È così difficile produrre maggiore sforzo di fantasia?

Il governatore della Lombardia Roberto Maroni in visita a Lodi, a proposito del futuro del territorio, ha dichiarato che la Regione intende rispettare «il volere dei lodigiani», favorevoli, a quanto si dice, alla Città metropolitana. Che cosa si intende per «lodigiani»? Il direttorio della Provincia nominato con votazioni (eufemismo) di secondo livello e non eletto dai cittadini? L’assemblea dei sindaci che sulla questione si è espressa con più di un distinguo dopo la proposta di una sinergia arrivata dal territorio cremasco? Le varie associazioni di categoria che in qualche caso sono guidate da persone che nemmeno risiedono nella provincia di Lodi? I (due) rappresentanti lodigiani a palazzo Lombardia, che hanno sottolineato a più riprese il loro gradimento nei confronti di Milano? Sono fiducioso quando il governatore della Lombardia afferma di «voler rispettare il volere dei cittadini» e di prevedere «le consultazioni necessarie», che per ora, a livello di popolazione (e non solo nel Lodigiano), non ci sono comunque state. Sarebbe interessante comprendere nel frattempo anche quali risorse, compiti e funzioni avranno le Aree vaste, ammesso (e non concesso) che qualcuno lo sappia, ivi compreso chi ha partorito la riforma (altro eufemismo) per effettuare una scelta ponderata prima di assumere decisioni, le cui conseguenze non sono al momento ancora ben chiare (il capoluogo, per esempio, perderà prefettura e questura?).

Invece di raccontare ai cremaschi che se uniranno il loro territorio con il Lodigiano perderanno l’autonomia del loro ospedale o che dovranno sobbarcarsi oneri finanziari per sostenere improduttive strutture (e non mi riferisco all’ente provinciale), le cui ragion d’essere sfuggono ai più, negli scorsi mesi sarebbe stato più proficuo valutare con maggiore attenzione una serie di alternative alla Città metropolitana, guardando al di là del proprio naso (o dell’Adda), impresa risultata evidentemente ardua per qualcuno. L’auspicio è che la Regione Lombardia, per quanto in suo potere, sia un po’ più propositiva rispetto alla recente riforma sanitaria che, al pari di quella varata dal governo per le provincie, non deve aver richiesto molto tempo per la sua impostazione: qualche scrivania spostata, turn over di ambulatori e un cambio di sigle che ha avuto il merito di complicare gli acronimi (ma era proprio necessario?) e impegnare ulteriormente i soldi dei lombardi per nuove intestazioni, loghi e chiusura-riapertura di pratiche legali.

Ora si vorrebbe replicare lo schema adottato per la riforma sanitaria in riferimento ai futuri assetti territoriali della Regione, ma è così difficile produrre un maggiore sforzo di fantasia?

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