Educare è difficile, allora perché contestate i professori?

La recente proposta del ministro della Pubblica Istruzione Francesco Profumo di portare a 24 (dalle 18 attuali) le ore di insegnamento settimanale per gli insegnanti ha alimentato, come è normale che sia, un acceso dibattito. Le legittime preoccupazioni di chi vede in questa direttiva un serio pericolo per la Qualità (e sottolineo: Qualità) dello studio sono state controbilanciate dal parere di diverse persone (tra le quali è ragionevole pensare vi siano genitori con figli in età scolare) che hanno salutato favorevolmente questa proposta del Ministro, interpretata come una specie di “punizione” per chi, spesso, viene considerato un lavoratore privilegiato. I luoghi comuni, in tal senso, si sprecano: gli insegnanti lavorano mezza giornata, fanno tre mesi di ferie, il pomeriggio sono liberi e vanno per negozi, ecc. ecc.

D’istinto verrebbe da dire a queste persone: entrate voi in una classe, provate cosa significa avere di fronte 25/30 ragazzi (talvolta anche di più) ai quali dovete parlare, spiegare concetti, trasmettere nozioni; ragazzi che dovete guidare, aiutare a ragionare, seguire, valutare.

Ma sarebbe riduttivo chiedere una cosa del genere, e forse anche sbagliato.

Tutti voi, tutti noi, abbiamo cominciato ad avere a che fare con gli insegnanti dall’età di 5/6 anni e questi vostri/nostri insegnanti ci hanno, per almeno una dozzina d’anni, accompagnato verso il nostro percorso di crescita. Ci hanno educato.

Perché il nostro mestiere è proprio questo: educare.

Educare è una parola che deriva dal latino educere che significa “tirar fuori” ( e = da, fuori da/ ducere = condurre). “Tirar fuori”, quindi, come sinonimo di “accompagnare”. E questo è il nostro ruolo: accompagnare i vostri/nostri ragazzi verso il futuro; dare loro gli strumenti per crescere, relazionarsi con gli altri, imparare ad affrontare il mondo del lavoro e la vita di tutti i giorni, costruire il loro avvenire e aiutarli a “tirar fuori” la loro personalità.

Il nostro (come tanti altri, per carità) non è un lavoro facile. Ma fare l’insegnante non significa, come molti superficialmente pensano, entrare in classe e spiegare sempre le solite cose. È molto, molto, molto di più. E tutti voi che siete stati studenti lo sapete bene. Perché allora, al posto di aiutarci a rendere più efficace e più costruttivo il nostro lavoro, ci contestate? Perché siete contenti quando un Ministro si inventa una proposta così strampalata, priva di qualsiasi valore pedagogico, così… vendicativa?

Il mondo della Scuola è purtroppo ogni giorno messo pericolosamente in discussione. In pericolo è la Qualità dello studio, con tutte le conseguenze (per il futuro dei nostri figli) che non è difficile immaginare. Perciò io chiedo a tutti voi: non contestateci. Aiutateci. Aiutateci a costruire una migliore didattica; aiutateci a rendere più efficiente la scuola; aiutateci a migliorare noi stessi. Per il bene nostro, vostro ma soprattutto per il bene dei vostri figli. Nel farlo dovete assolutamente essere severi, esigenti e inflessibili con noi.

Ma per costruire, non per distruggere.

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