Omaggio a Maffi in una mostra che accomuna rigore e gusto

In questo momento della crisi o meglio, seguendo le invettive di Testori, dello sfacelo, sorprende trovare aperta a Lodi, alla chiesa dell’Angelo, questa importante e degnissima mostra sull’opera grafica di Ugo Maffi pittore nostro che per pensiero e risultati ottenuti riveste un interesse che, in maniera evidente, supera i limiti locali. Per la prima volta sono esposti una significativa rassegna di fogli che permettono di seguire lo sviluppo di tutta la carriera dell’artista; fogli scelti con gusto e competenza dall’amico, per oltre cinquanta anni, Tino Gipponi, scrittore-critico capace di individuare le opere in un corpus di oltre cinquecento fogli tra calcografie, litografie e silografie (mai fatta invece una serigrafia). L’instancabile Gipponi ha inoltre scritto il saggio per il catalogo e ha curato il sobrio allestimento, come dovrebbe essere sempre.Quante rassegne di pittura e di grafica invece mancano dei principi di rispettato rigore e di gusto presentando opere di diseguale risultato? L’esposizione è costruita da una sequenza di esemplari che meriterebbero ognuno una disamina data la loro specifica importanza nel percorso artistico di Maffi e non solo suo. Seppure non presentati volutamente in un ordine cronologico, le opere sono però raggruppate in base alla tecnica utilizzata. L’iniziale silografia in nero del 1965 intitolata “Famiglia” testimonia i modelli a cui si ispirava Maffi a quella data, ovvero quelli della pittura espressionista nordica, come ricordato con precisione nel testo. Di notevole sorpresa sono le litografie realizzate dei primi anni Sessanta sino alla metà degli anni Settanta. Le più antiche in bianco e nero hanno spunti naturalistici e realizzate su pietra litografica, e sorprendono per l’anticipo e la coerenza con i temi cari a Maffi e sviluppati nella coeva pittura. Di spicco le “Lettere d’amore”, tema a cui dedicherà anche un libro d’artista stampato nel 1976, e dalla Lodigraf ripetuto nel 1977; le tre versioni di “Elegia per l’uomo” del 1973-74, in una cartella con liriche di Dino Carlesi con Gipponi altro suo assiduo critico.Ricostruendo, anche a grandi linee, quello che è accaduto in quel tempo sulla scena artistica nazionale si comprende come il linguaggio di Maffi fosse aggiornato alla modernità con uno scatto in avanti rispetto alle ricerche di frusto accademismo; un linguaggio nuovo da non essere immediatamente (ma ora sì?) capito nel nostro territorio. Infine le acqueforti e acquetinte con le tipiche figure nascoste tra le fronde, della metà degli anni Ottanta, e i “Lacerti della memoria” di fine decennio. E poi la serie delle silografie, a cui era stato dedicato un omaggio nella scorsa primavera in occasione della seconda edizione del Premio nazionale di Xilografia “Città di Lodi”. La silografia tecnica già sperimentata dall’artista ai suoi esordi, per esempio con “Il principio della barricata”, perfezionata in esiti sorprendenti per leggerezza e per perizia tecnica cominciando dalla “Variazione della notte III” del 1989, seppur nominata in catalogo “Senza titolo”, concepita con l’inchiostro allungato all’acqua e interventi segnici a penna e quella del 2003. Sull’altare dell’ex-chiesa sono esposte anche due matrici lignee affiancate dall’opera stampata: si riesce così a comprendere, almeno in parte, il processo di stampa silografica e la sua matrice, soggiungendo che l’artista spesso usava per la varietà coloristica la tecnica a legno perso, di cui era maestro il trentino Remo Wolf, un incidere sempre sulla stessa matrice lignea originaria (che non è una lastra) per strati d’avanzamento e quindi senza ricorrere all’utilizzo ogni volta di un altro supporto. Il merito di questa esposizione, che è una ulteriore testimonianza del valore artistico di Ugo Maffi, è quella di distinguere la sua personalità in un momento di grande confusione ed incertezza nel campo dell’arte.

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