«Il negozio è in crisi, torno in India»

Praseet è giù di morale perché il negozio di bigiotteria e articoli da regalo aperto tre anni fa non garantisce più le entrate di un tempo. Mentre fino alla fine dello scorso anno lui e la sua famiglia – moglie e due figli adolescenti – riuscivano a campare e a mettere da parte qualche risparmio, adesso il vento è girato. Il problema è che il nostro protagonista, pur avendo un “piano B” che lo vede in India, non accetta di buon grado l’ipotesi di rientrare in patria: non saprebbe come giustificare questa scelta ai figli, e non riuscirebbe ad accettare l’idea di aver fallito.Quarantadue anni, il sorriso rabbuiato dall’amarezza, Praseet ci ha raccontato la sua storia; che, purtroppo, nelle ultime pagine ricorda anche quella di molti italiani.

Buongiorno, posso rubarti qualche minuto?«Fai pure, tanto».

Scusa, in che senso?

«Ma sì, rubami anche tutta la giornata. Sto andando al lavoro, ma potrei anche starmene a casa, sarebbe la stessa cosa. Credimi, nessuna differenza».

Perché?«Non ci sono clienti, né alla mattina, né al pomeriggio».

È normale, è estate.«Peccato allora che l’estate, come tu la chiami, duri da gennaio di quest’anno. Dopo Natale, tutto silenzio. Non dico neanche un cliente, quello no. Ma non ho nemmeno i soldi per pagare l’affitto. Bell’affare, e soprattutto bell’idea che ho avuto».

Di cosa ti occupi?«Vendo bigiotteria, accessori, oggettistica, articoli da regalo. Un po’ di tutto, insomma. Le mie clienti sono soprattutto ragazzine, ma ogni tanto passa anche qualche donna più o meno giovane. Ho il mio negozio da tre anni e mezzo. All’inizio gli affari andavano alla grande. Ero felicissimo, mi sentivo realizzato».

Davvero?«Sì. Ma non immaginare chissà quali incassi: riuscivamo a vivere io e la mia famiglia, ecco tutto. Ma la mia attività imprenditoriale mi sembrava un’idea brillante. Avevo notato che le persone alla ricerca di piccoli gioielli a basso costo, intendo dire di qualcosa di originale per un’occasione particolare, erano parecchie. Sai, ci sono sempre i regali da fare. Così mi ero attivato per aprire un negozietto tutto mio. Come ti dicevo, sembrava avessi azzeccato l’attività giusta per me. Invece adesso niente».

Ma cosa è successo?«Non lo so. Sarà la crisi? Sembra che questa crisi sia la colpa di tutto. Magari la gente ha meno da spendere e rinuncia proprio alle cose meno utili e meno importanti. Mi sembra logico può avere un senso».

Verissimo.

«Ma allora, se davvero così fosse, questo significa che per il mio negozio non c’è futuro. A metà agosto fortunatamente chiudo e mi trasferisco per un po’, ben tre settimane, a casa. Spero di trovare qualcosa di interessante da proporre. Chissà, magari riemergo dalle ceneri».

Da dove vieni?«Dall’India, il mio Paese, la mia terra. Vengo dall’India e se le cose andranno avanti in questo modo in India tornerò presto, e non per le vacanze».

Cosa facevi prima di partire?«Facevo abbastanza la fame. Dico “abbastanza” perché sennò tutti pensano, come le persone che ho incontrato qui, che vivevo nelle bidonville, in chissà quali condizioni».

Invece quella gente non ha i soldi per partire.«Esattamente. Ma la fame si può fare lo stesso: vuol dire non riuscire a garantire tutte le sere la cena ai tuoi figli e non avere l’ombra di una certezza per il tuo e il loro futuro. Io non amo stare ad aspettare, io voglio vivere la mia vita, voglio poter decidere. Facevo il tassista, adesso sono un commerciante, domani farò ciò che mi sarà utile. Vivo così».

Adattarsi e raggiungere l’obiettivo.«Brava. Facevo il tassista e ogni volta che in macchina saliva un europeo sembrava venisse da Marte. “Perché lui sì e io no?”, pensavo».

Ma a cosa ti riferivi?«Alle possibilità che ha chi vive da questa parte del mondo: viaggiare, conoscere, avere tutto ciò di cui si ha bisogno. So che non è così per tutti, ma almeno un frigorifero, un’automobile e un televisore qui non si negano a nessuno. Così sono partito, da solo, senza moglie né figli. Questo accadeva sette anni fa».

Destinazione?«Strano ma vero, l’Italia».

Perché strano ma vero?«Perché la maggior parte degli indiani opta per il nord Europa: abbiamo più parenti in zona, soprattutto in Inghilterra. Ma io volevo provare a seguire i consigli di un connazionale, emigrato in Italia tempo prima. Sembrava che questo Paese facesse al caso mio».

Cosa diceva il tuo connazionale?«Che l’Italia è meno problematica per il lavoro e i documenti, banalmente. Questo si traduce in un buon vantaggio, non pensi?».

Quindi cos’hai fatto?«Ho preso un volo per Milano, dove c’era un amico di quel mio connazionale, una persona perbene che mi ha aiutato ospitandomi».

Hai vissuto a Milano, quindi?«Un anno. Ho fatto il muratore. Poi ho trovato tramite un altro connazionale un lavoro in cascina, che mi ha permesso di portare qui moglie e figli. Quando la crisi ha messo in ginocchio l’azienda per cui lavoravo, mi sono attivato per aprire il mio negozietto. Non è stato difficile, anche perché mi sono fatto spedire parecchi articoli dalla mia città. Non occorre essere gemmologi per vendere qualche braccialetto e collanina. Come ti accennavo, il silenzio di questi ultimi mesi mi sta facendo preoccupare, e non poco. Sai cosa vorrebbe dire chiudere per me?».

Ricominciare da zero.«Ma da zero proprio, senza lavoro, con un affitto da pagare e due figli adolescenti da mandare a scuola. Per questo sto anche valutando l’ipotesi di tornare in patria, là con i pochi risparmi che ho in banca potrei farcela».

Hai il cosiddetto “piano B”?«Ho pensato a un negozio di alimentari: crisi o non crisi, la gente deve pur mangiare, no? I soldi per aprirne uno tutto mio ce li avrei, ma devo prima trovare il coraggio».

Cosa ti tiene qui, quale paura, visto che parli di “coraggio”?«Non è una paura. Ma come potrebbero giudicarmi i miei figli? Li faccio partire, li costringo a cambiare vita, scuola e abitudini, e poi “Scusate, ho fatto un errore, torniamo tutti a casa”? No, non si fa così. Ecco di cos’ho paura, se proprio paura vogliamo chiamarla. E anche un po’ di me stesso, del fatto di non avercela fatta».

Ultimamente siete in tanti a dirmi queste parole. «Lo so, me ne sono accorto anch’io».

Allora niente programmi.

«Per ora so solo che tra pochissimo me ne torno per tre settimane a casa con tutta la famiglia; settimane che tra l’altro mi costano un occhio della testa. Poi staremo a vedere. Purtroppo, però, ho smesso di essere ottimista».

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