarne un nuovo flacone ci sentiamo male. Ovviamente non abbiamo mai detto nulla alla bambina, per non farla sentire in colpa. Non so se mi spiego».
Certo, ti spieghi benissimo, è chiaro.«Con quello che guadagno con la tinteggiatura della villetta ho intenzione di rifornire la credenza di casa, comprare un nuovo giubbotto più pesante alle mie figlie, perché quello che hanno con questo freddo non è sufficiente, e comprare una bicicletta per la famiglia, così almeno abbiamo un mezzo di trasporto. Sai, la nostra vita è parecchio cambiata da quando ho perso il lavoro».
Davvero?«Altroché. Prima al confronto eravamo dei signori. Mia moglie aveva smesso di fare la badante e si occupava esclusivamente delle pulizie. Ogni sera era con noi. Pagavamo serenamente l’affitto e le bollette e ci restava in tasca qualcosa da mettere via per tornare in Perù o accontentare le bambine. Adesso niente: a fine mese è il vuoto totale. Le cose stanno cambiando anche qui, è inutile far finta di niente. Ma a casa non torno, e sai perché?».
Credo di saperlo, me lo ripetono tutti, da qualsiasi angolo del pianeta vengano: meglio qui in difficoltà che a casa in ginocchio.«Esattamente. In Perù non avrei chance. Tornare adesso significherebbe rinunciare definitivamente alla partita. Intendo la partita della vita».
Vuoi spiegarci meglio?«Tutto inizia nove anni fa. Le bambine erano piccolissime: due e tre anni. Io facevo l’operaio, mia moglie la sarta. Non avevamo abbastanza da mangiare. Intendo dire che c’erano sere in cui condividevamo un pezzo di pane e qualche patata, tanti saluti e grazie. Non potevamo andare avanti in quel modo: ci davamo da fare entrambi, ma i nostri stipendi facevano tristezza solo a immaginarli. Così, una sera mia moglie torna a casa con la faccia tesa. Hai presente quando hai una decisione da prendere e sai che comunque, qualsiasi cosa sceglierai, dovrai soffrire?».
E cerchi il minore dei mali.«Esattamente quella. Mia moglie aveva l’espressione da “minore dei mali” – ho imparato un nuovo modo di dire – e mi dice: “E se andassi in Italia?”. Credo che avrei avuto lo stesso sguardo pietrificato e basito se mi avesse chiesto: “E se andassi su Marte?”. Non avevamo mai, e dico mai, preso in considerazione l’ipotesi di una scelta del genere. Ma qui c’era sua cugina, badante a tempo pineo, salvezza per la sua famiglia».
Da quanto tempo?«Credo due o tre anni. Ma quello era un periodo d’oro per le donne: arrivavano qui e in poche settimane avevano un lavoro, senza nemmeno troppi controlli. Bene, mia moglie, accompagnata fino all’aeroporto dalla mia espressione incredula, arriva in Italia. Sei settimane dopo a casa entrava metà del primo stipendio. Un sogno. Un anno dopo, anche io ero su quel volo intercontinentale. Due anni dopo, era la volta delle mie figlie. Era un costante miglioramento, capisci?».
Sì.«Avevamo una casa, una famiglia serena e qualche sogno in più a portata di mano. Per chi viene dal nulla è meraviglioso. E ti garantisco che noi venivamo dal nulla. Mio nonno mi ripeteva che le cose non possono andare bene o male per sempre, che la vita è come un’altalena. Mi diceva che per essere forti bisogna prepararsi quando il momento è buono ad affrontare i momenti difficili e trovare nelle difficoltà la tenacia per non soccombere, nella certezza che prima o poi tutto cambierà. Finora ho constatato che aveva ragione. Speravo solo che il momento buono durasse più a lungo, anche perché non torno a casa da tre anni e francamente ho voglia di riassaporare l’aria del Perù. Mi manca, ma ritornare per sempre mai, significherebbe la miseria».
Anche alle tue figlie manca il Perù?«A mia moglie sicuramente. Per quanto riguarda le mie figlie, ormai sono letteralmente a metà strada. Il Perù è nelle loro vene, ma non è pienamente nelle loro vite. Studiano in Italia, hanno amici italiani, vivono immerse nella cultura italiana. Se non fosse per me e mia moglie, non avrebbero più contatti con il nostro Paese. Di là – intendo dire oltreoceano – non c’è più nessuno per loro, nemmeno i nonni. Nei piani iniziali miei e di mia moglie l’intenzione era di fermarsi solo qualche anno, mettere da parte una bella sommetta e tornare a casa a trascorrere una vecchiaia serena. Adesso i punti di riferimento sono cambiati: l’Italia non ci dà più certezze, ma le nostre figlie vogliono restare qui; so che vivranno qui».
Quindi?«Quindi non so».
Cosa non sai?«Cosa faremo io e mia moglie. Non ne ho proprio idea. Secondo le teorie di mio nonno fra qualche tempo tutto dovrebbe cambiare, l’altalena dovrebbe risalire, è solo questione di essere tenaci».
La tua voce tradisce un “ma”.«Ma essere tenaci è dura quando si sta in ristrettezze. Ci vuole forza».
Dove la trovi?«La trovo negli occhi delle mie figlie, che studiano e si danno da fare, nello sguardo di mia moglie, che lavora dalla mattina alla sera e non fa una piega, e nelle parole di mio nonno, che non dimenticherò mai».
© RIPRODUZIONE RISERVATA