Mi dirigo verso la Bassa imbiancata e gelata, ad incantarmi di stupori e a rallegrarmi per antiche e nuove amicizie, per echi lontani e rinnovate suggestioni. Dopo tutto, mi trovo in una porzione di territorio che avrebbe anche potuto rimanere straniera alla pianura lodigiana: intanto Caselle Landi era alla destra del Po, e poi, una volta cambiato il corso del fiume, la si trovò, tale e quale uguale a prima, alla sua sinistra. Poi, essa apparteneva alla provincia di Piacenza e alla sua diocesi, anche dopo lo scherzo del fiume, e solo con la Repubblica Cisalpina passò sotto il gonfalone lombardo, e alla fine nel Lodigiano.
TRA LE FRAZIONI Vado con il mio amico Siro Montanari - lui è del paese, precisamente della frazione Vallone - a trovare i Ziglioli, affittuari ormai storici della cascina Po Morto, di proprietà della Fondazione Lamberti. Siro Montanari è come il suo volto: scolpito, netto, con rughe incise che sembrano farlo assurgere a uomo tutto d’un pezzo, uno sceriffo della legge, dietro la cui stella si nasconde un cuore d’oro. Ci cascano tutti: chi lo paragona a Clint Eastwood e chi al più nostrano Giuliano Gemma, ma le sembianze sono quelle. È mio amico da anni, e quando mi capitò di incontrarlo - lui pure agricoltore di antica razza - mi aveva avvisato che le identità delle frazioni di Caselle Landi sono importanti, che ciascuna è come fosse un agglomerato a sé. Oggi che dalla Vallone mi accompagna alla Mezzanone - son tutti nomi così - e mi precede in auto, facendosene un baffo dei lastroni di ghiaccio a chiazze sull’asfalto, mi accorgo che girare per Caselle Landi è come immaginare di attraversare una parte di globo: sarà per il biancore che tutto ammanta, per questo paesaggio cosi suggestivo dell’inverno lodigiano, che le distanze, pur rilevantissime di per sé, mi sembrano alla fine impressionanti: ma quanto è grande Caselle Landi?
L’INFLUSSO DEL FIUME La denominazione della cascina Po Morto risente dei modificati percorsi del fiume: rispetto al passato, è più distante, ma in linea d’aria si mantiene ancora attigua al corso d’acqua, diciamo a poco più di cinquecento metri. In questa campagna la terra - in qualche suo appezzamento davvero paludosa - riflette l’influsso del fiume, zolla per zolla: l’acqua è poco sotto, a meno di trenta centimetri. In questa conformazione ha avuto pure la sua forte influenza la diga della vicina Isola Serafini, posta ad una decina di chilometri; l’impianto ha fatto sì che l’acqua continuasse, sotto terra, a sopraelevarsi. Così alcune colture stanno davvero sotto alle grazie della provvidenza. In autunno, quando si pianta il frumento, si scruta il cielo ogni giorno: se cade acqua a catinelle il terreno riuscirà a filtrarne poca e il cereale verrà fuori ingiallito, con una produzione inferiore alle attese. Analoga circostanza accade due stagioni dopo, con il mais: gli agglomerati primaverili delle nubi sono temutissimi. Le stesse bovine hanno ad uggia le insolenze del terreno: percepiscono nel raccolto la fanghiglia, l’annusano, e poi la disdegnano. I vecchi patriarchi Ziglioli facevano di necessità virtù. Questo ceppo era originario del cremonese; a giungere qui era stato Antonio senior Ziglioli: lui aveva quattro figli e riteneva necessario, per la propria famiglia, mirare ad orizzonti più ampi; una terra estesa come quella di Caselle Landi gli sembrava l’occasione giusta per dare una prospettiva ai suoi ragazzi. Le cose andarono in parte così ed in parte no: fondamentalmente, i Ziglioli rimasero attaccati alle loro radici, e quella trentina di chilometri che separavano Caselle da Cremona sembravano una distanza incolmabile. Ai richiami delle origini è inutile opporre resistenze, e così due dei quattro figli, Gino ed Enrico, alla prima occasione se ne tornarono all’atavica corte nei pressi del Torrazzo.
