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Mercoledì 02 Marzo 2011
Giselle e il “chiringuito” dei sogni
«Voglio tornare a Cuba con mio marito e aprire un bar sulla spiaggia»
Giselle è nata e vissuta a Cuba, con davanti agli occhi un mare blu cobalto, sotto ai piedi la sabbia bianca e sulla testa un cielo limpido con le nuvole disegnate. Fino a cinque anni fa aveva poco da mangiare, questo sì, ma tanta armonia intorno a sé. Poi, per amore, fare le valigie è stato inevitabile.
L’incontro con l’Italia, fino a poco prima un sogno proibito, si è rivelato ambivalente: da un lato un’esperienza felice, con una bella casa, un marito che ama e un gruppo di nuovi amici fidati; dall’altro lato una gabbia dorata per via dell’impossibilità di trovare un lavoro e anche a causa di questo clima davvero sgradevole: tanta pioggia, tanto freddo e poi al contrario un’afa paralizzante e le zanzare. Su questo è d’accordo anche Giorgio, suo marito: meglio Cuba, nessun dubbio.
Così Giselle e Giorgio tirano avanti, cercando di mettere da parte un po’ di denaro e si barcamenano senza grandi entusiasmi qui nel Lodigiano con l’obiettivo di ripartire, prima possibile, e aprire un bar a Cuba, magari sulla spiaggia. «Le nostre idee sono chiare – ha spiegato Giselle –: appena siamo pronti e abbiamo abbastanza soldi, ci mettiamo in viaggio. Compreremo una casa con vista mare, non lontano da quelle di mia mamma e mia sorella, e apriremo un bar tutto nostro. Un “chiringuito”, per la precisione, direttamente sulla spiaggia, con la musica soffusa, le birre ghiacciate e un bel cane a farci compagnia. Non vediamo l’ora: qui abbiamo degli amici cari e delle persone su cui contare, ma non ne possiamo proprio più».
Buongiorno Giselle...
«Con questo bel tempo? Di certo non è un buon giorno, credimi. Sono qui a fare la spesa con l’ombrello, le scarpe inzuppate e ho anche freddo. I miei capelli reggono per miracolo: se non metto il cappello si spezzano tutti».
Noi diremmo: “Non hai il fisico”. Ovviamente sto scherzando...
«Guarda che non ho il fisico davvero. Io vengo da un Paese dove il clima è meravigliosamente piacevole: ci sono tanti lodigiani che non rinunciano a una bella vacanza da noi, soprattutto in inverno. Quindi credimi se ti dico che questo freddo mi distrugge, fisicamente e psicologicamente. Ecco perché non è proprio un buon giorno».
Cosa ci fai qui in Italia?
«È una storia lunga, che ha avuto inizio sette anni fa, a Cuba. Avevo vent’anni, il diploma in tasca e un lavoro da commessa. Vivevo con la mia famiglia, non c’erano preoccupazioni. Ero giovane e felice. Ecco, la mia storia inizia proprio così».
Va bene. Cos’è accaduto poi?
«Era una domenica come tante, una di quelle con il sole a picco sulla testa, la gente in spiaggia, qualcuno in acqua. Io mi trovavo sulla sdraio accanto alle mie amiche quando improvvisamente ci si avvicina un gruppo di ragazzi pronti ad “attaccare bottone”. Non erano male, uno in particolare. Oggi è mio marito».
Però...
«La nostra storia è stata un sogno fin dall’inizio, un sogno bellissimo che spero continui ancora a lungo, magari per sempre, chissà. Ricordo ancora le lacrime il giorno in cui è partito. Ero certa che non l’avrei più rivisto. Mi sentivo il cuore infranto. E invece».
Invece?
«Invece le sue non erano solo parole al vento. Per un anno ci siamo sentiti via e-mail e Messenger. Stavamo ore e ore attaccati al computer, ci raccontavamo tutto. Lui mi ripeteva che non vedeva l’ora di riabbracciarmi, io fantasticavo sulla nostra vita insieme. Sembravano fantasie da ragazzini, ma poi Giorgio è riuscito a stupirmi».
Come?
«Lasciando tutto quello che aveva qui, ossia lavoro e amici, e trasferendosi da me. Abbiamo vissuto insieme a casa dei miei genitori per un annetto circa. Io continuavo a fare la commessa, lui da impiegato si era improvvisato cameriere in un bar. Eravamo felici, ma guadagnavamo pochissimo. Questo era il cruccio estremo: come potevamo avviare un’attività tutta nostra senza i soldi necessari?».
Avevate intenzione di mettervi in proprio?
«Certo, fin dai primi discorsi l’idea era per entrambi questa. Cuba è un Paese meraviglioso che offre ancora la possibilità di avviare un’attività in proprio senza eccessivi investimenti. Pensandoci bene, quali erano le nostre alternative? Una stare a Cuba mettendoci in proprio, l’altra vivere a Lodi lavorando per gli altri. Non abbiamo avuto dubbi».
