«I bambini li ho rimandati in Marocco»

Said è ritornato all’anno zero: quindici anni dopo il suo arrivo, si è ritrovato senza lavoro, con una famiglia a carico e un affitto da pagare. «Non ce la facevo, quindi io e mia moglie abbiamo deciso che lei ritornasse in Marocco con i bambini. È stato uno smacco: i piccoli erano arrabbiati, mia moglie triste e io profondamente deluso».Otto mesi fa tutto era perfetto, ora sembra l’ultimo atto della storia italiana di questa famiglia. Parlare con Said mette a disagio: il contrasto fra il passato e il presente è troppo forte; e nel futuro si intravede con certezza una minacciosa nuvola nera, che solo un colpo di vento inatteso – un incontro inaspettato? un giorno fortunato? – può spazzare via.Dispiacerebbe sapere che Said non ce l’ha fatta: sembra una persona in gamba, un uomo perbene.

Buongiorno, mi farebbe piacere scrivere la sua storia per il Cittadino. Sarebbe disposto a raccontarmela?«Mah, io non ho problemi, anche se non ho ben capito cosa vuoi sapere. In che senso la mia storia? Intendi la mia vita?».

Esattamente.«La mia vita è profondamente cambiata. Avresti dovuto vedere casa mia otto mesi fa e notare le differenze rispetto a ora. È come se avessi vissuto in un mondo diverso, che adesso non c’è più».

Addirittura?«Sì».

Spiegaci.«Otto mesi fa entravi in casa mia e ci trovavi mia moglie, mio figlio di otto anni e la mia bambina di quattro. Era una casa allegra, con i bambini vocianti e l’atmosfera familiare, la tivù accesa, la tavola imbandita. Adesso ci sono solo io, è tutto silenzio. Le giornate sembrano non passare mai».

Dove sono tutti?«A casa nostra, in Marocco. Con gradissimo dispiacere per mille motivi. Mio figlio grande si era trovato molto bene a scuola. Aveva fatto amicizia, aveva i suoi ritmi, conosceva questo modo di “fare scuola”. Con quest’anno scolastico ha dovuto cambiare mondo. E la bambina».

La bambina?«Si era inserita serenamente nella scuola materna e andava volentieri. Sai come si dice, no? Contenti i bambini, contenti tutti, soprattutto mia moglie, che era quella con più perplessità iniziali. E adesso eccoci qui: il ragazzo ha iniziato a frequentare la nuova scuola in Marocco e la bambina vedremo: mia moglie sta valutando se tenerla a casa o se mandarla all’asilo anche là. Mi dispiace moltissimo, anche perché non siamo più uniti».

Ma cosa è successo?«È successo che la cooperativa non mi fa più lavorare da febbraio. Prima facevo consegne alle aziende per una ditta della zona, adesso sono tutto il giorno in casa. Niente lavoro da otto mesi. Questo, ovviamente, con un bell’affitto da pagare, oltre alle spese per vivere. Capisci perché ho rimandato la famiglia in Marocco?».

Capisco.«Non ce la facevamo a vivere in quattro qui in Italia senza lo straccio di uno stipendio. Almeno in Marocco ci sono le nostre famiglie a darci una mano, e poi la vita costa decisamente meno. Non ce la facevamo, ecco tutto. Così ad agosto, quando è stato il momento di ritornare in patria per la visita ai familiari, io e mio moglie abbiamo preso, senza dircelo, la stessa decisione: “Cosa ne dici se resto in Marocco con i bambini?”, mi ha detto un giorno. Mi stava rubando le parole di bocca».

