Sara ha trentuno anni, è bionda, graziosa e ha uno di quei sorrisi coinvolgenti che facilmente si trasformano in broncio. Insomma, è una sorta di libro aperto, con un viso da cui traspaiono tutte le emozioni. È questo a renderla simpatica, questa sua schiettezza, mentre parli e ti guarda con un’espressione che intima “Che cavolo stai dicendo?”, oppure mentre annuisce e sembra condividere pienamente le tue parole. Ogni tanto questa palese franchezza è una boccata d’aria fresca.La nostra protagonista si trova in Italia da una decina d’anni, è sposata con un connazionale e sa che la vita con lei è stata abbastanza generosa: partita da zero, senza risparmi e senza nemmeno molte speranze, Sara è riuscita a trovare un lavoro a tempo indeterminato e ad acquistare una casetta tutta sua, in cui vive con la sua amata famiglia. Il che, non c’è dubbio, la rende felice.
Ciao, posso chiederti di fermarti qualche minuto per raccontarmi la tua storia?«Sì, ma proprio solo qualche minuto e giusto perché sei tu: devo chiudere questo ordine entro sera e ho ancora parecchio da fare».
Grazie, Sara.«Dai, dimmi cosa vuoi sapere, fammi le domande».
Voglio semplicemente conoscere un po’ meglio la tua vita e scriverla per il Cittadino. Parti pure da dove vuoi.«Allora incomincio da adesso: come vedi lavoro nel magazzino di questa azienda, mi occupo di confezionare i pacchi per le spedizioni. Guarda che però non voglio essere riconosciuta. Mi scoccia, lo sai che sono una persona riservata».
Va bene, non preoccuparti. Non dirò dove lavori e cambiamo nome, ok? Quello che conta è la tua storia, non esattamente chi sei.«Ok, allora vado avanti. Il lavoro non mi dispiace. L’unica pecca è la temperatura: nel magazzino d’estate fa un caldo insopportabile, mentre d’inverno, soprattutto quest’ultimo inverno, la temperatura è scesa vertiginosamente; ogni tanto mi battevano i denti. Per scherzare le colleghe degli uffici mi dicono che così mi conservo bene, che non invecchio, ma sai che freddo? A parte questo dettaglio, sono felicissima del mio lavoro, se non altro perché a differenza di alcuni ragazzi che conosco, almeno io ce l’ho».
Conosci molta gente disoccupata?«Tantissimi connazionali, soprattutto uomini, che hanno lavorato nell’edilizia e che adesso “sono a piedi”, come si suol dire. Anche mio marito l’ha vista brutta, qualche mese fa. Fortunatamente poi il suo capo ha ricevuto una commessa importante, che ha drasticamente cambiato la situazione. Per sette mesi mio marito è rimasto a casa a guardare il soffitto. Ce la siamo cavata in tre con il mio stipendio. Questo, credimi, ti fa affrontare il freddo e il caldo con il sorriso».
Da quanto tempo lavori qui?«Sette anni. Non è poco, vero? All’inizio era tutto un punto interrogativo: cambiavo mansioni continuamente, mi rinnovavano il contratto ogni sei mesi, ero sempre in prestito. Poi è arrivata l’assunzione ed eccomi qui. Finalmente ho un ruolo preciso in questa azienda e ne sono felice».
Da quanto tempo invece ti trovi in Italia?«Più o meno una decina d’anni. Ero una ragazzina quando sono partita. Lasciavo la Romania per seguire mia cugina. La chiamavamo “la pioniera”, perché era l’unica della famiglia ad avere preso una decisione tanto drastica quale quella di emigrare. “Mamma, vedo da Marta la pioniera”. Ricordo ancora quando ho comunicato ai miei l’intenzione di partire. Mia mamma si è sentita mancare. Lo dico per scherzo, ma aveva due occhi sbarrati che sembrava la protagonista di un film dell’orrore. Sai, non eravamo in condizioni drammatiche, all’epoca».
