Angela, una nigeriana ormai lodigiana

Se non sta correndo, Angela cammina a passo spedito. Sembra il Bianconiglio: un occhio all’orologio, un’esclamazione di sconforto, e le gambe che vanno sempre più veloci. È sempre in ritardo, a scuola come nella vita.L’abbiamo incontrata mentre cercava di recuperare minuti nel tragitto verso il centro città, dove aveva appuntamento con le amiche.Diciotto anni, gli orecchini vistosi e lo sguardo “furbetto”, Angela ci ha raccontato la sua storia dalla Nigeria all’Italia, dove si è definitivamente trasferita con la sua famiglia. Felice della scelta dei suoi genitori, Angela qui si trova bene. È un’adolescente fra le adolescenti: integrata, frizzante e decisamente simpatica.Ciao, dove corri?«Ho appuntamento con le mie amiche in centro, e sono in ritardo, come sempre. Mi sa che mi sgridano anche stavolta».Ti spiace se ti accompagno?«No, ma perché?».Mentre camminiamo puoi raccontarmi la tua storia che uscirà sul Cittadino. Che ne dici?«Ma sì, va bene, non ho problemi. Però dobbiamo procedere a passo spedito, per favore. Riesci a scrivere camminando?».Ci provo. Ma ho anche una buona memoria. Sempre in ritardo, dicevi?«Sempre, puntualmente, per usare un gioco di parole. In Africa non siamo così tassativi: un quarto d’ora di ritardo è puntualità, mezz’ora un lievissimo ritardo, dopo l’ora si inizia a parlare di ritardo vero e proprio. Diciamo che da un lato io sono abituata male, dall’altro lato ho delle amiche terribilmente puntuali, che spaccano il minuto».Ti capisco perfettamente.«Ma, precisamente, cosa vuoi sapere della mia vita?».Solo la tua storia, chi sei, come ti trovi qua. Parli molto bene l’italiano.«Sai che non mi trovo in Italia da moltissimo tempo? Tre anni a luglio. Se parlo bene l’italiano è merito della scuola e soprattutto delle mie amiche: siamo sempre insieme, chiacchieriamo dalla mattina alla sera, anche in classe. Chiunque avrebbe imparato la lingua, con loro. Al mio arrivo era un disastro. Sono andata a scuola che riuscivo a dire poche parole, nonostante due mesi incollata davanti alla tivù italiana. Il primo giorno? Un inferno, ma poi tutto si sistema».Perché ti trovi qui?«Ho ottenuto il ricongiungimento. Il primo ad arrivare è stato mio padre, circa una decina d’anni fa. Io non ero molto convinta che ce la facesse».Perché?«Non lo so, una sensazione. Partiva senza un soldo in tasca, senza un indirizzo, un nome a cui rivolgersi. La ritenevo una scelta avventata».Tu quanti anni avevi?«Otto, ma quel giorno e quelle sensazioni sono stampate nella mia testa come se tutto fosse accaduto ieri. Mio papà partiva, la mamma piangeva, sembrava la fine del mondo. Per un mese niente, nessuna notizia. Poi una telefonata: “Va tutto bene, sono arrivato. Adesso inizio a cercare un lavoro”. Poi di nuovo il silenzio per alcune settimane. Continuavo a chiedermi perché mio padre avesse preso quella decisione».Perché?«Banalmente, per comprarci le mille cose di cui avevamo bisogno: vestiti, libri, cibo, ciò che ogni padre cerca di garantire alle proprie figlie. Economicamente non ce la passavamo tanto bene».Che lavoro facevano i tuoi genitori?«Mio padre faceva l’inserviente in università, mia madre teneva con orgoglio un piccolo orto di fronte a casa. I soldi erano sempre pochi».Adesso?«Adesso mio padre lavora come magazziniere in una ditta, mentre mia madre fa le pulizie per due famiglie; però abbiamo le piantine di pomodori sul balcone, in ricordo dei vecchi tempi. Comunque adesso abbiamo uno stile di vita diverso. Io e mia sorella possiamo andare a scuola serenamente, possiamo vestirci bene, usare il cellulare. In famiglia abbiamo un’auto per muoverci. Insomma, non ci manca nulla: lavatrice, frigorifero, nulla».A chi si deve il merito di un tale cambiamento?«A mio papà in primis, perché è stato lui ad avere l’idea di trasferirsi qui e di tentare la fortuna. Poi anche a mia madre, che lavorando ci ha permesso di ritrovarci tutti insieme qui in Italia».Come è andata a scuola?«Inizialmente come ti accennavo era una tragedia: sono stata inserita perdendo un anno e ho passato qualche mese fra le nuvole perché, ovviamente, non capivo una parola. Poi alcuni insegnanti e le amiche mi hanno aiutata. Adesso sono pronta per affrontare un nuovo anno e la maturità. Aiuto».Tua sorella quanti anni ha?«Mia sorella è più piccina, va in terza superiore. Lei ha avuto la fortuna di iniziare le scuole superiori qui, in una nuova classe dove tutti dovevano ambientarsi. È piuttosto brava e sicuramente si impegna più di me. Mia mamma ogni tanto mi consiglia di prenderla da esempio. “Sì, sì, sì”, le rispondo. Ma poi faccio di testa mia. Io non sono una tranquilla e pacifica, sempre sui libri, quasi mai in giro».Cosa farai dopo le superiori?«Non credo che andrò all’università, non credo proprio. L’università costa parecchio, fra retta e libri. Noi non abbiamo tutti quei soldi e poi non sono io la figlia su cui “investire”».Dai, non dire così.«Se preferisci non lo dico, ma è vero. È mia sorella “quella brava”, quella con più chance. Io sono la “teppista” e tanta manna se mi diplomo».Se sei arrivata fino a qui vuol dire che ce la fai.«Mi sa che hai ragione. Poi vedrò. Mi cercherò un lavoro. Con tre stipendi in casa sarà ancora meglio e mia sorella potrà studiare serenamente».Tu cosa vorresti fare?«L’educatrice in un asilo nido, ma non è così facile. Se non frequento l’università posso provare a cimentarmi solo con le strutture private. Spero di trovare qualche porta aperta. Altrimenti mi va benissimo anche fare l’operaia in qualche ditta, nel qual caso magari mi darebbe una mano mio papà che conosce le aziende della zona».Sembri una ragazza decisa.«Dalle mie parti è così che si va avanti, con le idee chiare e qualche piano di riserva, perché quasi mai le cose vanno come vorremmo. Tutto è più semplice se si segue la logica».Dove vi dovevate incontrare tu e le tue amiche?«Davanti al duomo».Parliamo di venti minuti di ritardo, allora.«Ecco, in Nigeria non sarebbe neanche ritardo. Ciao ragazze».Ciao Angela, grazie per la tua disponibilità. Ragazze, com’è la vostra amica?« È una tipa tosta, non si vede? Si inventa sempre mille scuse per giustificare i ritardi».«Stavolta è stato per via dell’intervista».Ma quando ti ho incontrata stavi già correndo …«Ssssst, altrimenti mi sgridano».

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