Salvi 400mila metri quadrati di suolo,

così ci candidiamo al fanfullino d’oro

Sconfitti ma non domati. Per Legambiente la sentenza del Tar che legittima la cementificazione della campagna di Lodi è un duro colpo, ma non una sconfitta definitiva. In primo luogo perché, grazie al ricorso, fino ad oggi Lodi non ha visto costruire neanche uno dei capannoni che avrebbero dovuto lastricare di cemento la vasta area agricola di proprietà pubblica su cui il comune puntava in termini di valorizzazione immobiliare, parlando di un business park agroalimentare per accogliere capannoni destinati, inesorabilmente, a restare vuoti e ad aumentare il patrimonio di aree dismesse del capoluogo lodigiano. “La nostra vittoria è nei fatti e non nel dispositivo della sentenza che ci dà torto – dichiara Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia - abbiamo salvato fino ad oggi 400 mila metri quadrati di suolo agricolo da una colata di cemento che si sarebbe trasformata in capannoni vuoti. E per questo ci candidiamo al Fanfullino d’Oro, la benemerenza civica lodigiana: riteniamo di aver svolto un enorme servizio alla città, prima ancora che all’ambiente”. Per 5 anni dunque, grazie all’impegno del Cigno Verde, quei terreni sono rimasti inviolati e oggi probabilmente, con la crisi economica che svuota i capannoni, la speranza che i progetti cementificatori vengano definitivamente abbandonati sono quanto mai verosimili. “Abbiamo sempre considerato profondamente miope e sbagliata – prosegue Di Simine - la scelta di sprecare 40 ettari di buon suolo agricolo per la costruzione di un fantomatico ‘incubatore di aziende’, che non ha uguali per dimensioni in tutto il Paese e soprattutto per il quale non ci sono mai state reali e concrete manifestazioni di interesse da parte di imprese di eccellenza della filiera agroalimentare. A maggior ragione oggi, in una congiuntura economica come quella attuale, che già dal 2009 registra la dismissione di tanti capannoni e strutture produttive. Fin dall’inizio di questa vicenda abbiamo avuto la certezza che la variazione di destinazione urbanistica volesse semplicemente aprire le porte ad una edificazione generalizzata, con evidenti profili di tipo speculativo, anche se l’operatore speculativo in questo caso è il Comune stesso, proprietario dell’area, pianificatore e controllore allo stesso tempo”. Ma per evitare che il rischio cemento possa concretizzarsi, Legambiente è determinata a non arrendersi: “La sentenza dei giudici milanesi non ci soddisfa e non rende giustizia alla tutela di un bene comune, il suolo, da cui la Lombardia e il Lodigiano non possono prescindere. Per questo la battaglia legale continua, al Consiglio di Stato a cui ci appelleremo e, se sarà necessario, anche alla Corte di Giustizia Europea, dove vogliamo smascherare il procedimento di Valutazione Ambientale ‘fatta in casa’ dal comune”.

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