Dopo 850 anni questa è la visuale che riserviamo al Barbarossa

«(...) domenica, giorno 3 di agosto (...) del 1158, ascese Federico imperatore il suo cavallo, e con molti dei suoi principi e coi militi e soldati lodigiani, andarono al monte Guzzone. Ora trovandosi sul monte e guardando torno a torno la terra, ecco un divino prodigio. Essendo il cielo perfettamente sereno, cadde improvviso un acquazzone ciò che fu tenuto per buon augurio. Cessata la pioggia, l’imperatore con un suo stendardo investì i Lodigiani della proprietà del luogo, ove ora è fabbricata la nuova città(...)». Sono le parole di Ottone Morena il quale, testimone e cronista dell’evento della nascita della nuova città di Lodi, ha voluto lasciare per iscritto l’avvenimento, perché i contemporanei ricordassero ed i posteri ne venissero a conoscenza. Ed è bello poter immaginare quella domenica di agosto, quando una folla entusiasta, al culmine della cerimonia, ed al sicuro nei confini naturali creati dal Colle Eghezzone e dal fiume Adda, poteva lasciare libero lo sguardo di correre nell’ infinita pianura. O forse no.

All’epoca il territorio era completamente occupato da boschi e foreste, e in buona parte da luoghi dove l’acqua stagnante era così generosa da aver dato vita a ciò che noi conosciamo con il nome di Lago Gerundo. Ciò nonostante, nel 1158 e dall’alto del monte, nessuno avrebbe mai potuto impedire all’imperatore di ammirare tanto naturale e selvatico paesaggio, né di liberare lo sguardo in cerca di nuovi orizzonti. A distanza di 850 anni da quel giorno, il popolo lodigiano, grato a quel lontano padre fondatore, ad egli dedicò una statua che venne situata nel luogo che lo vide protagonista della posa della prima pietra. Unico torto al monumento del buon Barbarossa, che di cieli e di terre se ne intendeva, fu quello di ficcargli proprio di fronte un paesaggio in muratura, quasi ad impedirgli per sempre lo spaziare dello sguardo.

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