Alejandro ha cinquant’anni, metà dei quali passati sulla strada, prima con un taxi fra le vie di Lima, adesso con un camion fra l’Italia e l’Europa. Ormai i chilometri che ha nelle gomme sono talmente tanti che non li conta più: «Mi piacerebbe solo capire quante volte coprono la distanza Lodi-Lima, sarebbe interessante saperlo».La vita che Alejandro aveva in mente non è esattamente quella che ha trovato qui in Italia: la moglie non ha voluto saperne di restare e la solitudine spesso si fa sentire. Ma per Alejandro va bene lo stesso: «I miei sembrano tutti più felici, e questo mi basta per andare avanti».Testardo e un po’ «ruvido», il nostro protagonista ci ha raccontato la sua storia proiettandoci in un mondo in cui «se non hai ciò che ti piace, non ti resta che farti piacere ciò che hai». Non fa una piega.
Ti posso rubare un minuto?«Giusto uno».
Uno è un po’ poco.«Cosa devi fare? Cosa ti serve?».
Vorrei conoscere la tua storia, se hai un attimo per raccontarmela.«La mia storia è lunga: ho cinquant’anni, ne ho viste di cose».
Immagino. Da dove vieni?«Perù, vengo dal Perù. Lima. Mia moglie è ancora là».
Davvero?«Yes. Io avrei voluto che venisse a stare qui con me, ma non ce l’ha fatta. In tutto si sarà fermata un anno, considerando anche il paio di volte che è venuta a trovarmi nel periodo natalizio. L’Italia non le piace».
Cosa non le piace?«In generale la vita qui, il fatto che «tutti corrono, corrono sempre, e il clima è terribile. E poi non c’è nessuno della famiglia con cui fare due chiacchiere e mi mancano gli ingredienti per cucinare i miei piatti». Se l’avessi costretta a stare qui, adesso non sarebbe più mia moglie. Meglio lontani, ma pur sempre una famiglia».
Tua moglie ha un lavoro in Perù?«No, basta il mio. Con il mio stipendio mantengo tutti».
Tutti chi?«Lei, mia figlia di ventisette anni e mio figlio di diciassette. La grande lavora, fa la cassiera, ma ha due bambini. Ci pensa il “nonno” a darle una mano economicamente. La nonna lo fa fisicamente, invece».
Tuo figlio va a scuola?«Ovvio. Vuole diventare avvocato. Il figlio di un camionista che diventa avvocato è un bell’affare, non credi? Per me sarebbe un grande successo personale».
Facevi il camionista anche in Perù? «No, facevo il tassista. Ho perso il conto dei chilometri che ho percorso nella mia vita. Centinaia di migliaia, da solo o con i clienti, poco cambia. Ogni tanto mi chiedo quante volte ho coperto la distanza fra Lodi e Lima. Fantastico».
Perchè sei partito?«Cosa vuoi che guadagni un tassista a Lima? Una miseria. E tanta manna che ho solo due figli da mantenere e una moglie. Mio nonno aveva una piccola ditta che produceva candele. Non eravamo ricchi, ma un po’ di soldi in casa giravano. Io volevo che i miei figli avessero un’infanzia come la mia, con qualcosina in tasca da spendere e la possibilità di non dover rinunciare a tutto solo perchè mancano i soldi. Così dodici anni fa sono partito. Non è andata bene fin dall’inizio, ma adesso non mi lamento».
Hai fatto molti lavori qui in Italia?«Diciamo di tutto? Ma sì, dai, di tutto. Muratore, tuttofare, magazziniere, operaio e adesso finalmente camionista. Sono tornato alle origini, ai trasporti».
Da quanto?«Da cinque anni, mese più, mese meno».
Dicevi che a tua moglie l’Italia non è piaciuta.«Guarda, non parlarmene. Finalmente mi assumono a tempo indeterminato, ho uno stipendio fisso e posso fare progetti. Sembra un sogno. Cerco una casa a regola d’arte, chiamo mia moglie e la sento felicissima. Pago tre voli aerei: il mio per andarla a prendere e quello di entrambi per tornare qui. «Per il momento il ragazzo lo lasciamo con la sorella», dice mia moglie. «Ok, ci raggiungerà, penso io». Due settimane dopo mia moglie vuole tornare in Perù».
Solo due settimane dopo?«Non è una persona che ama i cambiamenti, mettiamola così. In capo a un mese ha iniziato a tenermi il muso seriamente. Mi chiedeva di tornare tutti in Perù. Ma io cosa potevo fare in Perù? In pochi anni di lavoro qui, la mia famiglia in Perù aveva drasticamente cambiato faccia: tutti più belli e sereni. Tu saresti tornata indietro?».
Credo proprio di no.«Alla fine ci siamo comprati altri due biglietti aerei e siamo tornati a casa. Io per le vancanze, lei definitivamente. Considerato che è arrivata agli inizi di gennaio e partita ad agosto, alla fine è rimasta qui solo otto mesi. Ovviamente ho cambiato casa, vivo con un collega in un appartamento più piccolo e va benissimo così. Torno a Lima una volta all’anno, è capitato che lei sia venuta qui, un paio di volte, se non ricordo male. Va bene così, stiamo meglio tutti. Io spero in mio figlio».
Ti auguri che venga qui?«Ma sì, meglio qui che in Perù. Non fraintendermi: in Perù c’è casa mia, ci sono la famiglia e gli amici, ma qui, almeno finché dura, c’è il lavoro. E il lavoro ti permette di raggiungere i tuoi obiettivi, di realizzare i tuoi sogni. Guarda me: faccio centinaia di chilometri al giorno, mi spacco la schiena, ma posso sentire figli e nipoti contenti della loro vita, posso vedere mia moglie sorridere e sono in grado di mandare mio figlio all’università, se vuole, o di fargli cercare un impiego qui. Questa è la potenza del lavoro. La gente a volte se ne dimentica».
Sono tutti più contenti, non c’è dubbio. E tu?«Io non me la passo male, anzi. Qui ho colleghi e amici, un mese all’anno torno a casa. Potrebbe andare meglio, ma mi accontento».
Sei un po’ filosofo, eh?«Se non hai quello che ti piace, fatti piacere quello che hai. Lo dice sempre il mio datore di lavoro. Ho fatto mio questo pensiero, lo condivido appieno».
Futuro?«Non aspetto la pensione per tornare in patria, quello no, non sono mica matto. Qui i tempi sono biblici e io non ho intenzione di stare sulla strada fino a sessantasette anni. Smetto a sessanta. Ancora dieci, forza e coraggio che ce la faccio».
E poi torni in Perù?«Certo. Torno a casa. Ma mi mancherà l’Italia, già lo so. Qui si sta bene, a differenza di quanto pensa mia moglie».
Grazie, buona fortuna. Non ti ho chiesto come ti chiami.«Alessandro. Alejandro a dire il vero. Molto piacere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA