«Ho fatto la badante, torno in Ucraina»

Alina è laureata in ingegneria, ma Lodi le è davvero rimasta nel cuore

Alina è giovane, brillante e decisamente bella con quei capelli biondi e la silhouette aggraziata. L’abbiamo incontrata in un parco di Lodi, mentre passeggiava gustandosi un gelato.Laureata in ingegneria, da tre anni a questa parte sta facendo la badante: «Dopo un anno trascorso alla ricerca di un lavoro in patria, mi sono sentita sconfitta. Ho studiato tanto, ma per cosa? Tutto quello che ero riuscita a trovare in Ucraina era un lavoro da cameriera. “Se proprio devo fare la cameriera, allora la faccio in Europa”, mi sono detta. Ed eccomi qui».Alina si è trovata bene in Italia, sia con la persona che segue, sia con Lodi, una città che le è entrata nel cuore. Fra poco, però, la sua parentesi italiana avrà fine. «Ho già il biglietto aereo: torno a casa». E se una parte di lei è decisamente felice, l’altra è commossa al pensiero che questa intensa esperienza stia per concludersi.Ciao Alina, che ne dici di raccontarci la tua storia?«Che bello, te la racconto volentieri, anche se è una storia un po’ strana. Scuramente penserai che alcune mie scelte sono state sbagliate, ma per me non è così. Ho fatto un’esperienza in Italia, ecco tutto. E adesso questa parentesi della mia vita sta per finire».Sono curiosa, racconta.«Se mi avessi conosciuta tre anni fa, non ti avrei mai parlato delle mie cose, dei fatti personali. Sono ucraina, e come buona parte degli ucraini sono una persona riservata. A dire il vero più che riservata sono, anzi ero, chiusa. Comunque, come ti accennavo, oggi sono diversa e te lo dimostro. Tu fammi le domande e io rispondo».Parlaci della tua vita in Ucraina, per iniziare.«In Ucraina avevo una vita normalissima, quella tipica delle ragazze della mia età. Vivevo con mia madre, mio padre e mia sorella minore, avevo tanti amici e frequentavo l’università. Sono laureata in ingegneria, ma finora la mia laurea è rimasta nel cassetto. Economicamente non ce la passavamo male, anzi, il confronto con le mie compagne di facoltà mi faceva sentire una privilegiata».Perché?«Molte di loro dovevano fare il doppio lavoro per pagarsi gli studi, a me bastavano i fine settimana in un locale della zona per comprare i libri: la retta me la pagavano i miei. Ero spensierata, allora».Adesso no? In fondo non è passato tanto tempo.«Adesso molto meno, anche se la mia “vecchia” vita risale a poco più di tre anni fa. Non so, è cambiato molto. O forse sono cambiata io; fatto sta che ho perso la mia spensieratezza. All’università me la cavavo bene: sempre voti alti, c’erano anche dei colleghi che mi chiedevano aiuto per gli esami più impegnativi; insomma, tutto andava alla perfezione».Fino alla laurea.«Esattamente. Mi sono laureata, ho fatto una bella festa, mi sono presa una settimana di pausa per recuperare le forze e poi mi sono buttata alla ricerca di un lavoro».Cosa volevi fare?«Non ho trascurato niente: dall’insegnante di matematica al tecnico in azienda. L’unico aspetto per me importante era mettere a frutto gli anni di studio, tutto qui. Ma niente, niente di niente. E ovviamente questo riguardava me così come una mia compagna di corso, Veronica. Eravamo entrambe ottimiste e fiduciose, non sapendo, o non volendo sapere, cosa in realtà ci avrebbe atteso».Cosa vi attendeva?«Mesi e mesi di ricerche frustranti e inconcludenti. Fortunatamente eravamo in due, almeno avevamo modo di sfogarci e consolarci l’un l’altra. A quanto ho avuto modo di sentire anche l’Italia in questo momento non riesce ad assicurare un lavoro come si deve ai suoi laureati. Per me questo è un segno tangibile del fatto che un Paese sta andando a picco. Comunque, un anno dopo eravamo alla frutta».È stato questo stallo che ti ha spinta a partire?