Ecco come fu demolito lo sperone delle mura

Caro Direttore, sono purtroppo abbastanza v ecchio per ricordarmi dello sperone delle mura di cui si parla nell’articolo a firma Cristina Vercellone pubblicato sul Cittadino del 23 settembre.

Lo sperone si trovava in fondo a via Secondo Cremonesi, in posizione praticamente coincidente con l’angolo dell’attuale cancellata dell’Ospedale, e era circondato da cespugli di more selvatiche i cui frutti maturi attraevano irresistibilmente noi bambini.

Quanto mi fu raccontato parecchi anni dopo da Armando Novasconi può completare quanto riportato nell’articolo.

Quando venne iniziata la costruzione del nuovo Ospedale l’impresa, o chi per essa, contattò la Soprintendenza per chiedere il permesso di demolire lo sperone (che, come ricordato nell’articolo, non dava alcun fastidio alla nuova costruzione). Il vicesoprintendente architetto Degani (quello del restauro del Duomo) rifiutò decisamente, nonostante forti pressioni politiche da parte di Giuseppe Arcaini che all’epoca, oltre alle altre prestigiose cariche, aveva anche quella di presidente dell’Ospedale.

Degani riteneva che lo sperone facesse parte delle mura spagnole, probabilmente per il tipo di mattoni e per la sua forma appuntita (forma adottata per gli spigoli delle mura delle città a seguito dell’introduzione dell’artiglieria e che peremetteva di deviare le palle di cannone senza fare troppi danni).

Come io stesso ricordo, nell’avanzare con i lavori venne ammassata all’interno dello sperone e contro di esso, per un’altezza parecchio superiore, la terra ricavata dallo scavo delle fondazioni dell’Ospedale.

Dopo non molto tempo lo sperone, sotto la spinta della terra, si piegò pericolosamente in avanti, per cui fu demolito. Seguì la denuncia alla Procura del Degani, con l’esito che sappiamo dall’articolo della Vercellone.

Si può pertanto comprendere l’indignazione di un galantuomo come era il Degani, tenendo inoltre presente che poco tempo dopo la Soprintendenza lo trasferì d’autorità in Puglia (mi pare a Bari), creandogli non pochi problemi, visto che insegnava alla facoltà di architettura del politecnico di Milano.

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