
Assistiamo in questi giorni ad un continuo crescere di tensioni e preoccupazioni per quanto accaduto nel comune di Lodi. Ora la giustizia dovrà fare il suo corso e stabilire se c’è stata una colpa e di quale entità. Abbiamo letto fiumi di parole, comunicati stampa, lettere ai giornali locali, post su Facebook; abbiamo visto interessarsi a Lodi i big della politica nazionale, chi più genuinamente e chi per esigenze di copione. Tanti frame e flash da lasciarci interdetti e incapaci di realizzare bene cosa stia succedendo. Così vorrei provare a mettere in fila alcuni pensieri e suggestioni.Ho sempre inteso la comunità cittadina come una grande famiglia. Alla stregua di una famiglia anche la comunità è in grado di offrire calore, affetto, protezione ma, allo stesso tempo, diventa un giudice severo ed una compagna scomoda quando le situazioni non volgono al meglio. Quando in famiglia succede qualcosa che rompe la fiducia, gli equilibri saltano e ognuno risponde lasciando prendere il sopravvento al suo lato emotivo. C’è chi si sente tradito e tira fuori tutto il suo risentimento, c’è chi cerca di essere comprensivo e trova delle giustificazioni, c’è chi si fa prendere dallo sconforto, c’è chi si chiude nel silenzio e chi invece proprio non riesce a tenere a freno la lingua, c’è chi si vanta di aver previsto tutto e chi invece non ci vuole credere e nega anche davanti ai fatti. Tutte queste reazioni, più o meno articolate, le viviamo anche all’interno di una città quando si affrontano episodi, come questi ultimi fatti di cronaca, che scuotono il tranquillo scorrere della nostra quotidianità. Ma anche in una città dovremmo arrivare al «Pranzo della domenica «. Quel momento in cui tutti si siedono attorno alla stessa tavola per cercare di ricomporre gli strappi e superare le difficoltà. Essere comunità, come essere famiglia, significa avere delle responsabilità gli uni verso gli altri. Significa avere ben presente che gli orizzonti particolari di ciascuno devono armonizzarsi all’interno di un orizzonte più grande e comune. Come in una grande famiglia anche una comunità deve saper riconoscere che ci sono dei particolari momenti in cui occorre mettere da parte gli Interessi personali. Non si può fare finta di nulla quando le fondamenta della «casa comune» cedono. Ci si rende così conto che senza quella «casa comune» viene meno la comunità stessa, perché lì è raccolto quel tessuto di relazioni, di storia, di dialettica che rende viva una compagine sociale e le dà un senso di continuità. Esser famiglia a volte richiede fatica e sacrificio: richiede silenzi anche quando si vorrebbe urlare, pazienza quando si vorrebbe buttare via tutto, dolcezza quando si vorrebbe essere ruvidi, durezza anche quando a volte non si crede di avere la forza necessaria. Ecco in questi giorni ho sentito tante parole, ma poche (da tutte le componenti sociali, non mi riferisco solo a quelle politiche) mi sono sembrate rivolte alla cura della «casa comune». Ognuno cerca di giustificare se stesso e legittimare la propria posizione senza rendersi conto che continuare ad alzare l’asticella della tensione non porterà da nessuna parte.Chi ha sbagliato e parla di spirito di servizio si ricordi che servire il bene comune vuole anche dire sapere quando è giusto fare un passo indietro. Chi semina sentenze e sparge verdetti si ricordi però che non basta rovesciare un sistema e far cadere un governo cittadino, bisogna anche sapere cosa si vuole costruire in alternativa e come farlo. Per tutti un invito a raccoglierci e pensare insieme il domani perché, momenti di forti contrapposizioni come questi, se non affrontati nell’alveo del dialogo schietto e rispettoso, rischiano davvero di minare le basi di una comunità vivace, sanguigna ma pur sempre armonica e democratica come la nostra.
© RIPRODUZIONE RISERVATA