Sulle rive della Muzza il “re” delle quaglie

Alla Mirandola di Cervignano l’allevamento di Enenco Barbieri

Il signor Pietro Enenco Barbieri è stato un agricoltore fortunato: perché nella sua vita, talvolta graffiata da traversie, ha avuto la buona ventura di incontrare le persone giuste, e di imprimere sempre una svolta positiva anche quando le circostanze negative potevano apparirgli irreversibili. Il signor Enenco questo lo sa bene perché mi ha messo a parte della sua vita come una cronistoria di accadimenti, svelati con pacata tranquillità, ma alla fine del racconto i suoi occhi erano lucidi di commozione, ed anche i miei, e pure quelli del comune amico Giacomo Rossi, che addirittura abbozzava un sorriso largo per trangugiare fette d’emozione.

Il carretto dell’ambulante

Mi trovo presso l’azienda agricola Barbieri di Cervignano, giusto nei pressi della località Mirandola, dove sotto l’apposito e storico ed omonimo ponte scorrono le acque del canale Muzza. I Barbieri sono originari di Mulazzano. Enenco non ricorda il nome del nonno paterno, ma sa che svolgeva l’attività di commerciante, gestendo un modesto spaccio alimentare. Suo padre si chiamava invece Davide ed era nato nel 1893. Lui aveva proseguito l’attività commerciale, ma promuovendola all’esterno del negozietto: con un carretto per tre volte alla settimana girava le cascine della zona, spingendosi alla corte Isola Balba, a quella di Roncomarzo, quindi arrivando alla frazione Casolta ed alla corte di Mongattino. Non si limitava a vendere soltanto generi alimentari, ma fra le sue offerte vi era anche variegata utensileria: spesso nelle trattative non circolava denaro, ma vigevano le regole dello scambio e del baratto. Davide Barbieri era per i contadini un vero punto di riferimento: loro sapevano di poter contare su di lui, e durante l’anno, settimanalmente, gli davano una cifra con preghiera di farne un deposito per poi avere, sotto Natale, un pacco dono. Da Davide Barbieri prendevano sempre la grassa del maiale indispensabile per una buona frittura dell’oca: la sua carne veniva conservata a strati, dentro un piccolo vaso a forma di conca (la “ola”). Il signor Davide era un tipo severo, brusco: se c’era una cosa che lo rendeva davvero insofferente erano le marachelle dei suoi figli; teneva, però, che la famiglia pranzasse sempre insieme, e alla tavola pretendeva silenzio ed educazione. Egli era sposato con Maria Clerici, originaria di Paullo. Il padre di Maria faceva lo stagnaro e la sua attività era in quegli anni richiestissima: le pentole di rame costituivano infatti un bene essenziale e dovevano durare quanto più possibile; quando si bucavano invece che buttarle via, venivano riparate. Il suo uso era fondamentale nelle attività di cucina.

Una dolorosa malattia

I coniugi Barbieri avevano avuto quattro figli: Vittorio, che era nato nel 1929, ed è morto che aveva 51 anni, e possedeva anch’egli un negozio. Il nostro Pietro Enenco, classe 1931, agricoltore, ma che aveva cominciato a lavorare come pasticcere. Quindi Otello, del ’35, che ha fatto anche lui il commerciante. Infine Emiliano, del ’43, pure lui nella stirpe del commercio. All’età di 13 anni, Enenco lavorava già in una panetteria col forno a legna: attività pesante, soprattutto perché richiedeva l’impegno di alzarsi in piena notte per raggiungere il luogo di lavoro. Così Enenco ragionò che forse era meglio ingegnarsi come pasticciere e cambiò attività. A 19 anni la prima svolta negativa che poteva compromettere irrimediabilmente le attese di Enenco: durante il servizio di leva cominciò a stare male, con un evidente difficoltà alla deambulazione; le gerarchie militari lo irrisero, facendolo passare per lavativo, e spedendolo da Como a Maddaloni, nel cuore della Campania. Qui fu mandato all’ospedale di Napoli ed ancora una volta i medici lo considerarono abile, arruolato, e soprattutto lavativo; intanto i dolori al coccige si facevano insopportabili. Fu all’ospedale di Bergamo che gli diagnosticarono il malanno: una spondilite acute, una sorta di tubercolosi ossea, che gradualmente finì per paralizzarlo. Rimase per nove lunghi mesi a letto, immobile, e occorsero tre anni, tra cure e ricoveri nel centro riabilitativo Santa Corona di Pietra Ligure, per rimetterlo in sesto.

