
Egr. Direttore, in questo periodo ha avuto larga eco sui giornali la vicenda relativa alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 nati/anno e molte voci si sono levate in proposito, a conferma della validità del detto lodigiano che recita “tüti i can i mövun la cua, tüti i cuion i disun la sua”. Mi aggiungo a questi ultimi e avendo un’esperienza professionale di quasi 40 anni nel settore propongo un contributo alla discussione.Posso capire la reazione indignata dei cittadini interessati dal provvedimento, anche se trovo inammissibili certe modalità di protesta (ad Angera le gestanti hanno addirittura occupato l’ospedale), ma trovo vergognose e inaccettabili le parole di politicastri e simili dettate unicamente dalla volontà di acquisire consensi senza tener conto dei dati scientifici. La decisione di chiudere i punti nascita con meno di 500 nati/anno risale al 2010 con il governo Berlusconi ed era stata validata dalla Conferenza Stato-Regioni. Era una decisione logica e saggia, perché i dati statistici e gli studi scientifici avevano dimostrato come mortalità e morbilità fossero assai più elevate nei piccoli centri e come di conseguenza fosse altamente rischioso, sia per la madre che per il nascituro, l’espletamento del parto in strutture con casistiche limitate. L’allarme era stato lanciato sia dalla società italiana di Ostetricia e Ginecologia sia dalla società italiana di Pediatria; quest’ultima aveva addirittura individuato in almeno 1000 nati/anno la soglia di sicurezza per garantire a mamma e neonato l’adeguata assistenza sanitaria. L’eccezione alla regola doveva essere rappresentata unicamente da quelle strutture collocate in zone problematiche per le vie di comunicazione (sostanzialmente valli di montagna) perché in quelle realtà l’accesso a strutture più grandi comportava tempi eccessivamente lunghi. Come sempre succede in Italia, il populismo e la ricerca del facile consenso da parte dei politicanti regionali hanno rallentato l’applicazione della norma. Un paio d’anni fa la ministra Lorenzin l’ha giustamente riproposta ma ancora una volta la regione ha fatto orecchie da mercante e ha chiesto una deroga al provvedimento, correttamente respinta.Se un ente si chiama “Ministero della Salute” deve giustamente occuparsi della salute dei cittadini e deve portare avanti quelle iniziative che trovano giustificazione negli studi scientifici senza scendere a compromessi finalizzati alla conquista di voti. Un punto nascita non è un bar o un panificio; se il comune cittadino ha la pretesa di averlo sotto casa, il politico serio e onesto ha il dovere di illustrare quali sono i rischi e gli aspetti negativi. Così il presidente Maroni invece di dichiarare demagogicamente “…. Il provvedimento è ingiusto perché penalizza i cittadini”, dovrebbe correttamente dire quali sono le percentuali di parti con taglio cesareo in tali strutture (si arriva a superare il 30% quando per le gravidanze fisiologiche dovrebbe esserci una media di cesarei inferiore al 15% ), quanti sono i neonati che vengono trasferiti subito dopo il parto (con conseguente separazione dalla madre) a seguito di complicazioni, quanti sono gli eventi negativi che si verificano, quali sono le garanzie di professionalità che vengono offerte. In molte strutture piccole, ad esempio, non esistono équipe dedicate e talvolta i turni notturni sono affidati a medici gettonisti esterni (alla modica cifra di 600-700 Euro a notte) senza alcuna garanzia di continuità assistenziale e con un notevole spreco di soldi pubblici. Il concetto di “evidence based medicine” (vale a dire i risultati degli studi scientifici che devono guidare la programmazione sanitaria) non può essere invocato solo quando fa comodo: ci vogliono correttezza, serietà e coerenza. Quando il punto nascita piccolo fa parte di un’azienda ospedaliera più ampia (praticamente sempre), parte del personale infermieristico deve essere decentrato nel presidio piccolo (e finisce per essere sottoutilizzato per i bassi volumi di attività) e spesso mette in condizioni di carenza di personale il presidio più grande. Purtroppo questo elemento non viene mai considerato.Perché talvolta per la copertura dei turni di guardia medica si fa riferimento a gettonisti esterni? Perché di pediatri ce ne sono pochi e di richieste ce ne sono tante. Ovvio e logico che un medico scelga di andare a lavorare in un ospedale che gli garantisce una crescita e una soddisfazione professionale costante e che non lo costringe ad essere di guardia in piccole strutture dove il rischio è sempre dietro l’angolo.E che di pediatri ce ne siano pochi non è una novità, ma, come sempre, anche in questo caso i politicanti della sanità hanno dormito sugli allori. Sono anni che la società italiana di pediatria denuncia il fatto che il numero dei medici che si specializza ogni anno in pediatria è inferiore a quello dei pediatri ospedalieri che vanno in pensione. Questo significa che quand’anche tutti i nuovi specialisti scegliessero di lavorare in ospedale (cosa che non è perché buona parte preferisce lavorare sul territorio), la copertura del turn over non sarebbe garantita.E cosa hanno fatto i politicanti della sanità per affrontare e tentare di risolvere il problema? Nulla, assolutamente nulla. Nella nostra regione da anni ormai il piano sanitario è solo un elenco tariffario e niente di più. Nessuna progettualità, nessuna volontà (capacità?) di risolvere una capillarizzazione di ospedali che finiscono per essere dei doppioni estremamente onerosi per i bilanci e di nessuna utilità per i cittadini. E non ci sarebbe bisogno di inventare nulla, basterebbe guardare quello che è stato fatto in altre regioni (Toscana, Liguria, Emilia, Veneto) dove i piani sanitari non si sono limitati a cambiare le denominazioni dei servizi ma hanno inciso profondamente e proficuamente sull’offerta sanitaria. Alcide De Gasperi diceva che “la differenza fra un politico e uno statista sta nel fatto che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni”. Chissà che prima o poi anche in Lombardia si riesca a trovare uno statista…
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