«No, è stato l’unico posto di lavoro che sono riuscita a trovare con la mia laurea in ingegneria a spingermi a partire: un impiego da cameriera in un bar, esattamente come quando stavo studiando. “Alina – mi sono detta – qui è una sconfitta. Se proprio devi fare la cameriera, almeno provaci in un Paese dove guadagneresti di più”. Ma non sapevo ancora che la mia meta sarebbe stata l’Italia».Come mai hai scelto l’Italia? «È andata così: una giorno chiamo Veronica e la invito a bere un tè. In quel bar, mentre fuori nevicava fortissimo, le parlo della mia idea: “Sai, avrei pensato di emigrare. Se proprio devo fare la cameriera, almeno voglio provarci in un Paese dove si guadagna abbastanza bene. Potrei approfittarne per imparare una nuova lingua e confrontarmi con una cultura diversa. Avrei pensato all’Europa: non mi dispiacerebbe la Francia. Che ne dici? Secondo te è fattibile?”».Hai avuto un bel coraggio...«Ero apparentemente ferma e decisa, ma in realtà profondamente tormentata. Mentre parlavo capivo che la mia idea poteva prendere forma, con tutto quel che ne sarebbe disceso».Ossia?«Grandi cambiamenti, il disappunto dei miei – fino a quel momento all’oscuro di tutto –, il rimettersi in gioco partendo da zero. E poi fa paura non avere la minima certezza o consapevolezza di cosa accadrà in futuro. Ma ogni tanto un bel salto nel buio può essere la soluzione».Cosa ti ha risposto la tua amica?«Mentre parlavo lei sorrideva e scuoteva la testa: “Veronica, a cosa pensi?”. Ero scocciata, perché sembrava non mi ascoltasse. “Che sei terribile. Non credere di avere avuto questa “brillante” idea prima di me. Te ne avrei parlato presto: sto prendendo contatti con una mia zia che vive in Italia. Se, come credo, ci darà una mano, il gioco è fatto. Ci fermiamo un paio d’anni, mettiamo da parte un po’ di soldi …” “E poi torniamo a casa e ricominciamo con la ricerca di un lavoro” ho concluso togliendole le parole di bocca. Siamo sempre state molto in sintonia io e lei. Ero al settimo cielo al pensiero che sarebbe venuta con me. O io con lei, dipende dai punti di vista».Siete partite insieme?«Yes, qualche mese dopo, accompagnate dal fiume di lacrime delle nostre madri e di mia sorella. Non avevamo grandi aspettative: solo un lavoro e uno stipendio. E invece».Invece?«Invece l’Italia mi è piaciuta tantissimo, a me più ancora che a Veronica. Mi piace il clima, mi piace Lodi, adoro il Belgiardino, sto bene qui. Sono arrivata tre anni fa, e un po’ mi sento a casa. Ora che devo ripartire mi si stringe il cuore. Da un lato non vedo l’ora di riabbracciare la mia famiglia, dall’altro lato so che non rivedrò mai più questi posti, e mi dispiace. Sì, la tua città mi è rimasta nel cuore».Mi fa piacere. Ora hai un lavoro?«Sì, ho un lavoro. Non ho fatto la cameriera come speravo, ma la badante. E devo ammettere che abituarsi – da ingegnere tutto matematica e numeri – a lavorare con le persone e la loro sofferenza è stato massacrante. Ma per mia fortuna la signora che seguo è una donna dolce e gentile, con cui mi sono trovata più che bene fin da subito».E Veronica?«Anche lei ha trovato un posto da badante, come me grazie alla zia; ma è stata meno fortunata perché deve occuparsi di una donna molto malata e quindi particolarmente difficile da seguire. Ci vediamo ogni domenica e quando mi racconta cosa le succede mi rattristo. Comunque anche per Veronica questa esperienza sta per finire».Tornerà a casa anche lei?«Certo, faceva parte del piano che vogliamo seguire fino alla fine. L’Italia doveva essere una bella parentesi, e così è stata. Un po’ più impegnativa del previsto, ma sicuramente avvincente. Questa esperienza doveva finire: ci eravamo date due anni, ne sono passati tre. Adesso è ora di riabbracciare le nostre famiglie».Siete pronte?«Abbiamo già comprato il biglietto aereo: si riparte a inizio agosto. Sono felice e triste nello stesso tempo. La signora che seguo ogni tanto piange. Mi ha fatto moltissimi regali, per me e per la mia famiglia. Le voglio bene e mi si stringe il cuore quando la vedo così. Ma, credimi, sento di meritare una vita e un lavoro diversi. Spero con tutta me stessa di farcela, nel mio Paese, in Ucraina».

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