Quanti orsi può sostenere il Trentino, quanti lupi gli Appennini?

La vicenda dell’orsa uccisa da un’eccessiva dose di anestetico dopo aggressioni a persone ed animali è un altro triste capitolo di un ambientalismo emotivo e la conferma che manca in Italia nonostante convegni, documenti e proclami, quella gestione del territorio richiesta da anni anche dalle organizzazioni dei cacciatori e mai attuata. C’è da chiedersi perchè le “istituzioni” abbiano a suo tempo seguito l’onda emotiva che ha portato ad acclimatare l’orsa nel 2000 nel Trentino senza una preventiva indagine su animali domestici, selvatici e popolazione considerando che ogni orso un carnivoro e c’è anche da domandarsi perché presunti ecologisti abbiano favorito l’introduzione del lupo sugli Appennini e in maremma (chi tutela dal loro appetito lepri, caprioli, piccoli di cinghiale ed altri mammiferi?) senza considerarne opportunità e danni alla fauna. Da anni i cacciatori – e significativamente quelli dell’UNCZA, l’associazione che raggruppa quelli di montagna protagonisti di una gestione esemplare della fauna - chiedono tramite il loro responsabile Sandro Flaim, di Trento, indagini precise sul territorio prima di ogni “ripopolamento”. L’orsa è stata uccisa dall’ignoranza di quanti hanno voluto trasferirla nei boschi del Trentino senza riferirsi a quell’attenta politica di gestione del territorio da parte dei cacciatori: un impegno che ha arricchito negli ultimi trent’anni boschi e montagne di cervi, caprioli, camosci e cinghiali, gettando le basi per la sopravvivenza di predatori da tempo estinti in Italia. Quanti orsi può sostenere il territorio trentino, o analogamente altri: 20, 50 o 500? E quanti lupi gli Appennini?

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