Perché, allora?«Perché volevo sentirmi un po’ pioniera anch’io. Avevo ventun’anni, mi ero diplomata da poco e facevo la cameriera in un locale della capitale. Un locale alla moda, carino, ma non mi sentivo particolarmente portata per quel lavoro. Ancora meno per lo stipendio: non raggiungevo le duecento euro al mese, nemmeno con infinite ore di straordinario. Marta mi diceva di guadagnarne ottocento. Riesci a capire come questo possa fare scattare nella testa un desiderio irrefrenabile di partire?».
Capisco, eccome se capisco. Quattro volte il tuo stipendio. Credo che anche parecchi italiani partirebbero se avessero una prospettiva del genere.«Per arrivare al dunque, riesco a convincere mamma e papà e mi attivo per i documenti. Una trafila a dir poco infernale che giusto una persona molto motivata e poco disperata riesce a portare avanti».
In che senso molto motivata e poco disperata?«Nel senso che se uno è motivato e non ha bisogno urgente si mette le mani in tasca e aspetta. Altrimenti, se non è motivato getta la spugna e se è disperato parte in modo diverso, attraversando a piedi le frontiere ed evitando la questione dei documenti in regola. “Sarà quel che sarà”, si dice. Oggi fortunatamente non è più così».
Conoscevi qualcuno in Italia, a parte Marta?«Nessuno, ma sapevo che lei, una che attacca bottone anche con i sassi, aveva già un lavoro e conosceva parecchie persone. Siamo sempre state buone amiche, abbiamo vissuto insieme tutta la nostra infanzia, sapevo che mi avrebbe aiutata come una sorella».
È andata così?«Direi proprio di sì. Ho vissuto a casa di Marta fino al giorno del mio matrimonio, con un’altra ragazza decisamente simpatica. Una buona amica, ci vediamo spesso anche ora. Ogni sera aprivamo la “scuola di italiano” sul tavolo della cucina: Marta insegnava la lingua a me e all’altra ragazza. Commentavamo le notizie alla tivù in italiano, cercavamo di darci un tono. Insomma, ci siamo impegnate parecchio. E poi è stata Marta ad aiutarmi con il lavoro».
Le devi molto.«Moltissimo. È una persona speciale, anche perché non ti fa pesare la sua ospitalità. Un giorno te la presento».
Volentieri. Come hai trovato il lavoro?«All’inizio facevo la cameriera in una pizzeria. In fondo avevo esperienza solo in quel settore, non potevo pretendere molto di più. E poi tutto serve a qualcosa: è in pizzeria che ho conosciuto mio marito: veniva spesso a prendere il caffè mentre lavorava in un cantiere della zona».
È rumeno anche lui?«Sì. Istintivamente ci si trova meglio con i connazionali. Ci sono usanze e tradizioni in comune, ci si capisce al volo, si parla la stessa lingua. Poi si attacca bottone anche più facilmente. “Ah, parli rumeno. Di dove sei?”, e si incomincia a chiacchierare».
Hai ragione.«Tornando al lavoro, ho fatto la cameriera per due anni circa, poi grazie a passaparola ho colto al volo l’opportunità di fare un’esperienza in azienda. Come ti accennavo i primi tempi era un caos. Invece adesso eccomi qui. Un anno fa ho anche cambiato casa».
Davvero?«Abbiamo fatto il grande salto, acquistando un appartamentino in un piccolo comune della zona. È un po’ più piccolo della casa in cui abitavamo in affitto, ma almeno è tutto nostro. Sai che soddisfazione? Sia io che mio marito partivamo da zero, senza risparmi».
Mi sembri soddisfatta della tua vita.«Altroché se lo sono. Mi trovo in Italia per una decisione che tutti consideravano basata sull’impulso, su una sorta di vanità. E adesso invece questa è la mia vita. Mi è andata meglio che a molti connazionali e a ben vedere anche rispetto a molti italiani. Chi oserebbe lamentarsi? Spero che continui così».
Progetti per il futuro?«Nell’immediato, fra pochi mesi, vorrei farmi una bella vacanza a casa. Vado a rilassarmi dai miei, con tanti libri e la nostra cucina tipica».
Non male come idea.«Dovresti visitarlo, il mio Paese. Ti piacerebbe».
Aspetto il tuo invito.«Dai, per il prossimo anno ci organizziamo».
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