Il Lodigiano, il Sudtirolo e un sogno

Gh’em da mangianu amò ad michett! La vetusta espressione lodigiana tipica ben si adatta alla riflessione che riguarda il lodigiano, inteso come marketing o meglio ancora come cultura di vita. Passeggiando in un paese del Sudtirol-Alto Adige grande meno di Orio Litta, riscontravo per l’ennesima volta un confronto amaro. Nella via principale attraversata dalla statale della Pusteria, non c’è casa che non sembri nuova. Tranne presso una vecchia Cantoniera, quindi non di proprietà dei locali, dove il prato era lasciato “a zerb”. Ogni tanto però il mio naso, peraltro atavicamente avvezzo a certi profumi di campagna, mi faceva storcere gli occhi: ed ecco, al livello della strada due finestrelle con antiche sbarre ferrate. L’odore familiare di buon letame mi fa venir voglia di fermarmi a sbirciare: intravedo nel buio una bella stalla, di quelle che avevo da bambino di fianco a casa, con posteriori di vacche che si stagliano nella fioca luce. Vacche da latte in pieno centro paese, presso la macelleria e di fronte al negozio di scarpe e trekking! Per me non è una sorpresa: in Sud Tirol da 25 anni trascorro qualche vacanza. Tutto l’Alto Adige ( ma attenzione , meglio non chiamarlo all’italiana...), Regione bilingue a statuto speciale è un piccolo paradiso: nonostante le stalle in piazza! Fin qui, nulla di strano: l’Italia è varia e molto bella ovunque con un però: perché lassù le stalle ci sono ancora e da noi sono vuote, cadenti ed in via di estinzione? Se mangi in un ristorante, una cucina peraltro ottima e tradizionale ma aperta alle ricette più moderne, usano sempre e solo prodotti locali, dando slancio ulteriore alle produzioni tipiche, ormai ben conosciute in tutta Italia ed in Europa.Queste cose, da quando sono sindaco, mi infastidiscono molto più di prima. Noi piccoli lodigiani e grandi lombardi, quante michette dobbiamo mangiare per cercare almeno non dico di imitare ma solo di iniziare una politica di marketing di quella regione che sembra paradisiaca? Certo partiamo in grave ritardo, ma qualche carta da giocare non ci manca, credetemi e credeteci. La Lombardia in quanto a montagne e laghi, in quanto a prodotti tipici certificati, non teme confronti; il nostro piccolo Lodigiano comincia adesso a pensarci. Purtroppo però noi siamo esterofili: non consumiamo più di tanto prodotti di casa nostra, preferendo l’esotico o l’economico di dubbia provenienza. La Lombardia, se ci pensiamo bene, sarebbe un paradiso ben più grande del Sudtirol: geograficamente, culturalmente, artisticamente, economicamente ed eno gatronomicamente. Ma ad un patto: serve prendere coscienza dell’essere “lumbard”, serve sentirsi uniti dallo stesso dialetto, dalla stessa storia, dalla stessa cultura. Non è tempo di alzare tante alabarde a difesa del castello: basta che la Regione operi la svolta con leggi adeguate a tutela dei nostri prodotti, che le Province la seguano ( e Lodi lo sta già facendo), che i Comuni siano aiutati a sostenere una politica di riscoperta e promozione della cultura locale, supportati da una politica che premi la progettualità seria e le idee fondate sulle radici. Alla nostra identità io ci tengo da sempre: da giornalista e storico scrivo in dialetto dal 1984, nel 1994 da docente portavo il dialetto nella scuola per misurare come e quanto abbiamo perso di noi stessi. Tengo molto alla nostra cultura, ma non per chiuderci in noi stessi quanto per rimarcare le nostre radici e le bellezze del nostro territorio di pianura, coi suoi cieli manzoniani e le vecchie stalle da non lasciar cadere perchè testimoni di una storia che viene da lontano e di cui io sono orgoglioso e, credo, noi tutti dobbiamo essere orgogliosi e memori. Solo così la globalizzazione non appiattirà fino a sommergere i nostri figli e i nostri nipoti, rendendo grigio e vuoto un territorio antico e mobilissimo.Solo così sapremo ripartire, anche in tempi di crisi: rimarcando la bellezza dei campi fertili biancheggianti di latte buono e riso, il rilassante pedalare sulle ciclabili, gli orizzonti tranquilli come lo scorrere del Po, dell’Adda e del Lambro, con i salici a testimoniare com’era verde la nostra Bassa.

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