Caterina ha trentuno anni e quando parla della sua vita prima della partenza, ci fa fare un salto indietro nella storia, quando i panni si lavavano al fiume, la casa era riscaldata da una stufa, la tivù non esisteva e i bambini imparavano la vita fra le mura domestiche. Sembra la favola di cenerentola, solo che Caterina in Russia non sapeva di vivere «una vita dura». Oggi la nostra protagonista è una donna serena e appagata. Con un futuro tutto da costruire. Anche se suo marito progetta di riportarla in Russia, in una bella casetta di legno dove non mancheranno lavatrice e lavastoviglie.
Buongiorno, posso rubarle qualche munto per conoscere la sua storia?«Oh mamma mia».
No, guardi che non c’è nessun problema. Vuole che ci diamo del tu? «Va bene».
Ti spiego con calma. È per la pagina degli immigrati del Cittadino.«Ok, ti racconto la mia storia, ma so che qualcuno mi giudicherà male».
Addirittura?«Fanno sempre tutti quella faccia quando spiego come ho conosciuto mio marito».
Noi non giudicheremo. Almeno, io no. Vai, racconta.«Mi chiamo Caterina e vengo da un paesino nel cuore della Russia che dista cinquanta chilometri dal primo centro abitato di un certo valore».
In che senso?«Nel senso che nel mio paesino c’è solo uno spaccio dove comprare i beni di primissima necessità. Per le cose più, come dire?, voluttuarie, devo fare cinquanta chilometri di strada sterrata. Meglio, dovevo fare. E per cose voluttuarie non intendo il ristorante o il cinema, per quelli ci vogliono centoventi chilometri di strada. Intendo l’abbigliamento, la mensa pubblica e le cose di prima necessità, non primissima».
Una vita abbastanza difficile.«Direi di sì. A parte tutta quella strada, che non percorrevo mai perché non avevo l’auto, il bucato era l’impresa più ardua. Non c’era acqua corrente in casa mia e dovevo andare al fiume, perché ho due bimbi piccoli di sei e quattro anni, e i panni si lavavano spesso. Immagina con la temperatura a meno venti, con la neve, l’acqua da prendere, poi da scaldare. Una vita dura. Ma lo capisco adesso, perché prima era così per tutti noi. Era la “nostra normalità”».
Mi sembra di sentire il freddo.«La mia casa in Russia è circa trenta metri quadri, la maggior parte dei quali occupati da una stufa a legna. Non abbiamo il metano, ci scaldiamo in modo tradizionale. Gli inverni sono lunghi, ma ho sempre avuto la sensazione che i miei figli fossero felici. Il momento più critico è quello del disgelo, quando intorno a casa e per le strade è tutto un pantano. Ripeto, è una vita dura rispetto a quella che sto vivendo qui».
Perché ti trovi in Italia?«Perché mi sono sposata con un italiano».
E i tuoi figli?«Sono nati da una precedente relazione con un uomo russo che non li ha nemmeno riconosciuti».
Racconta.«Dopo la nascita del secondo bambino il mio compagno scompare, letteralmente. Non un contributo, economico o di qualsiasi altro tipo, per far crescere i suoi figli. “Caterina, farai da sola”, ho pensato. È così è stato. Con il solo aiuto di mia mamma, ho cresciuto due bellissimi bambini. Mi sono occupata di loro, gli ho fatto da madre, da padre e da maestra, perché la scuola nel mio paesino non esiste e in Russia autorizzano l’educazione in casa. Mi sono comprata qualche gallina e ho coltivato un pezzettino di terra, rivendendo nel minimarket locale uova e patate. Poi ho cercato di fare dei lavoretti aiutando il vicinato. Guarda, mai avrei pensato di farcela. E invece».
E invece sei una donna in gamba. Come sei arrivata qui?«Con il computer portatile, una porta sul mondo».
Una porta verso l’Italia?«Il tempo non passa in inverno, e allora quando i bimbi dormivano visto che non avevamo la tv mi collegavo a internet e con tanta pazienza, perché la linea era quello che era, navigavo. Per caso, chattando, mi sono imbattuta in un uomo incredibile. Una persona deliziosa, sensibile, che in capo a un mese era a casa mia».
Davvero?«C’era un’affinità speciale, condividevamo gli stessi valori. Si comportava come un padre con i miei figli al punto che nel giro di poco tempo loro stessi hanno incominciato a chiamarlo “papà”. Lui a quel punto mi ha guardata e mi ha detto: “Se loro mi considerano un padre, io mi assumo l’impegno di comportarmi come tale. Sarò parte della loro famiglia”».
Wow...«Wow davvero. È andato incontro a mille difficoltà per noi».
Ad esempio?«Ha sfidato prima l’ilarità e poi il senso di disprezzo di tutta la nostra comunità. Poi ha tenuto testa a mia madre, che non voleva che partissi. Si è inoltre “mangiato” migliaia di chilometri per anni pur di venire a trovarci: aereo, autobus, auto sulla strada sterrata in qualsiasi stagione. Ci ha fatto portare in casa l’acqua corrente così non ho più il problema di andare a lavare i panni al fiume quando torno in patria, ha fatto chili di regali ai bambini, ci ha fatti sentire importanti e alla fine mi ha chiesto di sposarlo».
Sembra una storia d’altri tempi, una favola.«Ma è tutto vero. Credimi, posso farti vedere le foto».
Non dubito. Mi stupisce solo questo incontro al computer.«Fa anche sorridere. Sai che mi ci voleva più di un’ora per caricare una mia foto da fargli vedere? Adesso è arrivata una sorta di adsl, insomma, navighiamo più velocemente, ma fino a poco tempo fa era la preistoria».
Da quanto tempo vivi in Italia?«Da un anno e mezzo, ma mi sembra una vita intera, anche perché qui tutto è diverso e io sono cambiata. Quello che prima mi sembrava normale adesso lo vivo come una fatica assurda».
La prima cosa a cui ci si abitua sono le comodità, vero?«Altroché. La lavatrice è un miracolo, la più grande invenzione dell’umanità. Non parliamo della lavastoviglie. Ho molto più tempo libero non dovendo lavare i panni a mano, per questo parlo l’italiano abbastanza bene: lo studio con calma un’ora al giorno. Altra cosa bellissima è aprire un rubinetto e sentire scendere l’acqua già calda. All’inizio credevo di trovarmi in un sogno».
Dicevi che la gente giudica.«Molti pensano che io abbia approfittato di mio marito. Ma noi, semplicemente, ci vogliamo bene. Solo, è strano il “luogo” in cui ci siamo conosciuti».
Grazie per averci raccontato la tua bella storia, Caterina. Hai progetti per il futuro?«Mio marito sta acquistando un terreno al mio paese. Vuole costruirci una casetta graziosa ma semplice, dove potremmo trasferirci tutti quanti fra qualche anno».
Ne saresti felice?«Io sì, tantissimo. Credo anche i bambini. Ma credimi se ti dico che le prime due cose che ci porterò saranno la lavatrice e la lavastoviglie».
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