FRATELLI DIVERSI A Caselle Landi, inizialmente in una cascina sita alla frazione Vallone, rimasero solo i primi due figli di Antonio: Guido e Giuseppe. Questi due fratelli era l’uno l’opposto dell’altro: Guido era un ometto piccolo e dotato di un’energia incredibile; Giuseppe era smisuratamente lungo e lento nei gesti, pur se severissimo sul lavoro. I due s’incontravano poco, perché Guido era sempre tra stalla e campi, mentre Giuseppe o stava chiuso in casa a far di conto o andava ai mercati che si tenevano nella Bassa, e sempre immancabilmente a quello di Codogno.Guido Ziglioli sposò Angela Fregoni, anch’ella della frazione Vallone, e figlia di agricoltori. La coppia ebbe quattro figli: Marino, Carlo, Ines e lo sfortunatissimo Giovanni, che morì ancora bambino a nove anni, in una tragica circostanza: fu trovato esamine col capo ferito da una sassata; è probabile che si trattò di una bravata fra monellacci, ma purtroppo le conseguenze furono abnormi e fatali. Giuseppe sposò Giulia Badini di Castelnuovo Bocca d’Adda, dalla quale ebbe due figlie femmine: Maria ed Angela. I Ziglioli si trasferirono alla cascina Po Morto nel 1947; la corte a quel tempo era proprietà del cavaliere Carlo Massimo Lamberti, che si divideva tra il suo bel palazzo di Codogno e la cascina a ridosso del fiume. Il cavalier Lamberti non aveva mai seguito le sue proprietà terriere, ma qui vi trascorreva lunghissimi periodi: amante dell’arte, amico di famosi pittori, che spesso venivano a trovarlo in cascina, egli stesso era pittore di buon gusto. Il suo studio era pieno zeppo di tele, cavalletti, tavolazze di colori, pennelli. Era anche una persona originale: capace di farsi accompagnare dall’autista nei luoghi più sperduti pur di non perdersi un’esposizione di opere, e di ritornare con il bagagliaio pieno di quadri, acquistati anche solo per spirito di munificenza. Con gli agricoltori suoi affittuari ebbe sempre ottimi rapporti: a condizione che non lo disturbassero quando i suoi estri di artista lo vedevano indaffarato sulle tele.
NEL DOPOGUERRA In quegli anni l’azienda agricola era condotta dai fratelli Marino e Carlo Ziglioli. Quest’ultimo morì, a causa di un brutto male, che aveva appena compiuto i 40 anni: era un uomo tenace sul lavoro, e con lo stesso spirito aveva combattuto la malattia, che però lo vinse.Marino era la classica pasta d’uomo: buono, socievole, interessato solo alle cose di cascina. Negli anni precedenti alla corte Po Morto si trovavano venti famiglie di contadini, ma ai tempi di Marino erano rimasti soltanto due o tre lavoratori. Fra questi, uno dei più fidati era Mario Libe, classe 1928, che oggi abita a Codogno: lui lavorava in campagna e fu per i Ziglioli un importantissimo punto di riferimento; come lo stesso Giuseppe Curti, mungitore, davvero encomiabile per il suo impegno e la sua dedizione al lavoro; anche Agostino Bolzoni, mungitore, fu un valido sostegno.Marino Ziglioli era sposato con Erminia Tussi di Caselle Landi: il loro amore era scoccato attraverso scintille di sguardi. La signora Erminia andava nei campi vicini a fare la melga. Ella andava con un gruppo di contadine, tutte in bicicletta, che per raggiungere quell’appezzamento di terra dovevano per forza di cose transitare dal cancello della cascina Po Morto: e a quell’orario, a fingersi indaffarato in qualche lavoro, c’era sempre Marino. I suoi sguardi verso Erminia si facevano sempre più intensi, a tal punto che le amiche facevano come i provetti ciclisti: all’altezza della cascina dei Ziglioli allungavano la corsa, così che Ermina rimanesse distanziata, da sola. Marino un giorno smise di limitarsi agli sguardi, passò alla parola, e da parola a parola finì per dichiararsi perdutamente innamorato e per sposare Erminia.I due si sposarono nel 1960 ed il matrimonio fu celebrato da don Luigi Bassanini, prete austero, dogmaticamente ben preparato, ma inflessibile su principi e comportamenti: si racconta che, agli sposi che si presentavano per celebrare le nozze già in attesa di un figlio, concepito quindi prima del sacro vincolo, il prete intimasse orari terribili per la celebrazione della messa riparatrice, non oltre le cinque e trenta del mattino, affinchè le coscienze non si turbassero a motivo di cotanto scandalo.
