Vorrei che tutti avessero l’assistenza negata a mio marito

Caro direttore, ormai da molto tempo pensavo di scriverle una lettera e finalmente mi sono decisa. Sono la moglie di un vigile del fuoco che per tanti anni ha lavorato presso il comando di Lodi. Lui non c’è più, è morto otto anni fa a causa di un tumore che non gli ha lasciato scampo. Non sono rimasta sola, perché con me ci sono le mie due figlie. Anche se non è stato facile, ho deciso di intraprendere una causa civile che non è ancora arrivata a sentenza, nonostante questo ci terrei a raccontarle il motivo che mi ha spinto a rivolgermi all’avvocato Andrea Pennesi di Bologna, il quale mi sta seguendo in questo lungo percorso. Credo infatti che mio marito si sia ammalato a causa del lavoro e che se fossero state rispettate alcune norme saremmo riusciti a diagnosticare il cancro in tempo per curarlo. Del resto, in 25 anni di servizio si è trovato di fronte a numerosi incendi della più svariata natura, oltre alle calamità naturali. Naturalmente la sua attività ha implicato una costante esposizione a polveri, fumi e vapori, si è trovato a spegnere incendi con sostanze tossiche, senza contare l’esposizione prolungata ai gas di scarico dei motori durante le prove di avviamento delle macchine nelle autorimesse. Con la mia causa io e le mie figlie stiamo cercando di dimostrare che mio marito è stato esposto costantemente a molteplici fattori di rischio, pregiudizievoli per la salute e l’incolumità, tanto è vero che prima la Commissione Medico Ospedaliera presso l’Ospedale Militare di Milano e poi il Comitato di verifica per le cause hanno riconosciuto la causa finale del suo decesso (insufficienza respiratoria da ka polmonare) come dipendente da causa di servizio, atteso che la causa iniziale che lo ha portato al decesso, come certificato dalla ASL di Lodi, è stata dovuta proprio al “K. Polmonare”. La malattia gli è stata diagnosticata nell’agosto del 2003, nonostante la chemioterapia è deceduto nel mese di ottobre dello stesso anno. Al centro delle nostre considerazioni ci sono alcuni aspetti degni di nota: l’insufficienza delle dotazioni di sicurezza, l’omessa compilazione del libretto sanitario, l’omessa effettuazione delle visite periodiche, un aspetto che avrebbe consentito una diagnosi tempestiva. Vorrei che lei potesse capire che cosa davvero mi ha spinta a fare questo passo, a bussare alle porte di uffici che non avevano risposte (o forse non volevano darmele) per poi approdare in un tribunale. Non è certo per attirare l’attenzione o per chi lo sa quale desiderio di gloria. Da quanto mio marito è morto sono sempre rimasta in contatto con i suoi colleghi, molti sono diventati degli amici insostituibili. Vorrei che questi ragazzi avessero a disposizione tutto ciò di cui hanno bisogno, non solo i dispositivi di sicurezza, ma soprattutto una assidua vigilanza medica secondo la legge, quasi sempre lasciata da parte per ragioni di cassa. Fanno un lavoro pericoloso e per questo dovremmo ammirarli, spesso si trovano costretti a raggiungere ambienti dove nell’aria si sprigiona chi lo sa cosa. In fondo lo faccio perché la loro salute mi sta a cuore, perché li rispetto e perché voglio bene a molti di loro. Indipendentemente da come andrà finire la mia causa, ci terrei che questo argomento - troppo importante per lasciarlo cadere - fosse preso a cuore da tutti.

Grazie mille per lo spazio che vorrà concedermi,

un saluto,

L’accorato appello della moglie di un vigile del fuoco di Lodi morto di tumore: «Vorrei che tutti i pompieri avessero l’assistenza negata a mio marito»

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