Abbattuto l’albergo San Marco, tassello della città antica

È sparito un altro tassello della vecchia Casale, di quella Casale legata a tanti ricorli, quella che rni ha visto nascere nella via Felice Cavallotti che, più indietro negli anni3 era stata Via Roma e Via Rivadersa. Poco prima di arrivare al cosiddetto “Borgo San Bernardino”, in questa strada percorsa da chi si recava a Milano, distribuiti a un centinaio di passi l’uno dall’altro, c’erano l’albergo San Giorgio e l’albergo San Marco, tutti e due con grandi cortili e lo stallaggio (el: stalàss). Negli anni Trenta, durante le sere d’estate, nel cortile di San Marco si teneva una stagione di spettacoli di burattini sempre. frequentissima non solo dai bambini, ma anche dagli adulti che fingevano di doverli accompagnare. E poi era più economico del cinema. I burattinai, provenienti dal Bergamasco, ci hanno fatto conoscere, a puntate, le storie dei Paladini di Francia con Orlando, Rinaldo, Carlo Magno, Gano di Maganza, oltre alla Pulzella di Orléans e a tanti altri ancora: personaggi che avremmo reincontrati alle scuole medie e superiori con l’Orlando Furioso e altri poemi. L’entrata ci costava ben venti centesimi, ma se non volevamo sederci per terra portavamo chi lo sgabello (el banchin) o una seggiolina (la cadreghìna). Ogni puntata dello spettacolo terminava con una farsa: protagonisti le maschere, della tradizione: Gioppino, Arlecchino, Rosaùra, Pantalone e così via. Qualche anno più tardi, in un locale adiacente al grande portone dell’ingresso carraio, la famiglia Pozzoli (detta dei “Bacicìn”) aprì una gelateria. In precedenza, i Pozzoli con i Marzagalia producevano una gazzosa chiamata “Sinalco”: un latinismo un po’ approssimativo che significava “senza alcol”. Era contenuta in bottigliette chiuse con una pallina. La “siùra Pèpa”, moglie del Pozzoli, era una bravissima gelataia. Ricordo ancora il sapore della sua crema, che noi chiamavamo “pàna”. Si poteva ordinare una “parigìna”, cioè un cono da dieci (centesimi!) o un “bacio” (fra due sottili biscotti) da venti centesimi o più, con panna e limone o panna e cioccolato. Il figlio Nino vendeva i suoi gelati girando con l’apposito triciclo, usato da tutti i gelatai ambulanti. Lo trovavamo sempre davanti alla Scuola Media. Adiacente all’albergo c’era ancora un vecchio cortile piuttosto malandato, dalle linee secentesche, con la bottega del “bastè”, il sellaio, che fabbricava e riparava i finimenti per i cavalli, papà di nostri cari conoscenti. Vi abitavano anche gli zii di un mio amico che, durante il periodo dello sfollamento, avevano ospitato la famiglia di una bella ragazzina con la quale ci piaceva molto discorrere. Vigeva anche il coprifuoco e una sera noi ragazzi non ci eravamo accorsi che il tempo passava e io dovevo per forza tornare a casa. Con tutta la circospezione possibile e passando da un portone all’altro, raggiunsi casa mia. Purtroppo, in ansia e allarmatissimo, mi aspettava mio papà che, senza dire una parola, mi affibbiò un ceffone tal che mi fece ronzare un orecchio per rnezz’ora. Io incassai e, siccome in quell’epoca i ragazzi e perfino i bambini erano intelligenti, capii il discorso contenuto nel ceffone e non me la presi con mio padre. Quella fu l’unica volta che mio papà usò con me quel tipo di richiamo. Quei portoni, quelle porticine, quelle finestre munite di inferriate a pianterreno e di griglie al piano di sopra mi ricordano tante persone e avvenimenti che si sono succeduti nella mia vita. Addio, San Marco! Al tuo posto sorgerà qualcosa di nuovo, forse ritenuto più bello, ma che già prevedo con le sue linee rigide e fredde, proprie dell’architettura dei nostri tempi. Mi mancherà la morbidezza della vecchia costruzione del sei—settecento, i colori sbiaditi sui vecchi intonaci che denunciavano le sovrapposizioni delle innumerevoli ridipinture: colori caldi come quelli usati dal Prada per le vedute della sua amata Casale, colori che ci trasmettevano l’impressione del tepore e della serenità che si pensa (ma forse è solo illusione) si vivesse nelle famiglie che davano vita a quelle case e a quei cortili. Comunque, mi rattristo sempre nel vedere la demolizione, la scomparsa di particolari di Casale che contribuirono a far sì che insieme con loro amassi il mio paese, i suoi abitanti e, perché no?, il suo linguaggio.

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