Ho accettato la malattia, ora la guardo con occhi diversi

Caro Direttore, attraverso le pagine del “Cittadino” vorrei raccontare l’esperienza di mia madre alle prese con l’Alzheimer.Quando ha iniziato a perdere la memoria, abbiamo cominciato un percorso insieme. Tutto in salita. Non si prendeva più cura di lei, lei cuoca bravissima non riconosceva gli alimenti e il cibo che mangiava. Si cambiava radicalmente modo di vivere, erano sorti problemi di coppia, era difficile far combaciare i nuovi orari con quelli del lavoro. Abbiamo dovuto togliere tutte le chiavi, cambiare il piano cottura perché non più sicuro. E anche fare la doccia era un problema perché era sempre troppo fredda o troppo calda. Non era mai il momento giusto per la terapia. Scappava, di notte voleva uscire e le ore di sonno erano sempre meno. In questo cammino ho trovato un aiuto enorme in mio marito, che nei momenti di crisi mi ha sempre aiutato. Alla fine ci siamo rivolti al centro diurno della Fondazione Castellini di Melegnano, dove la accompagnavo la mattina e la riprendevo la sera. In questo modo la mamma era controllata, ma soprattutto in compagnia di tante persone praticava attività varie come leggere, disegnare o uscire in gruppo per andare il giovedì al mercato o al parco del castello. Io ho avuto bisogno di un sostegno psicologico, sempre alla Castellini ho partecipato all’Alzheimer caffè. Ho aderito a qualsiasi iniziativa nella speranza di riuscire ad accettare questa malattia o perlomeno capire perché ad un certo punto della vita una donna, una mamma dimentichi di avere dei figli e non riconosca i suoi adorati nipoti. Per me perdere la memoria è come morire, perdere se stessi, gli affetti, la tua storia. Mi hanno chiesto: quando ti rendi conto che è giunto il momento di ricoverarla? Per me è stato quando ha trovato un coltello e con questo girava per casa. Io mi sentivo come svuotata, ho capito che non bastavo più. Tre giorni di pianto a combattere con i sensi di colpa. E lei invece entra serena nel reparto di accoglienza Corallo alla Castellini. Non si incuriosisce per la valigia, è tutto molto normale e naturale. In poco tempo è visibile in lei il cambiamento, è un parlare fitto fitto con tutti gli ospiti della Fondazione. Lei nata a Reggio Emilia parla nel suo dialetto, un’altra risponde in milanese e si capiscono benissimo. È bellissimo vederla lavorare con i ferri di nuovo o sentirla cantare a squarciagola. Per lei la Fondazione è diventata casa sua.Anch’io sono cambiata: ho accettato la malattia, ma non il dolore che comporta. Ora la guardo con occhi diversi.Mia madre è sempre bellissima, la scopro ancora piena di risorse.Noto che quando l’abbraccio il suo sguardo si accende, si fa dolce, è radiosa quanto mi vede e questo mi basta.Ringraziando per la cortese disponibilità, porgo cordiali saluti.

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