Chi autorizza le infermiere a prendersi la libertà del tu?

Leggo su “Il Cittadino” del 4 febbraio 2011 la condivisibile argomentazione della signora Maria Prosdocimino. Troppo dominante il disinvolto tu con cui oggi si instaurano le conoscenze, d’acchitto, al primo colpo. Ma chi autorizza questo erroneo modo di comportarsi? Sappiamo che in certe associazioni, consorterie, circoli o partiti politici impera la cordialità del tu riservata agli appartenenti, tralasciando l’ovvia considerazione elitaria che l’appartenenza ristretta per altro verso implica un atto di esclusione.

Il dilagare del tu (da non confondere con lo you inglese che suona con le giuste distanze, fosse solo per la voce prima ancora dell’atteggiamento), diceva censurando il comportamento il grande filologo Contini, pare “diventato troppo obbligatorio”. Giustamente un obbligatorio inaccettabile. C’è una grammatica anche del conversare da rispettare, anche se oggi è un “tueggiare” unico quasi generalizzato, un malinteso approccio da maleducati o ineducati se del caso.

Questo irrefrenabile declino della forma di cortesia o meglio di urbanità calpesta quegli aspetti di gerarchia che sono dati dall’anagrafe, dalle professionalità, dai ruoli diversi, per quei requisiti di distinzione che esistono da quando il mondo è progredito nella sua socialità. Ed è uno sbeffeggiamento dal basso, bottom up dicono gli inglesi, e questo è doppiamente non giustificabile. Chi ha autorizzato le tre giovani infermiere dell’ospedale di Lodi a prendersi la libertà del tu con un signore di novant’anni mai conosciuto prima e senza rapporti di familiarità (indipendentemente dalle due lauree), ma persona educata, come lamentato nella lettera? Forse perché malato un “essere” non merita il rispetto del galateo che è istituzionalmente prescrittivo come da insegnamenti impartitici?

Anzi, peggio, perché da malati ci si trova in una situazione di maggior disagio e fragilità e questo è aggravante per i comportamenti maleducati. Non solo in questo caso. Quante volte ci è capitato di subire questi oltraggi o per converso sentirsi proporre da un inferiore (di età o di ruolo) “diamoci del tu”. Da quando? Deprecabile impostazione, ma se penso che tv e radio sono i primi cattivi esempi (non solo di sculettamento e di tette al vento) di questo largheggiante e disinvolto “tuismo”, viene da attenuare la deplorazione verso chi sbaglia.. Non tutti, invero, perché esistono ancora gli educati, vecchi o giovani che siano. Due esempi per concludere. Leggo che Gianni Morandi al festival di San Remo si è rivolto con il “lei” alla più giovane di venti anni attrice Monica Bellucci. Bravo Morandi, un tu dialogico può venire dopo, per frequentazione, conoscenza e familiarità o cordialità di rapporti o amicizia di là dalle caste, com’è nello scambio delle cose. Secondo: io provo un certo fastidio quando vado in piazza a comperare il pollo arrosto. “Dimmi tesoro, cosa vuoi?”. Domanda dell’impertinente sconosciuta interlocutrice. Inconsapevole o ineducata? Rispondo con il lei come garbo e urbanità pretendono, come facevano i professori a scuola, allora, tempi oramai lontani, con noi giovinetti appena arrivati alle superiori.

Tutto questo non certo per un giudizio di alterigia, di importanza o di classificazione sociale, ma solo considerazione di fatto e di giusta distanza delle e fra le cose, per dire le persone, della vita.

Dopo la lettera della signora che lamentava il disinvolto “tu” delle infermiere dell’ospedale, interviene Tino Gipponi: «Oggi è un “tueggiare” unico quasi generalizzato, un malinteso approccio da maleducati o ineducati se del caso»

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