Ridare speranza ai giovani

In una delle mie recenti “filippiche” ambientaliste parlavo dell’impossibilità di coniugare la crescita demografica mondiale, con il saccheggio delle risorse naturali ancora pervicacemente in atto. Altri tre miliardi di bocche da sfamare, nel 2050, richiederebbero un’accorta politica volta, alla bonifica e al recupero di territorio coltivabile, al risparmio dell’acqua dolce, alla difesa del patrimonio ittico, alla salvaguardia delle foreste, al contenimento delle immissioni malefiche in atmosfera. Tutto ciò che, invece, accade sotto i nostri occhi, sembra andare nella direzione contraria a quella che il solo buon senso dovrebbe poter suggerire. Mi pongo ora la domanda sui possibili correttivi adatti a ribaltare quest’oscura prospettiva, e trovo, forse la più importante, risposta in un cambiamento radicale nella formazione dei giovani. Non credo sia, infatti, confutabile il concetto che le sorti del pianeta saranno affidate ai nostri nipoti e al bagaglio informativo e formativo che saremo capaci di trasmettere.Uno studente che si accosta all’apprendimento impara a riconoscersi come facente parte della natura e delle sue regole, in funzione di ciò che l’istruzione ricevuta contiene o non contiene.Provo a spiegarmi meglio.Se un giovane studia economia e nel piano didattico non è incluso alcun riferimento ai fondamentali principi della termodinamica e dell’ecologia, imparerà a fare i conti in maniera parziale e distorta. Stimando il “loss and gain” di una centrale termoelettrica, ad esempio, non riuscirà a comprendere pienamente e a monetizzare opportunamente, né la quota di calore che, come Carnot ci ha insegnato, viene inevitabilmente dispersa, né il costo sanitario ed ambientale provocato dal rilascio di microinquinanti. Se il suo potere sui decisori politici, inoltre, ha un “peso” prevalente, come oggi accade, a nulla varranno le argomentazioni dell’ingegnere e del biologo che di tali fatti hanno, invece, coscienza e piena comprensione. Egli, per contro, rimarrà arroccato dietro il suo computer a seguire gli andamenti di “spread” “bond”, “benefit”, titoli bancari, azioni e rischi di “default”, guardandosi bene dal dare un’occhiata ai preoccupati rapporti degli esperti agronomi ed agrari sulla continua perdita del “top soil” e sulla contrazione della biodiversità. Una conoscenza ed una preparazione completa e compiuta determinano l’assunzione di responsabilità.Un tecnico con una preparazione che include i fondamentali principi sui diritti dell’uomo, l’energetica e la biologia, è certamente capace di valutare se ciò che si sta realizzando risulta utile e sicuro. Purtroppo oggi vengono costruiti ed immessi nel circuito produttivo mostri tecnologici dei quali ciascun conduttore ha una conoscenza settoriale e che, improvvisamente, sfuggono al controllo. Chi ha provocato i disastri nucleari di Chernobyl e di Fukushima? Chi è il responsabile degli sversamenti petroliferi nei Caraibi dello scorso anno? Ognuna di queste calamità è stata provocata da una conoscenza incompleta e superficiale di ciò che si stava maneggiando, da una mancata valutazione dei limiti oltre i quali non era possibile spingersi, e dall’ immorale, miope,per certi versi,cinica certezza di non doversene assumere paternità e responsabilità.Un collaterale aspetto di questa formazione/istruzione aberrante risiede nella prevalenza degli aspetti mercantili su quelli etici. Non è possibile dire che qualcosa è perfettamente noto se non sono state previamente esplorate tutte le ricadute sugli individui, sulle comunità e sull’ecosistema.Un ulteriore esempio chiarisce quest’affermazione. Alcuni decenni addietro (anni cinquanta sessanta), una primaria industria farmaceutica, lanciò un farmaco con effetti ipnotici in sostituzione dei vecchi barbiturici. Il talidomide, invase le farmacie di mezzo mondo con ben cinquanta nomi diversi, prescritto, soprattutto, alle donne in stato di gravidanza. Nel giro di qualche anno si scoprì che la sostanza provocava amelia (completa assenza di un arto) o focomelia e, quando fu ritirata dal commercio, aveva già provocato la nascita di un gran numero di infelici.Un ultimo rilievo, direttamente rivolto alla formazione universitaria, trae spunto da una mia recente conversazione con un giovane laureato in chimica dei materiali, per inciso con la valigia in mano, pronto alla fuga lontano dall’Italia. Ho scoperto in questo ventottenne, una forma di rassegnata assuefazione, accanto ad una vera e propria disperazione. Dai suoi discorsi ho capito che nel cuore delle conoscenze acquisite albergava la convinzione di essere del tutto impotente ed incapace a superare il gap spaventoso tra ideali e realtà. Ecco il principale ostacolo che bisogna rimuovere dalla mente delle nuove generazioni. È indispensabile, urgente, improrogabile ridar loro la speranza che il loro impegno e i loro sacrifici serviranno a mettere sulla rotta giusta il “Titanic” planetario. Mi pare sensato riprendere, in senso molto più vasto, un concetto recentemente espresso dal nostro ministro delle finanze: Se la “grande nave” affonda non si salva nessuno, nemmeno quelli che si credono al sicuro in prima classe.

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