«Ho sbagliato a lasciare il Senegal»

Aliou “lavora” al parcheggio dell’ospedale di Melegnano, in fondo, verso l’uscita. Lavora è fra virgolette perché questo senegalese di venticinque anni ritiene che propinare cd a gente in visita ai parenti o in procinto di fare qualche esame diagnostico non possa essere definito lavoro. È un modo per campare, punto e basta. Prima che emigrasse, gli affari per Aliou andavano bene: faceva il fotografo, aveva un negozio e anche un dipendente. Ma il richiamo dell’Europa era troppo forte, sostenuto dalle voci degli amici partiti: «Mi dicevano che qui si guadagna molto, che la vita è un sogno». Niente di più falso: il sogno di Aliou si è tramutato in ore e ore sotto il sole o sotto la pioggia per piazzare cd contraffatti e riuscire a malapena a pagare affitto e spese.

No, ti prego, non provare a vendermi un cd anche tu. «Ma guarda che ho tutti i generi, sicuramente trovi qualcosa che ti piace».

Ecco, tieni un euro.«Io non sono qui per fare l’elemosina, sono qui per vendere».

Lo so. Ma poi mi ritrovo ad aver speso due euro e cinquanta per niente, visto che in macchina non ascolto cd, solo la radio.«Non posso prendere un euro così, senza darti nulla in cambio».

Fammi pensare. Ho un’idea, un euro per la tua storia. È un po’ poco, voglio dire, le storie non le pago ma se le pagassi sarebbe un po’ poco, ma almeno non ti ho dato niente per niente. Che ne dici?«Ho capito. Tu sei la stessa che ha scritto la storia di Lenny?».

Esatto.«Dai, ci sto».

Allora affare fatto. Raccontami di te, della tua vita prima dell’Italia.«In Senegal facevo il fotografo. Avevo studiato quattro anni fotografia, poi mi ero aperto un negozietto tutto mio».

Sviluppavi foto?«Sì, ma con il mio dipendente ci occupavamo anche di matrimoni, servizi fotografici, feste varie. Un po’ di tutto».

Andavano bene gli affari?«Tutto sommato sì. In Senegal non puoi mai dire di stare bene, quello no. Si guadagna poco, qualsiasi cosa si faccia. Ma io non mi potevo lamentare. Ero proprietario dei muri del negozio, avevo un dipendente e il lavoro non mancava. Ero un piccolo imprenditore, avevo la mia autonomia. Per questo non mi piace accettare soldi per niente: lede la mia autostima. Non siamo tutti uguali in questo parcheggio, ognuno ha il suo punto di vista».

Visto che tutto andava per il meglio, perché sei partito?«Ho fatto un errore».

Spiega.«Tutti gli amici emigrati mi dicevano che qui si guadagna tantissimo, che la vita cambia. Erano talmente convinti ed entusiasti, che mi sono lasciato contagiare. Un bel giorno, ho venduto tutto: negozio, attrezzature, macchinari, proprio tutto. E poi mi sono messo in viaggio».

Come sei arrivato qui?«Con un permesso turistico, che ovviamente adesso è scaduto, considerato che sono passati due anni dal giorno del mio arrivo, e con un volo intercontinentale che mia ha scaricato a Milano. Sapevo che l’Italia avrebbe cambiato la mia vita, ma non in questo modo».

Non era come ti avevano raccontato, giusto? Sai quante persone prima di te mi hanno detto la stessa cosa?«Esatto. È facile parlare se si fa l’operaio e si ha un posto a tempo indeterminato in un’azienda, con tutti i diritti e tutte le garanzie. Per me quel posto non c’era e io non avevo i soldi per vivere qui. Quali alternative avevo? Ho contattato alcuni connazionali e ho iniziato a vendere cd qui al parcheggio dell’ospedale. L’unica cosa positiva è che non ho orari e sono autonomo. Basta. Scusa, ma vado un attimo da quella signora che magari compra qualcosa».

Fai pure.«Scusami».

Scherzi? Se arriva qualcuno tu va’ pure, tanto poi il filo lo ritroviamo.«Ok».

Ti piace il tuo lavoro?«E questo lo chiami lavoro? Ci vuole un bel coraggio. Dai, non è un lavoro, è qualcosa per tirare a campare e non morire di fame. Ne dedurrai che non mi piace proprio, e non mi piace nemmeno la mia vita».

A questo punto la domanda è spontanea: perché non torni a casa?«Sarò sincero: per emigrare ho venduto tutto. Come faccio a tornare? Quale lavoro potrei svolgere? Mi sembrerebbe di aver fallito».

Diciamo che ci hai provato e non è andata come speravi.«Verissimo. Ma ho anche fatto un errore, seguendo i consigli degli amici. Alla fine dei conti ho speso moltissimo per questa scelta: tre milioni e mezzo di cfa, la nostra moneta».

Ossia?«Aspetta che prendo il cellulare. Quasi seimila euro, più circa mille euro per vivere. Insomma, non mi sbagliavo quando ti dicevo che ho fatto un bell’errore di valutazione».

Come potevi saperlo? Chi c’è in patria ad aspettarti?«Mia mamma, i miei tre fratelli e mia sorella. Io sono l’unico ad aver lasciato il Senegal».

Dove vivi?«Vivo qui a Melegnano con altri quattro compaesani».

Fanno tutti il tuo lavoro?«No, solo io, gli altri sono operai. Sono gli stessi che mi hanno convinto a lasciare tutto e venire qui in Italia. Non posso non notare ogni giorno la differenza fra la mia vita e la loro».

L’ultima domanda è doverosa. Cosa vedi nel tuo futuro?«Non vedo un futuro brillante, qui. Sarà la crisi, sarà quel che sarà, ma non riesco nemmeno a sperare in un grande cambiamento di rotta. Probabilmente andrò avanti in questo modo ancora per qualche tempo ».

E poi?«E poi scappo in Senegal».

Scappo?«Ma sì, me ne torno a casa. Io qui non sto bene, quindi chi me lo fa fare di restare? Se non è andata come volevo, pazienza».

Vedi che non è il caso di pensare di aver fallito? Non è andata, punto e basta. E se quello che vuoi è tornare a casa, così sia.«Hai ragione. Bella chiacchierata».

Grazie a te, e in bocca al lupo. Tengo da parte l’articolo, così te lo porto.

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