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Mercoledì 08 Giugno 2011
«Ho 23 anni, non tornerò in Romania»
«Se dovessi tornare indietro e dovessi scegliere non avrei dubbi per l’Italia»
Edoardo ha ventitré anni, viene da Bucarest e praticamente ha vissuto due vite: la prima, conclusasi tre anni fa, l’ha visto serio, operoso e impegnato, con uno sguardo puntato al futuro. La seconda, nuovissima, gli sta facendo tirare un sospiro di sollievo: il lavoro è sempre una priorità, ma ora, finalmente, Edoardo può anche godersi la sua giovane età.
«Alla sera – ha spiegato –, soprattutto nei fine settimana, stacco la spina e vado a divertirmi con i miei amici. Frequentiamo alcuni locali, chiacchieriamo, beviamo una birra e stiamo bene. La decisione di lasciare la Romania è stata abbastanza improvvisa, ma se dovessi tornare indietro non avrei dubbi».
Alto, abbronzatissimo, con l’andatura rapida di chi non si ferma troppo a guardarsi intorno, Edoardo si muove sicuro in Italia, il Paese che ha scelto come sua nuova casa.
«Mia madre sarebbe più felice se ritornassi in Romania, mi trovassi un impiego come si deve e mi sposassi. Ma io in questo momento ho solo un desiderio: stare tranquillo e vivere con serenità questo momento speciale. Per mettere su famiglia c’è tutto il tempo di questo modo, non credi?»
Ciao, sei italiano?
«No, sono rumeno. Perché me lo chiedi?».
Perché tutte le settimane scrivo sul Cittadino la storia di una persona straniera. Visto che non sei italiano, potresti raccontarmi la tua.
«Ah. E, spiegami un po’, cosa ottengo in cambio?».
Una pagina del giornale dedicata a te e alla tua vita.
«Bello, mi piace. Così poi la faccio vedere a mia madre che sicuramente si emozionerà. Ogni volta che torno in Romania sembra che sia stato via dieci anni. Sarà felice di “leggermi” sul giornale».
Da quanto tempo ti trovi in Italia?
«Da tre anni, non molto. Ma mi sento già a casa. Voglio trascorrere in Italia il resto della mia vita: la Romania è bella per le vacanze, non per viverci. Allora, cosa volevi sapere di me? Cosa ti posso raccontare di interessante?».
Avremmo già iniziato, ma se proprio vuoi le domande, possiamo iniziare dalla più semplice, ossia cosa facevi prima di partire, così capiamo chi sei.
«Allora, ho ventitré anni e sono nato a Bucarest, la città in cui si trovano ancora oggi mia mamma e le mie due sorelle minori, una di diciotto e una di quindici anni. Dal punto di vista economico siamo sempre stati una famiglia “normale”, almeno per gli standard rumeni: pochi soldi, poche possibilità, ma tanto cuore. Mio padre era operaio, mia madre idem. Ma mentre lui lavorava nel settore del legno, lei si occupava di abbigliamento. Tre figli e due stipendi sono una bella sfida da noi. Però, nonostante tutto, sia io che le mie sorelle abbiamo avuto modo di studiare, a dimostrazione del fatto che anche nelle situazioni più difficili la volontà può molto di più di quanto ci si aspetti».
In che senso?
«Nel senso che ci siamo tutti e tre pagati gli studi lavorando a tempo perso il pomeriggio. Io ho fatto il benzinaio, la più grande delle mie sorelle la cameriera in una pasticceria, mentre la più piccina dà ripetizione ai compagni di classe. Per lei è più una questione di principio, perché adesso di problemi economici non ne abbiamo più. Ma la mia famiglia è così: ciascuno, per quel che può, vuole e deve darsi da fare».
Bravi.
«Grazie. Il giorno del diploma ero contentissimo dei miei successi, mi sentivo un “self made man”, uno che si “costruisce” da solo. Sull’onda dell’entusiasmo mi ero anche iscritto all’università, facoltà di economia per la precisione. Sognavo un futuro brillante, poco mi importava di quel che vedevo intorno a me. Ma ho frequentato solo per un anno».
Perché?
«Perché un giorno ha incominciato a farsi strada nella mia testa una domanda, un dubbio atroce, un’incertezza profonda: “Edoardo, tu studi, studi e poi? Dove credi di andare? Quale meraviglioso lavoro speri di svolgere? Pensa a tuo padre in Italia: guadagna in un mese quello che tu guadagneresti in un anno con tanto di laurea in mano. E poi quanto tempo dovrebbe passare prima che ti riesca a trovare un lavoro degno di essere definito tale?”. Ovviamente quella vocina nella mia testa esagerava, ma neanche tanto: mio padre guadagnava davvero cifre importanti rispetto agli stipendi rumeni».
