Tutto con Angela è iniziato per caso: le classiche due chiacchiere in coda allo sportello, quel famoso “parlare del più e del meno” che di solito è fine a se stesso. E poi, inaspettatamente, ecco prendere vita una delle vicende più toccanti di tanti anni di Storie di immigrati. Una storia in cui la vera protagonista è la paura, sempre, e in cui la forza di una donna si scontra con la violenza, non solo psicologica, dell’uomo che ha scelto come compagno. Dopo tanto parlare di violenza contro le donne, eccoci ancora qui, all’anno zero. Fortunatamente Angela è determinata – o disperata? – e ha già in mente un piano B: scapperà in Canada con la figlia adolescente e il bambino che porta in grembo, all’insaputa di hostess, compagnie aeree e, soprattutto, del suo compagno, «che è capace di tutto».Ho fatto il possibile per non rendere riconoscibile Angela: il nome è di fantasia, l’età non è menzionata, non cito dove vive, le ho cambiato nazionalità e per scrupolo ho anche riaggiustato la data del parto. Quello che conta è la sua storia, non i dettagli. Ma la sua paura continua a martellarmi in testa mentre scrivo. E diventa mia.
Ciao, visto che stiamo chiacchierando e che il tuo numerino è subito dopo il mio, che ne dici di raccontarmi la tua storia? Vedo che sei in dolce attesa, quando nascerà?«Scusami, ma non posso. Non posso proprio».
Hai cambiato espressione. Cosa è successo?«Non posso raccontarti la mia storia, se il mio compagno mi riconosce sono guai. No, ti prego, non farmi questo».
Guarda che sono un’esperta nel mantenere l’anonimato. Cambiamo nome, non diciamo dove abiti, il resto va da sé. Se vuoi omettere qualcosa sei liberissima di farlo. Mi interessa solo la tua storia, non tutta la tua vita.«Ok, ma ti prego, stai attenta. Magari parlarne serve, magari mi puoi dare una mano».
Promesso, starò attentissima. Cos’è successo? Cosa ti fa tanto paura?«Come dicevi tu sono in dolce attesa. Ho scoperto tre settimane fa che è un maschietto. Nascerà a fine giugno. Da un lato sono felicissima, dall’altro lato non ho intenzione di restare qui, di far nascere un figlio in questa situazione».
Che situazione?«Il mio compagno mi minaccia costantemente. Vuole sposarmi e continua a ripetermi che se non convoliamo a nozze al più presto, prende nostro figlio e se lo porta in patria. Non me lo farà più vedere. Capisci cosa intende? La legge del suo Paese glielo consente: conta il padre, non la madre. Io non ho nessuna intenzione di restare a guardare. Lo conosco bene: è capace di tutto».
Ma da dove venite?«Da due mondi diversi. Io sono albanese, lui nordafricano. Non posso dirti in quale Paese è nato, ho troppa paura che mi scopra».
D’accordo, non è importante.«Io sono cattolica, lui è musulmano. All’inizio era tutto meraviglioso, adesso la mia vita è un inferno. È come se fosse un’altra persona rispetto ai primi tempi. Crede di poter disporre di me, come farebbe con un’automobile o una bicicletta. Per lui non sono una donna, sono un oggetto. E se io non accetto, mi ricatta.
Terribile.«Sì, ma io ho già organizzato tutto: aspettavo gli esiti di un esame, volevo essere certa che il bambino stesse bene prima di mettermi in movimento. Adesso ho acquistato i biglietti aerei».
Per dove?«Canada».
Davvero? Ma conosci qualcuno?«Buona parte della mia famiglia vive là. Prendo mia figlia maggiore e, nascondendo il pancione, attraverso l’Atlantico. Voglio incominciare una nuova vita, lontano dal mio compagno, che non deve mai e poi mai nemmeno immaginare dove mi trovi. Sarebbe capace di tutto».
Sembra che tu abbia molta paura.«La mia vita è stata un susseguirsi di scelte sbagliate. Spero almeno stavolta di aver preso la decisione giusta. Io qui non ho un lavoro e conosco solo il mio compagno».
Avete due figli, quindi?«No, mia figlia maggiore è nata dal mio precedente matrimonio, fallito pure quello. Eravamo connazionali, ci volevamo bene. Ma la vita era stata troppo dura con noi».
In che senso?«Nel senso che il sentimento che più associo a quella parte della mia vita è, ancora una volta, la paura».
Come adesso?«Sì, ma diversa nelle motivazioni. Mio marito lavorava in campagna, usciva spesso di notte e io ero terrorizzata».
Da cosa?«Dal fatto di trovarmi da sola in una cascina disabitata, con un anziano custode come unico vicino. Ricordo che ero incinta e non riuscivo a dormire la notte. Faceva freddo, la casa era fatiscente e i vetri tremavano per l’aria. Io battevo i denti, non so se per il freddo o per la paura. Continuavo a ripetere a mio marito che avevo bisogno di lui, gli chiedevo di stare a casa. Ma non poteva, doveva lavorare. Alla fine, disperata, andavo con lui in auto e dormivo fuori».
In macchina?«Esattamente. Meglio in macchina vicino a lui che da sola in quella casa».
Perché è finita tra te e tuo marito?«Perché di fatto vivevamo due vite separate, lui fuori per lavoro, io in casa con la bambina. Ero sempre sola, non ne potevo più».
E poi è arrivato questo nuovo compagno.«Esatto. Sembrava un modello di dolcezza e sensibilità. E invece mentiva spudoratamente. È stato lui a volere con tutte le sue forze questo bambino, io non mi sono potuta opporre. E adesso che è convinto di avere quasi raggiunto l’obiettivo, mi sta torturando con questa storia del matrimonio. Io non voglio, non voglio proprio, ma lui è una persona che non sa accettare la parola “no”».
E tua figlia come vive questa situazione?«Lei sa tutto e tiene la bocca chiusa. È la prima a voler scappare. Ma non ha accettato volentieri il fatto che stia per avere un altro figlio. Quando provo a coinvolgerla mi risponde: “Mamma, è affar tuo, lo sai che a me non frega niente di questo bambino”».
Poi vedrai che cambierà idea.«Mi dico che a tredici anni non può che rispondere così, ma un po’ mi dispiace, perché a me di questo bambino importa moltissimo, invece. Noi tre saremo una famiglia, noi tre sfideremo insieme la vita ricominciando daccapo».
Guardarti mentre parli mi fa capire molte cose. Lo sguardo terrorizzato lascia il posto a una bellissima luce negli occhi.«La paura è per il presente, spero di riuscire a lasciarmela alle spalle».
Fra quanto partirai?«Tre settimane. Domani vado in agenzia a ritirare i biglietti. Come ti accennavo, il mio compagno non deve sapere nulla. Ho scelto un orario in cui è fuori per lavoro, così abbiamo qualche ora di vantaggio. Farò una valigia piccolissima, giusto l’occorrente per il viaggio e tutti i vestiti del bambino».
Li hai già comprati?«Sì, fino a un anno. Ho approfittato dei saldi per risparmiare il più possibile, anche perché non so quanto tempo mi ci vorrà per trovare un lavoro in Canada. Ho pochissimi soldi».
Adesso sembri felice.«Voglio esserlo, me lo merito».
Hai ragione, Angela. Grazie. Ah, dimenticavo: fammi un favore.«Cosa?».Quei biglietti, nascondili bene. E fai buon viaggio.
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