Lodi e il Lodigiano finiscono per annegare in un mare magnum

L’edizione de “Il Cittadino” del 27 luglio informa i lettori che per la Camera di commercio di Lodi è iniziato il conto alla rovescia in vista dell’ingresso nella costituenda Camera metropolitana. L’operazione è una conseguenza della riforma voluta dal governo Renzi che prevedeva la riduzione sul territorio nazionale degli enti camerali attraverso gli accorpamenti.

Lodi si riunirà dunque con Milano e Monza-Brianza per dare vita a un maxi ente composto secondo i dati più recenti da 575mila imprese, di cui 17mila lodigiane: fatti quattro conti, si intuisce fin da ora il “peso” che avrà il nostro territorio nella nuova istituzione.

La sede della Camera di commercio di Lodi resterà comunque operativa a tutti gli effetti, garantiscono, e soprattutto (questa è senza dubbio una buona notizia) “tutti i posti di lavoro saranno mantenuti”, come conferma il presidente Pierfrancesco Cecchi.

Dal punto di vista logistico, si evince che, rispetto al passato, non cambierà nulla e la domanda sorge spontanea: a che pro questa riforma? Risparmio di soldi e risorse? Non si direbbe.

Di concreto c’è che Lodi e il Lodigiano finiscono per annegare in un mare magnum dove al momento è del tutto sconosciuto il ruolo che rivestiranno il territorio e le sue imprese. La conferma arriva dallo stesso Cecchi nell’artico pubblicato da “Il Cittadino” del 27 luglio, che suscita una serie di interrogativi. Il primo riguarda la Consulta del Lodigiano, “ un organismo che all’interno del distretto di Lodi si propone di fare da collante fra il territorio e gli organi direttivi della Camera metropolitana”.

Sarà composto da 15 membri designati dalle associazioni di categoria.

Ma poi viene il bello: “L’auspicio delle imprese lodigiane - continua Cecchi - è che la sua istituzione sia riconosciuta dallo statuto della Camera metropolitana”.

Ah, quindi mica è sicuro che questa consulta non venga rispedita al mittente.

Si parla poi della possibile figura di un “referente” all’interno della sede distrettuale di Lodi, ma anche in questo caso siamo a livello di auspicio: “A Lodi ci stiamo battendo affinché all’interno della nostra sede distrettuale rimanga un referente che possa svolgere un ruolo simile a quello svolto dal segretario generale, dato che anche questa figura non è più prevista a livello locale”.

Ciliegina sulla torta, il “tesoretto” di 500mila euro rimasto (per ora) in dote alla Camera di commercio di Lodi: anche su quello, predomina l’incertezza: “È stata presa una delibera di indirizzo per ottenere dal nuovo ente che questi soldi possano essere reinvestiti sul territorio lodigiano - ancora Cecchi -. Sono soldi frutto di una gestione virtuosa della Camera di commercio di Lodi, non vogliamo che vadano dispersi”.

Insomma, un vero affare questo accorpamento, parte di una riforma (?) governativa che al pari di quella Delrio sulle province brilla per la sua (nulla) efficacia, soprattutto a livello di risparmi.

Per fortuna, nel secondo caso, e mi riferisco alla Delrio sulle province, i cittadini hanno bocciato la riforma a furor di popolo, anche se le conseguenze nefaste si riflettono sugli enti locali, in gran parte avviati al dissesto (hanno smontato le province e poi hanno chiesto agli elettori se andava bene, una pratica alquanto singolare).

Se sugli accorpamenti delle Camere di commercio a questo punto bisogna fare i conti con l’ineluttabilità, resto comunque perplesso sui commenti entusiastici che negli scorsi mesi hanno preceduto l’operazione fusione. Non si pretende che, come accade in alcuni territori vicini, si faccia il diavolo a quattro per chiedere l’impossibile (per avere in cambio un minimo), ma forse valeva la pena riflettere ulteriormente su strategie e alternative in vista dell’accorpamento, giusto per evitare che il Lodigiano, come già è accaduto nella sua storia, assista senza reagire a quello che gli passa sopra.

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