Ma non faceva l’operaio a Bucarest?
«La ditta aveva chiuso, era fallita. Così, per non restare sulla strada a quarantaquattro anni, mio padre aveva seguito seduta stante il consiglio di amici e si era trasferito in Italia. Adesso per fortuna non occorrono mesi e chili di carta per spostarsi».
Quindi, perso il lavoro, tuo padre si è avventurato immediatamente in Italia.
«Esatto. Pensava di fermarsi qualche mese, mettere da parte un po’ di soldi per affrontare il periodo difficile e poi ritornare in patria dove cercare con calma un impiego. Ovviamente con il tempo tutto è cambiato».
Ossia?
«Il lavoro di qualche mese è stato rinnovato continuamente fino a oggi e appena si è aperta una possibilità – l’anziano del gruppo andava in pensione – mio padre mi ha subito chiamato: “Edoardo, se vuoi c’è un posto”. Quello che inizialmente era solo un dubbio, il famoso tarlo che ti rode, diventava un’opportunità concreta e tangibile: potevo partire, vivere con mio padre e lavorare nel giro di pochissimo tempo. Sono rimasto a pensare per tre giorni, meglio dire tre notti, poi ho deciso».
Tre notti?
«Sì, tre notti. Anche perché in fondo sai a cosa stai andando incontro: sai che se ti troverai bene non tornerai più, che smetterai di vivere nel tuo Paese, che dovrai abituarti a una cultura diversa e soprattutto che i rumeni non sono benvisti qui. Mio padre me l’ha sottolineato più volte fin da subito: “Abbassa la testa e vai avanti, o è la fine”. Comunque il dubbio amletico era: restare a casa, studiare e avere la certezza di guadagnare una miseria o – senti senti – trasferirsi, ricominciare daccapo, smettere di studiare e quindi di crescere culturalmente, ma in cambio ottenere un buono stipendio. Ci ho pensato tre notti e ora eccomi qui».
Di cosa ti occupi?
«Monto tende da sole per una ditta del Lodigiano».
Ecco perché sei così abbronzato.
«Scherzi? Sono tutto il giorno sui balconi e i terrazzi, sotto il sole appunto, quindi altroché se sono abbronzato. Ma mi piace quello che faccio: almeno mi permette di stare all’aria aperta e inoltre mi garantisce uno stipendio, che faccio sparire quasi completamente entro la fine del mese».
Cosa intendi?
«Ti spiego: nella vita mi sono sempre dato da fare. Ero uno di quei ragazzi con il senso del dovere e della responsabilità, di quelli che come ti dicevo si pagano gli studi, si impegnano al massimo e non sono mai soddisfatti. Adesso Edoardo è cambiato, è un nuovo Edoardo, più spensierato. È un ragazzo di ventitré anni che paga le spese per il vitto e l’alloggio e le bollette, che mette da parte cento euro al mese per il futuro – perché non si sa mai – e il resto lo spende in tutto ciò che ama».
Ossia?
«Vestiti, scarpe, occhiali da sole, divertimenti, tutto quello che mi piace. L’ultimo acquisto è un cellulare nuovo. Che ne dici? Per quanto riguarda l’auto, invece, uso quella di mio padre: non vale la pena moltiplicare bolli e assicurazioni. Comunque, tornando al concetto, mi diverto molto qui, sai? Ho tanti amici, usciamo ogni week-end, andiamo a ballare, facciamo serata. Insomma, le stesse cose che fanno i ragazzi italiani e che io in Romania non potevo permettermi».
Ti sei integrato, quindi.
«No, io esco solo con i connazionali, anche perché non ho avuto molte occasioni – lavoro a parte – per conoscere gente di qui. No, io sto con i rumeni».
E in Romania?
«E in Romania sono tornato parecchie volte, soprattutto d’estate. Il mio Paese mi piace molto, ma da quando vivo qui mi sembra “fermo”, immobile, come un orologio senza batterie. La gente è statica, le strade anche. Non riuscirei più a vivere nella mia terra natale. Adesso che lo dico, mi accorgo di quanto sia strano, ma è proprio così».
Quindi in Italia per sempre. Cosa vedi nel tuo futuro?
«Voglio andare avanti così ancora per un bel po’: lavoro, divertimenti, spensieratezza. Mi mancavano troppo nella mia vita precedente. Poi, magari, un giorno penserò alla famiglia. In fondo non posso nemmeno immaginare un futuro da solo. Scrivilo, dai, così mia mamma è contenta».
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