LA NUOVA GENERAZIONE I coniugi Ziglioli fecero le cose in modo regolare e, dopo il matrimonio, cominciarono ad arrivare i figli: Liviana, Antonio, che purtroppo morì a tre anni a seguito di una disgrazia, quindi Antonia, ed infine il quarto, chiamato anch’egli Antonio in ricordo del figlio scomparso.L’intera nuova generazione ha voluto affiancare il padre nella gestione dell’azienda agricola: Marino fu prodigo di consigli, e non solo pratici; spiegò ai propri figli che era fondamentale nella vita essere giusti, non guardare mai alle fortune degli altri, e sapere lavorare interpretando l’impegno agricolo non come un lavoro qualunque, ma come una tradizione di famiglia.Liviana, Antonia ed Antonio hanno rispettato alla lettera queste consegne. A loro si è aggiunto Pietro Tognioli di Ospedaletto Lodigiano, marito di Antonia: faceva l’operaio, ma una volta si offrì di sostituire il cognato, partito per il servizio di leva, nell’attività di mungitura; quindici giorni giusti, aveva detto: il tempo di trovare un sostituto. Finì che il contatto con la natura e con gli animali gli piacque così tanto da voler rimanere a lavorare in cascina. Pietro ed Antonia hanno una figlia di diciotto anni, che si chiama Giulia.La stalla dei Ziglioli vanta oggi una sessantina di vacche in mungitura, e il latte viene conferito ad un’industria del Piacentino per la produzione di mozzarelle ed altri formaggi freschi; in più vi sono anche le bovine, razze piemontesi e blue belga, per la produzione di carni.Liviana, la sorella maggiore dei Ziglioli, si occupa dei vitelli e segue la contabilità. Quindi c’è Antonio, che da ultimogenito, è il cuore palpitante di questa cascina, il depositario ultimo delle tante memorie di famiglia: lui segue prevalentemente la campagna, ma collabora anche nelle attività di stalla. Antonio ha sposato Lorella Oppizio: loro erede è Tommaso, dieci anni, che per ora guarda distrattamente al mondo agricolo, ma ben conosce la storia della sua famiglia. I lavori in casa Ziglioli cominciano alle quattro del mattino, quando Liviana, Antonio e Pietro vanno in stalla per la prima mungitura. C’è un clima sempre di simpatia, di allegria, di sincero affetto. Ma chi ha il cuore più contento di tutti, alla cascina Po Morto, è Martino. Si tratta di un bellissimo asino, che finalmente alla corte dei Ziglioli ha trovato la sua dimensione ideale: vive come un pascià: protetto, riverito, coccolato. Un paio di volte ha avuto il destinato segnato, questo quadrupede: posto irrazionalmente in una lotteria a premi, era stato preso in cura da alcuni ragazzi, impossibilitati poi a tenerlo; è stato direttamente il sindaco del paese, Gianluigi Bianchi, a seguirne le sorti, salvandolo dal cappio al collo, e chiedendo ad Antonio Ziglioli di tenerlo nella sua azienda agricola. Martino solleva la testa, raglia beato: finalmente a casa, sembra dire.
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