Ma allora perché adesso siete a Lodi?
«Giorgio sta lavorando e mettendo da parte più soldi possibile. Io ci ho provato con tutta me stessa a trovare un impiego, ma non c’è stato verso: nonostante abbia inviato il curriculum a tutte le aziende della zona e abbia innescato il passaparola più capillare, niente, nemmeno una telefonata. Ormai mi sono rassegnata».
Cosa hanno detto i tuoi genitori quando li hai informati della tua decisione di partire?
«Mio papà era decisamente contrario, mentre mia mamma e mia sorella non facevano che piangere, a tratti di gioia a tratti rattristate. Il mio stato d’animo rispecchiava i loro punti di vista: c’erano giorni in cui mi sentivo elettrizzata all’idea di conoscere l’Italia e giorni in cui avrei preferito evitare di partire. Credo sia così per tutti quelli che devono cambiare vita. Solo Giorgio è diverso».
In che senso?
«Nel senso che lui ha lasciato lavoro e amici, sei anni fa, senza battere ciglio. Mi ripeteva sempre: “Non ti devi preoccupare: a tornare indietro si è sempre in tempo”. Lui ci crede davvero, io un po’ meno: quando hai fatto la tua scelta, tornare indietro significa uscirne sconfitto. Da questo punto di vista io e lui siamo molto diversi».
Come ti è sembrata l’Italia?
«Per me prima di partire era il sogno. Sai, tutti dicono che l’Europa è il massimo. In parte è vero: qui la gente ha un lavoro e non è povera come da noi. Credo che se un mio connazionale aprisse il mio frigorifero, resterebbe di sasso. Non a caso qui in Italia in cinque anni sono ingrassata di otto chili: la cucina è eccezionale. Poi ci sono anche le case curate, le strade pulite, i bei monumenti, le città d’arte, la moda; tutto perfetto, insomma».
Sembra ci debba essere un “ma”...
«Il “ma” c’è: è tutto perfetto ma la gente non sorride, non si fida, non sembra felice. Da noi si balla per strada, qui nemmeno ci si saluta. Io ho avuto difficoltà con la famiglia di mio marito, in particolare con le due sorelle: non mi accettavano, forse perché ho la pelle scura, o forse perché capirsi, quando le rispettive culture sono tanto lontane, non è facile. Poi a scoraggiarmi c’è stata anche la questione del lavoro. Ho 27 anni, voglia di fare e tante energie. E come passo le mie giornate? In casa cucinando o guardando la televisione. Sinceramente non ne posso più: anche la persona più allegra e solare finisce per sentirsi uno straccio in queste condizioni. Almeno potessi uscire a fare una passeggiata».
E invece piove...
«O si muore di freddo, che è lo stesso».
Tuo marito cosa dice?
«Dice di avere pazienza, che presto ce ne andremo. Intanto sono passati cinque anni. In tutto questo tempo ho rivisto la mia famiglia una sola volta, per un paio di settimane. È dura, credimi. Anche se poi al pensiero che lo sto facendo per il nostro futuro, la prospettiva cambia: ritrovo le energie e la pazienza. È solo questione di saper aspettare senza scoraggiarsi».
A parte le difficoltà iniziali, sei riuscita a integrarti qui?
«Posso contare su alcuni buoni amici che resteranno tali per sempre. Quando torneremo a Cuba verranno a trovarci: li ospiteremo a casa nostra. Ma ancora l’italiano resta un’impresa ardua. Forse perché lo uso poco, solo nel fine settimana con gli amici: per il resto c’è la mia bellissima lingua».
Senti spesso la tua famiglia?
«Tutti i giorni. Ho spedito loro dei soldi con cui hanno comprato un computer portatile. Adesso non devono più andare all’Internet caffè per contattarmi. Io lascio il pc acceso sul tavolo e appena sento lo squillo mi butto. Pochi secondi e sono collegata con mia mamma, mio papà e mia sorella. È meraviglioso, vero?».
Altroché. Pensa che fino a pochi anni fa c’erano solo il telefono, costosissimo, e la posta tradizionale.
«Allora sì che ci si sentiva soli e lontani. Non è il mio caso: nella telecamera vedo anche il mio cane».
Fra quanto tornerai a casa?
«Giorgio è convinto che bastino solo un paio d’anni ancora. Io ci conto, davvero. Poi avremo il “chiringuito”, la spiaggia davanti agli occhi, un paio d’infradito ai piedi e un cane a farci compagnia. Sarà il nostro sogno che si realizza. Sento già i commenti degli amici italiani quando si siederanno a uno dei nostri tavoli: “Giselle, Giorgio, qui è bellissimo”. Berremo una birra e ci rilasseremo, coccolati dal rumore del mare».
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