Rubriche/StorieImmigrati
Mercoledì 30 Novembre 2011
I miei figli sono con me, sono felice
Suo marito se n’era andato con un’altra e allora lei ha lasciato la Romania
Anita è una bella donna di trentotto anni, con i capelli biondi sciolti sulle spalle, il trucco impeccabile, gli orecchini grandi e un sorriso coinvolgente. Viene dalla Romania, ma vedendola la si scambierebbe tranquillamente per un’italiana, a parte ovviamente l’accento e una carnagione forse un po’ troppo chiara per essere di qui. La sua vita sembra la favola di Cenerentola. Anita è passata dalla fatica nera del doppio lavoro in un centro per il bricolage rumeno a un presente con i suoi figli, il marito italiano e un bel posto da barista nel Lodigiano. Più che serena Anita sembra profondamente felice. Ancor di più quando il pensiero va all’ex marito, che di lei e dei ragazzi non ha più voluto saperne: «Sarà infantile, ma ho sofferto talmente tanto che adesso sento di aver avuto la mia piccola vendetta: lui è in Romania che sgobba come un matto, mentre io qui sto alla grande».
Buongiorno, va di fretta?
«Devo tornare a casa abbastanza velocemente perché fra qualche ora riprendo il lavoro. Devo ancora pranzare, fare la lavatrice e preparare la borsa per i miei figli».
Per lo sport?
«Sì, giocano entrambi a calcio. Ma perché me lo chiede?».
Volevo farle qualche domanda per le storie di immigrati, la rubrica del Cittadino.
«Se mi accompagna le rispondo. Ma perché non ci diamo del tu?».
Affare fatto, per entrambe le proposte. Da dove vieni?
«Sono rumena. Ma si capisce tanto che non sono italiana?».
No, si capisce solo dall’accento. E dal fatto che prima al cellulare stavi parlando una lingua decisamente diversa dalla nostra.
«Ah, ecco come hai fatto. Sai, ogni tanto me lo chiedo».
Cosa?
«Se basta guardarmi per capire che non sono di qui. Ormai vivo in Italia da più di cinque anni e mi sembra di essermi abituata bene a questo stile di vita. Voglio dire, mi comporto in tutto e per tutto come un’italiana, sto anche cercando di non fare sentire l’accento. Probabilmente c’è ancora molto lavoro da fare, ma io non desisto».
Ti trovi bene qui?
«Benissimo. Ho un lavoro che mi piace e sono sposata con un italiano».
Di cosa ti occupi?
«Faccio la cameriera in un bar ormai da tre anni. All’inizio assistevo gli anziani. Ero una badante, come la maggior parte delle mie connazionali. Poi grazie al mio ragazzo, oggi mio marito, ho trovato il mio attuale posto di lavoro. L’unico svantaggio sono i turni, per il resto sono contentissima: ho modo di stare con la gente, chiacchierare, uscire, e anche se al mattino c’è da correre, sono più che soddisfatta».
I tuoi figli sono nati in Italia?
«No, li ho avuto dal mio precedente marito. Mi ero sposata molto giovane, tanto che i miei figli adesso hanno sedici e tredici anni. Ho chiesto il ricongiungimento e l’ho ottenuto, ecco perché sono qui. E il mio attuale marito è molto gentile con loro. Siamo tutti contenti, insomma».
Cosa facevi in Romania prima di partire?
«Lavoravo in un negozio di articoli per la casa, come commessa. Era una sorta di centro per il bricolage, se così vogliamo definirlo. Si trattava di un lavoro abbastanza duro e non esattamente ben pagato. Ma non avevo scelta. In Romania se hai un lavoro ti devi sentire un privilegiato, perché non ce n’è per tutti. Poi fa niente se con la paga mensile non ci paghi nemmeno le spese. Quello era il mio lavoro».
E tuo marito?
«Fa l’autotrasportatore, ma non ci rivolgiamo la parola da quasi dieci anni».
Perché?
«Perché dopo la separazione non si è più fatto vivo, nemmeno con i suoi figli. Si è comportato come se tutti fossero usciti dalla sua vita, bambini inclusi. Sai com’è stata dura spiegare a mio figlio di tre anni che suo papà, da un giorno con l’altro, non poteva più vederlo? Per un po’ ho preferito mentire e dirgli che il padre stava facendo un lungo viaggio con il camion. La sera lo aspettava alla finestra, e a me si stringeva il cuore. Così, alla fine non ce l’ho più fatta e gli ho raccontato la verità. Ma a quel punto letteralmente odiavo mio marito».
Vi aiutava almeno economicamente?
«Stai scherzando, vero? Niente, la nostra vita è cambiata drasticamente dal giorno alla notte. Non avevamo più nessuno su cui contare. Così ci siamo trasferiti dai miei genitori, e io ho chiesto al mio datore di lavoro di poter fare gli straordinari. Lavoravo giorno e notte, ma i soldi non bastavano. Più i miei figli crescevano e più la situazione si faceva insostenibile».
Pesante.
«Pesantissimo. Così una sera ho pensato: “Anita, già adesso i tuoi figli non ti vedono, che cosa cambierebbe se partissi? Probabilmente solo il fatto che avresti più soldi”. Mi sembrava logico, non faceva una piega. Quindi, affrontate le resistenze della mia famiglia, mi sono messa in viaggio».
Destinazione Italia?
«Sì, perché qui conoscevo una ragazza. Una di quelle amiche di vecchia data, che non vedi da molto tempo ma con cui sai che potrai sempre avere un buon rapporto. Lei faceva la badante e poteva aiutarmi con il lavoro. Così è stato».
Badante anche tu, dicevi.
«Esatto, ma meno male che quel periodo è finito. Fare la badante è molto faticoso, e mette anche un po’ di tristezza. Oltre alla domenica avevo due ore al giorno libere, che nel periodo invernale trascorrevo nei phone center o in un bar, pur di non stare in casa. È stato lì, al bar, che ho conosciuto mio marito. È strano il destino, vero? Ha organizzato una pantomima incredibile – divorzio, povertà, lavoro massacrante, solitudine – per portarmi qui in Italia da mio marito».
La vedi così?
«Non sono io che la vedo così, è andata proprio così. La mia vita è molto più bella e appagante di quanto avrebbe potuto essere anche se fossi stata fortunatissima in Romania. I miei figli sono qui con me, ho un lavoro che mi piace e un marito che amo, e poi ho anche avuto la mia piccola vendetta. È il massimo».
In che senso “piccola vendetta”?
«Nel senso che il mio ex marito è ancora in Romania e si fa in quattro, a quanto mi dicono, per mantenere la sua nuova famiglia. Io invece qui sto benone e ho smesso di avere le preoccupazioni di un tempo. È proprio vero che prima o poi le cose vanno per il verso giusto e chi sbaglia paga».
A quanto mi sembra di capire sei contenta della tua scelta.
«Più che contenta sono contentissima. Sono arrivata in Italia per caso, con l’idea di tornare in patria con i soldi necessari per fare studiare i miei figli e invece eccomi qui. Loro hanno tutte le possibilità di questo mondo, si diplomeranno in Italia e se vorranno frequenteranno anche l’università. Io sono felice con mio marito. Insomma, cosa posso volere di più?».
Sembra una bella storia a lieto fine.
«Vero. però non è una storia, è la mia vita. Raccontala, mi farà piacere ritrovarla fra le pagine di un giornale».
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