Un’oasi rurale all’ombra del santuario

Dev’esserci per forza un pozzo, qui nella frazione di San Rocco, a Dovera. Un luogo dove trovare la miriade di ricordi che sono stati specchio e testimonianza di questa bellissima località, impreziosita da un mulino, come il baluardo di una fortezza, e da un incantevole santuario, al titolo della frazione omonima, edificato nel 1524. Era stato un mugnaio, ammalato di peste e sanato dall’apparizione in sogno di san Rocco, a comunicare ai suoi compaesani che il santo, in cambio di grazie e protezioni, avrebbe gradito che gli fosse dedicata una chiesetta: quelli ne avevano riso, e allora il mugnaio, che si chiamava Ambrogio Berretta, si era messo a gridare che erano tutti uguali a san Tommaso, che per forza dovevano vedere prima di credere e, lasciandoli esterrefatti, aveva mostrato loro il dorso della propria mano destra (o forse era la sinistra) su cui il santo, a conferma della sua visita, gli aveva infilzato, senza ferirlo, il rametto di un corniolo.

un piccolo gioiello

Nel 1545 l’edificio sacro fu affidato alle cure artistiche di Callisto Piazza, le cui opere hanno reso davvero straordinario l’ambiente. Molto più tardi, ai tempi nostri, ne era orgogliosissimo, quasi fosse stato tutto merito suo, don Luigi Pezzoni, che del santuario fu prevosto per moltissimi anni. Don Luigi rappresentò l’anima di questa minuscola frazione: aveva saputo rendere tale luogo come un crocevia di incontri fra i bambini della zona, i turisti in cerca di stupori architettonici, i ciclisti a libero pedale, gli amanti della natura, i desiderosi di soliloqui e, almeno in gioventù, diceva qualcuno, pure i ribelli anarcoidi che nelle utopie sociali vedevano gli unici orizzonti della Chiesa.

Per questo, annesso al santuario, don Luigi Pezzoni aveva piazzato un punto di ristorazione, che durante i fine settimana veniva attrezzato anche a balera: e molta gente vi giungeva dal Cremasco, così dal Lodigiano, e pure dal Milanese.

Non è rimasto nulla. Eppure qui passano duecento ciclisti e un centinaio di podisti al giorno. E non c’è neppure una fontanella presso cui dissetarsi. C’è il deserto a San Rocco di Dovera, oggi.

E ne è metafora che delle dodici fanciulle che negli anni Settanta vivevano nella frazione, ben dieci, sposandosi, abbiano scelto di emigrare. Non vi è stato futuro a San Rocco di Dovera. Per questo immagino che qui debba per forza esservi un pozzo: affinchè guardandovi dentro vi affiori ancora un ultimo ricordo.

E di aneddoti ed antiche vicende mi stanno raccontando i fratelli Battista e Angelo Baroni, agricoltori, proprietari della cascina (neanche a dirlo!) San Rocco.

la memoria del nonno

La loro memoria risale ad un precedente Battista, il nonno dei due fratelli; questi era nato nel 1893: era un uomo grande e grosso, che commerciava in bestiame. La sua specialità era vendere buoi, che ritirava dalle parti del Piacentino, nella zona di Bettola. Partiva di buon mattino in bicicletta e lo si vedeva tornare dopo qualche giorno: con una mano teneva un lato del manubrio e con l’altra trascinava una coppia di buoi. Battista Baroni era anche un intenditore di vino: ne beveva tantissimo, ma sempre mantenendosi sobrio, e non derogando mai alla sua indole, di uomo serio, taciturno, introverso, e a tratti melanconico. Era convinto che il mosto migliore si trovasse a Rovescala e lì annualmente ritirava quintali d’uva: tornato in cascina, pestava e pestava. La cantina era stipatissima di bottiglie.

Una volta, durante una trattativa per la compravendita dei buoi, un tale invece di offrire soldi contanti gli propose un baratto: bovine in cambio dei buoi. Il signor Battista rimase perplesso, ma solo un istante. Sarebbe bello sapere quale pensiero gli attraversò la mente in quel preciso momento. Perché da allora cambiarono i destini della sua attività agricola. L’impegno con la stalletta si rivelò immediatamente consistente. E a lungo il capostipite Battista lo affrontò da solo; egli aveva sposato Luigina Sari, rimanendo vedovo ancora giovane: dal matrimonio erano nati tre figli, due femmine ed un maschio, di nome Paolo, e giusto quest’ultimo, già da ragazzino, aveva affiancato il padre.

Nel frattempo, il signor Battista aveva ampliato la propria squadra di collaboratori; egli aveva accanto a sé un uomo di fiducia, che gli era anche parente acquisito: si chiamava Alessandro Andena, addetto alla campagna, oltre che all’alimentazione delle bovine; ma la sua permanenza non fu duratura. Più a lungo si fermarono due mungitori: Carlo Zanaboni e Silvestro Colini

un agricoltore instancabile

Paolo Baroni, nato nel 1925, è un agricoltore instancabile; caratterialmente, sin da ragazzo apparve diverso dal genitore: più estroverso, dotato sempre di buon umore, allegro, generoso con gli amici; ma sul lavoro, come il padre, è sempre stato indomabile: tutt’ora, a 87 anni, va sui campi e falcia l’erba.

Battista e il figlio Paolo collaborarono con grande sintonia: entrambi avevano una resistenza verso i cambiamenti e guardavano con sospetto meccanizzazioni e tecnologie, tanto che il primo trattore – un Lamborghini a trentacinque cavalli – fu preso soltanto nel 1959, e per la frazione fu una ventata di modernità: tutti accorrevano in cascina per osservare il nuovo mezzo che appariva mastodontico ed irripetibile.