Un nuovo lavoro

Quando tornò alla vita di ogni giorno, a Mulazzano, dovette inventarsi un nuovo lavoro: la sua famiglia aveva investito tutti i soldi nella realizzazione del negozio alimentare per i suoi fratelli e lui non aveva da cosa partire. Poiché gli era stato riconosciuto un vitalizio come infortunio per causa di servizio, gli offrirono un posto da invalido: ma lui se ne sentiva mortificato e non intese accettare. Un giorno gli capitò un incontro singolare: un tale, che faceva il piazzista, gli parlò dell’ultimo affare del momento: importare e vendere su piazza quaglie provenienti dal Giappone. Enenco se ne incuriosì e il piazzista seppe usare i giusti modi e le giuste corde per offrirgli un’opportunità di lavoro: quell’uomo altri non era che era Armeno Vitali, proprietario della cascina Fornasotto di Galgagano, maestro di vita e d’ironia, carissimo amico, uomo di mondo, e persona dal cuore d’oro. Enenco volle parlarne ad un amico, che non si mostrò affatto sorpreso dell’idea del piazzista: gli imprestò un’incubatrice per animali e lo convinse a prendere una quarantina di quaglie per provare l’esperienza. Cominciò così l’impegno agricolo di Enenco Barbieri, che nell’impresa fu aiutato dalla sua fidanzata, Colomba Barboni, figlia di agricoltori, originari della cascina Cantarana di Abbadia Cerreto, sposata dopo sette lunghi anni di fidanzamento. La fidanzata durante tutto quel tempo sospirava e spennava quaglie, Enenco le diceva di avere pazienza e che prima di pensare al matrimonio occorreva che si facesse una posizione, poiché aveva il sacrosanto e comprensibile terrore di ritrovarsi ancora senza un’occupazione e soprattutto privo di un reddito.

Un affare ben riuscito

Il suo obiettivo primario era quello di affrancarsi dagli altri, di rendersi autonomo. Ma le circostanze della vita stavano ulteriormente svoltando, e sempre in positivo: ad Enenco arrivarono gli arretrati della pensione d’invalidità, una cifra considerevole, che lui pensò di girare immediatamente ai suoi genitori. Il padre non solo gliela lasciò per intero ma vi aggiunse un suo prestito affinchè comprasse una casa e pensasse finalmente a mettere su famiglia. In quell’abitazione, Enenco realizzò la sua dimora e il laboratorio per la spennatura, prima manuale, e in realtà gestita da una massaia, poi semi automatica, ed infine del tutto automatizzata delle quaglie. Ogni mattino Enenco partiva per Milano: e vendeva le proprie quaglie con la tecnica del porta a porta; inizialmente gli acquirenti apparivano scettici, poi cominciarono ad apprezzare quei pennuti. Enenco ritornava a casa a volte a sera tarda, solo quando aveva venduto l’ultima quaglia del suo carico. In breve cominciò a farsi una favorevole reputazione: al ristorante “Il Portone” di Melegnano riusciva a vendere mille quaglie alla settimana, la gastronomia Peck di Milano voleva essere costantemente rifornita. Paradossalmente, anche le pescherie esponevano le quaglie dell’allevamento dei Barbieri sui loro banconi. I clienti mostravano di apprezzarne la carne saporita, i diversi modi di poterla cucinare: dalla griglia, al forno, all’ingrediente di contorno per i risotti. Enenco Barbieri capì che doveva allargare le maglie ai propri orizzonti: e fu così che prese un pezzo di terra qui alla Mirandola, acquistandolo da un bresciano di nome Monti, che vi aveva realizzato un pioppeto. Enenco vi impiantò invece il suo allevamento di quaglie. Andò in Veneto dove c’erano i migliori allevamenti di quaglie, con grande umiltà imparò le tecniche di manutenzione degli impianti, l’importanza del riscaldamento negli ambienti. Per anni, Enenco e la signora Colomba arrivavano alla Mirandola alle tre del mattino, acciuffavano le quaglie, e poi le portavano a Mulazzano per macellarle. Nell’allevamento arrivarono a transitare oltre quattrocentomila pennuti all’anno.

Dai pennuti alle uova

Nel 1985 i coniugi Barbieri si spostarono definitivamente alla località Mirandola; nel frattempo dal matrimonio erano nati Mariadele, Silvestro e Paola. Le ragazze hanno un impiego in aziende private, mentre Silvestro, classe 1966, ha proseguito l’impegno del padre. Lui ha avuto il fiuto di saper cambiare in corsa l’indirizzo dell’azienda, proprio mentre la vendita delle quaglie cominciava a rivelare una crisi di settore, e ha avuto la stessa buona stella di papà Enenco: cioè quella di fare gli incontri al momento giusto. Gli capitò che un commerciante più che le quaglie gli chiedesse le uova di questi pennuti. Silvestro scommise subito su questa nuova opportunità: così i Barbieri hanno chiuso l’attività del macello e si sono dedicati a quella delle uova. Il numero è di circa 250mila mensili, le cui confezioni vengono affidate a quattro grossisti che le vendono poi ai supermercati. Le uova di quaglia sono un’alternativa a quelle dei polli, e notevolmente vantaggiose per coloro che soffrono di colesterolo, avendo meno grassi, ed in più sono spesso usate per l’impasto dei dolci, gradite da coloro che soffrono di comunissime intolleranze alimentari: la loro destinazione appare riservata ancora ad un settore di nicchia, ma il loro mercato è in progressiva espansione.

Silvestro ha sempre confrontato le proprie opinioni col padre. C’è tra loro un bellissimo legale ed uno speciale confronto. Il signor Enenco Barbieri è orgoglioso di quanto, nella vita, lui e suoi figli, e gli altri famigliari, hanno saputo realizzare. È il classico uomo veramente partito dal nulla, con la vita che per giunta gli remava contro. Ha avuto la forza di non scoraggiarsi mai. È un uomo mite, che anche quando gli ha preso a dire bene, non si è mai vantato. Ha un segreto e lo svela con semplicità: i passi vanno fatti con le misura che in quei momenti le proprie gambe consentono. E se c’è da stare fermi, bisogna anche sapere aspettare. Prima o dopo, si ritorna a camminare.

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