Siamo profondamente colpiti da ciò che, dopo anni di lotte e resistenza, è accaduto in questi ultimi giorni in Val di Susa; sia dall’incidente irresponsabilmente favorito da chi avrebbe dovuto scongiurarlo in tutti i modi, sia dal dramma di una terra e di un popolo che coraggiosamente resiste e alza la voce, pacificamente ma con forza, per farsi ascoltare. La Val di Susa è giustamente divenuta l’emblema, come scriveva Marco Revelli, sul Manifesto di qualche giorno fa, di un potere totalmente incapace di ascolto e quindi di vera democrazia. La tragedia di Luca Abbà deriva proprio da questo non ascolto: non si ascoltano i pareri della popolazione, ma neppure quelli dei molti e qualificati esperti, che da anni, sulla base di dati precisi e dettagliati, sottolineano l’inutilità e il folle impatto ambientale ed economico, di un’opera non utile per il paese. È singolare che ancora oggi chi sostenga la necessità di quest’opera non entri nel merito, non spieghi perché, dicendo solo che va fatto punto e basta, o che bisogna discutere purché l’opera si faccia. Ma se è un’opera è inutile, e anche dannosa, non si deve fare, in particolare in questo periodo di risorse scarse per i servi sociali e per l’ambiente.
Alle istanze della popolazione valsusina e di quanti condividono la sua lotta si risponde per l’ennesima volta con una militarizzazione antidemocratica del territorio, con utilizzo di manganelli e gas tossici, in un’operazione che ha trasformato la valle in una sorta di campo di addestramento, come sostengono anche alcuni europarlamentari, che hanno visitato il cantiere.
Per questo esprimiamo la nostra vicinanza a Luca Abbà e a tutti coloro che, dentro e fuori, dalla Val di Susa, ne condividono l’impegno contro l’ottusità burocratica e l’arroganza di un potere sempre più distante dai bisogni della gente.
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