Un’esperienza drammatica che porterò sempre nel cuore

C’è differenza tra fare e non fare, io l’ho fatto il soldato, di leva. C’è differenza tra partire e non partire. Io partii il 19 agosto 1980, destinazione Albenga (SV), caserma Aldo Turinetto, 72° Battaglione Puglia, centro addestramento reclute. Ci insegnavano a marciare, ma soprattutto a correre, a montare di guardia con il fucile «Garand», anche se nella mia vita fino ad allora non avevo mai visto un’arma. Tre settimane dopo. fatto il giuramento, fui trasferito alla caserma Luigi Cadorna di Legnano, 2° battaglione bersaglieri Governolo. L’esperienza più significante avvenuta nel corso del mio servizio di leva fu il prestare soccorso ai terremotati. Nella sera del 23 novembre 1980, alle 19.30, sentimmo parlare alla radio del terremoto scatenatosi nel meridione, precisamente in Campania e in Basilicata. Alcuni nostri commilitoni, provenienti da quelle zone, si disperarono per i loro cari, senza riuscire a placare la loro paura con una telefonata a casa, dato che le linee furono interrotte. Alle 21.30 suonò l’allarme (il nostro era un battaglione operativo). Ci adunammo nel cortile e ci dissero di preparare tutto il necessario perché la mattina dopo ci saremmo dovuti recare nelle zone colpite dal sisma. Per tutta la notte fummo impegnati nel caricare i camion con tende, sacchi a pelo, coperte, ecc. ecc., tutto quello che serviva in quella situazione. Partimmo alle nove della mattina dopo con camion e pullman, senza aver fatto neanche un’ora di sonno. Come prima cosa telefonai a mia madre, pianse. Telefonai alla ragazza, pianse. Le dissi: “Se non piangi, ti sposo quando torno dal militare’’. Poi sposai un’altra. A partire eravamo circa 1500 militari, prima destinazione Roma, zona Cecchignola (città militare, dove risiedono varie caserme). Arrivammo in tarda serata, l’ora non ricordo. Abbiamo cenato e poi subito a dormire. La mattina del 25 novembre 1980 alle ore sei tutti in piedi, colazione e alle otto partenza per Avellino. Raggiungemmo la destinazione nel tardo pomeriggio. Il nostro comando e i nostri alloggi furono allestiti in un carcere in costruzione e qui incominciammo a scaricare tutto quello che c’eravamo portati per l’emergenza.Verso mezzanotte il nostro comandante, il tenente colonnello Luciano Forlani, ci adunò per comunicare i due turni per i soccorsi, eravamo infatti suddivisi in sei compagnie, di circa duecentocinquanta militari ciascuna. Mentre le prime tre compagnie partivano per i soccorsi le altre restavano alla base per le normali mansioni. Si lavorava tre giorni di fila e si stava a riposo altrettanti giorni. Io facevo parte del primo turno e quel giorno partimmo presto con destinazione Sant’Angelo dei Lombardi, uno dei paesi più colpiti dal terremoto e che contava quasi cinquecento morti su quattromila abitanti. All’arrivo rimasi allibito nel vedere un paese raso completamente al suolo. C’erano bare appoggiate ai muri, lì ho capito davvero la differenza tra la vita e la morte. Ad ognuno di noi fu assegnata una zona da onorare. Scavammo nelle macerie con la paura che qualcosa ci crollasse addosso a causa delle scosse di assestamento. Quello che trovammo furono persone senza vita, anche bambini, mi si stringeva il cuore e piansi non so quante volte. Però mi è capitato anche di tirare fuori dal quel cumulo di rovine gente ancora viva... E lì si esultava! Le condizioni in cui cercavamo di fare il nostro dovere non erano delle migliori: freddo, pioggia, neve e fame ci accompagnavano quasi tutti i giorni. Nei tre giorni di lavoro non potevamo neppure lavarci e cambiarci. Di notte montavamo la guardia per difendere quel poco che rimaneva dagli ‘’sciacalli’’, le cosiddette persone che erano lì al solo scopo di rubare nelle macerie. Mi dissero che potevo sparare, se li vedevo, ma io il più delle volte guardavo in alto, ma non c’erano nemmeno più le stelle. Quelle rimaste erano sul colletto della mia giacca militare. Per fortuna non fu mai necessario arrivare a tanto, quelle due persone che beccai le portai al comando.Dopo più di venti giorni sul campo ci fu dato il cambio da altri militari, precisamente del 67° battaglione ‘’Fanteria meccanizzata Montelungo’’ da Solbiate Olona. La maggior parte del lavoro era stato fatto, essi erano lì per portare via le macerie. Ricordo ancora che quando partimmo, la gente ci abbracciava, ci baciava. Oltre ad aver adempito agli ordini avevamo dato anche tanto calore, tanta umanità. Ci chiamavano eroi ed angeli con la divisa. In quel momento ho provato felicità, anche se il momento era tragico, ma perché sapevo di aver donato un sorriso, qualche parola di conforto a quelle persone così semplici e che avevano perso tutto. Questa drammatica esperienza la porterò sempre nel mio cuore e ricorderò soprattutto i numerosi grazie ricevuti da chi, in quel momento, aveva il vuoto nel loro di cuore.Il 5 agosto 1981 mi congedai.

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