Non c’è una speranza? Non puoi provare a fare un altro lavoro, a contattare un’altra cooperativa?«Quella flebile speranza è tutto ciò che mi tiene qua. L’idea è questa: rimango fino alla fine dell’anno per vedere se si smuove qualcosa. Io confido nel fatto che la cooperativa mi ricollochi, ma sono molti mesi che ci spero invano. Nel contempo sto bussando a tutte le ditte della zona. Sono uno che si dà da fare, uno che vuole lavorare. Ma la risposta è sempre la stessa: “Lei sa quanta gente viene da noi ogni settimana? Abbiamo perso il conto”. Questo francamente mi butta un po’ giù di morale: se siamo in tanti nella mia situazione, l’impresa si fa ardua».

Come l’hanno presa i bambini?«La piccola fortunatamente non se ne è nemmeno resa conto. Andava dai nonni ed era felice. Il grande invece alla notizia ci ha tenuto il muso, soprattutto a me. Dice che il Marocco gli fa schifo, che là non ha amici, che lo stiamo privando della possibilità di vivere in un “bel posto”. È arrabbiato ancora adesso, ma almeno al telefono mi parla».

Cosa farai se non troverai lavoro?«Tornerò a casa, con la mia famiglia, e cercherò di riprendere le fila della mia vita precedente: il vecchio impiego da carrozziere, la vecchia casa di una vita, le solite cose. È tutto fattibile, quello sì, ma che brutta sensazione».

A cosa ti riferisci?«Al fatto di tornarmene in patria in quel modo. Sognavo di finire i miei anni in Marocco, di trascorrere la vecchiaia nella mia casa d’infanzia, ma da vincitore, capisci?».

Più o meno.«Sognavo di realizzare i miei sogni e di tornare in patria senza aver lasciato questioni in sospeso. Se le cose non vanno come spero, rientro con tutta una vita da costruire, di nuovo, ma stavolta non ho vent’anni e non sono solo: ho una famiglia da mantenere. Ma non è questo l’aspetto peggiore. Con la paura di affrontare un nuovo inizio mi ci posso confrontare».

Con cosa no?«Con la sensazione di aver portato su una strada perdente i miei figli. Sono tornati perché il padre non ce l’ha fatta. Questo mi distrugge. Riesco a spiegarmi? Sono un pessimo esempio, ho fallito, e si torna tutti a casa perché papà non ce l’ha fatta».

Ma perché siete tutti così duri con voi stessi? Parlo al plurale, scusa, ma ho sentito troppe storie di gente che si colpevolizza se non ce la fa. In questo momento può succedere che la situazione prenda una brutta piega. Capita anche a moltissimi italiani. Ma che colpa ne ha la gente? Che colpa ne hai tu?«Non so, mi dico che dovrei cercare di più e meglio, forse dovrei spostarmi in un’altra regione italiana, comunque potrei fare di più. Non so cosa, ma di più».

Anche imparare a volare, certo. Oppure più realisticamente studiare il cinese. «Perché mi prendi in giro?».

Non ti prendo in giro, ti faccio riflettere sul fatto che addossarsi tutte le colpe non ha senso. Stai facendo del tuo meglio, e questo deve bastarti. Ok, se vuoi puoi provare a fare di più, bene. Ma non colpevolizzarti.«Lo so, in fondo hai ragione. È che io sono partito per avere una vita diversa. Ero un ragazzo pieno di speranze, avevo anche fatto un viaggio bello tosto, uno di quelli che attraversi il mare in carretta. Con il lavoro mi ero sentito un uomo completo, uno in gamba che sfida il mare e ce la fa. Poi era arrivata mia moglie, quindi i due bambini. Tutto perfetto, capisci?».

Certo.«Ora sono qui a fare i salti mortali per sbarcare il lunario. Non ho più la mia famiglia con me e non vedo prospettive, se non quella di ritornarmene a casa e fare due chiacchiere con il mio vecchio datore di lavoro. Nel frattempo però sono passati quindici anni. Una vita. Non voglio cancellare con un colpo di spugna tutto il tempo trascorso in Italia. Ma quali altre possibilità ho?».

L’unica è tenere duro e avere coraggio.«Ci proverò. Grazie».

Grazie a te, Said. E in bocca al lupo, un lupo grande.

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