Paolo Baroni aveva sposato Enrica Bonà, originaria di Roncadello di Dovera; quest’ultima famiglia, assai numerosa, vantava lì secolari radici: Mario Bonà, ad esempio, uno dei fratelli di Enrica, era stato lo storico sacrestano della chiesetta del paese. La signora Enrica si ambientò immediatamente alla cascina San Rocco, e il suo compito fu quello di curare gli animali della corte.

un indole familiare

Gli anni scorrevano sereni e furono i figli di Paolo ed Enrica a movimentare i destini della cascina: appunto i nostri testimoni, Battista, nato nel 1960, e Angelo del ’65. Entrambi sin da ragazzini rivelarono l’indole degli agricoltori di razza, subito appassionandosi ad aspetti che si sono mantenuti uguali nel corso degli anni: così Battista segue maggiormente campagna e mezzi meccanici, mentre Angelo cura la stalla.

Intanto, negli anni Novanta i Baroni acquistarono l’antica possessione della cascina San Rocco, rilevandola da un signore di Dalmine, con annessi 12 ettari di terra. Poco prima erano stati avviati anche i lavori di costruzione di una nuova, moderna stalla, portando inizialmente la quantità di capi in mungitura ad una sessantina di esemplari, per poi addirittura raddoppiare il numero, alla fine assestandolo su quanto consentito per l’annosa questione delle quote latte.

Lo stabilimento, per il conferimento della produzione lattifera, è quello condotto dai Pozzoli di Casaletto Ceredano, dove si realizza il grana dal marchio “Bella Lodi”.

A fianco all’attività agricola tradizionale, i fratelli Baroni hanno progettato altre iniziative legate al nuovo, moderno business dell’energia pulita: così su un appezzamento di terra e su un soffitto di un caseggiato sono stati posti pannelli solari.

Gli impegni dunque non mancano a casa Baroni, ma i due fratelli hanno sempre mantenuto interessi e passioni non legati esclusivamente alle vicende della propria cascina. Battista, ad esempio, è guardia ambiente, e riveste il ruolo di consigliere dell’“Associazione Amici dei Fontanili”; questo sodalizio, costituito da sette rappresentanti, svolge funzioni molto importanti per la valorizzazione dell’ambiente: i volontari aderenti non si limitano a liberare le sorgive da eventuali ostacoli, garantendo così lo scorrimento delle acque, ma ripuliscono la zona circostante ai corsi fluviali, arricchendola di panchine, tavolini, steccati, e verificando, in caso di presenza di piste ciclabili, che i relativi tracciati siano esenti da rischi di qualsivoglia natura.

un futuro incerto

Questa attività allentano la morsa della malinconia pensando a dove vanno a finire, in Italia, i destini dell’agricoltura. Sentire le considerazioni dei fratelli Baroni è come ascoltare l’unica omogenea voce degli imprenditori agricoli: vi sarà un sempre più ristretto numero di agricoltori, che via via accentrerà parte dei beni di quelli che si saranno arresi alle pretese della burocrazia e alla miopia di una politica agricola europea sempre più vistosa, con conseguente drastico calo del numero delle bovine e della zootecnia generale.

Ogni criterio imposto dalle normative appare svincolato da una logica comprensibile agli agricoltori. Come, ad esempio, per la gestione dei nitrati: la regola è che i liquami si possono aspergere solo in estate. Ma l’obiezione è più che scontata: se è vero che in autunno ed inverno possa più facilmente piovere, è anche ineccepibile che d’estate s’irrighi più di frequente; a parità di condizioni d’acqua, i nitrati filtrerebbero più o meno nella stessa misura dentro ai terreni. Ciò ha effetti ovviamente per le concimazioni nei campi: i liquami restano in stoccaggio per sette, otto mesi, diventa possibile avviare le operazioni a fine febbraio, ma se poi capita la pioggia occorre rinviare ulteriormente, con il rischio di concimare a metà marzo, quando l’erba è già alta e la possibilità di contaminare la produzione foraggera non proprio labile. Non a caso prima si concimava tra dicembre e gennaio. Poi le norme hanno imposto diversamente.

Ma non sono soltanto le leggi a sbeffeggiare l’agricoltura. Ci si sono messi di mezzo anche gli animali. Una semina non è mai tranquilla. Il primo incubo ha le ali dei corvi, che becchettano sulla terra. Quando cresce la piantina, arrivano le nutrie. Quest’anno occorrerà verificare la portata del loro assalto. Si è avuto un febbraio molto rigido: e le nutrie soffrono il freddo, la morsa del gelo le attacca ai piedi e alla coda, che essendo prive di pelo sono molto esposte: quegli arti, con i rigori del clima, vanno in cancrena, e le nutrie muoiono. Quelle che hanno resistito partoriranno tra luglio e agosto: e lì si vedranno gli effetti del loro ritorno. La Provincia di Cremona ha stanziato lo scorso anno molto denaro per l’acquisto di gabbie trappola: il progetto ha funzionato, il numero di nutrie è apparso dimezzato, ma non debellato.

Va bene usare il fucile, ma con il divieto di sparare nelle ore serali è come armare un cacciatore di una pistola ad acqua: è di notte che le nutrie lasciano i loro nascondigli in cerca di cibo. Ma chi si assume, d’altra parte, i rischi di autorizzare a sparare nel buio?

Chissà che ne direbbe di questo mondo il vecchio patriarca Battista Baroni! Anche lui si metterebbe in cerca del pozzo: perché nei suoi desideri c’era un futuro diverso per l’agricoltura, altrimenti tanto valeva la pena di non aver mai fatto quello scambio: meglio tenersi i due buoi, rinunciando alle bovine; è questo che non vorrebbe mai avere confermato dallo specchio d’acqua del pozzo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA