Alla cascina Cà dei Tacchini di Brembio il sole mattutino scintilla, mantenendo algido il proprio calore: c’è una luce quasi diafana, la stessa umidità stenta nei suoi primitivi scioglimenti e ogni cosa resta in sospeso. Per fortuna c’è la passione dei Chiesa, la famiglia che dal 1956 è affittuaria dell’Istituto degli Orfani di Milano. Passione per le bestie della propria corte, per i macchinari, per la difesa delle tradizioni agricole che devono ancora guardare al futuro.
Tutto è in ordine alla corte Cà dei Tacchini: i trattori all’interno di un capannone e vari macchinari sull’aia posteriore alla casa padronale, dove si affacciano un ampio fienile e le case coloniche, ancora abitate agli inizi del Novecento dai contadini. Con l’amico Giacomo Rossi attraversiamo il piazzale come dovessimo passare in rassegna i cingolati di un battaglione: pulizia perfetta, macchinari lustrati, pronti all’uso.
Fratelli unitissimi
I fratelli Gualtiero e Gianni Giuseppe hanno superato i settant’anni: il primo deve compierne 76, il secondo 72; anche ora che hanno diviso gli affari, con Gualtiero che pur pensionato ha optato per seguire in proprio un’attività di monocoltura, i due fratelli sono unitissimi: rispettosissimi l’uno dell’altro, rappresentano la vera definizione che la libertà di ciascuno finisce lì dove inizia quella del prossimo; con le loro mogli, ed i rispettivi figli, hanno costituito una famiglia solidissima, con valori profondi.
Gualtiero e Gianni Giuseppe hanno fatto sempre scelte oculate. Su tutto. Pure per i macchinari agricoli hanno cercato di mantenersi all’avanguardia: oggi gli automezzi devono più che mai garantire la sicurezza per chi li guida. Una delle ultime macchine acquistate, dalla storica azienda Merlo di Cuneo, è un movimentatore idraulico, con caratteristiche multifunzionali, in grado di spostare terra, fieno e letame. Dalla cabina di guida si cambia braccio meccanico e il mezzo è in grado di convertire, con assoluta precisione, i propri meccanismi verso la finalità desiderata. Questo macchinario costituisce ormai l’anima meccanica dell’azienda: i Chiesa lo usano quotidianamente e, per quanto possa sembrare forse paradossale, sono affettivamente molto attaccati al parco automezzi.
animali simbolo
Ovviamente maggiori legami hanno verso il bestiame. Per esempio per i tacchini. Non sono stati però, storicamente, questi animali a dare il toponimo alla corte dei Chiesa, che deriva invece da una nobile famiglia lodigiana, che fu proprietaria nel più lontano passato di questa possessione. Ma, quasi per scherzo, i tacchini hanno finito per simboleggiare in modo definitivo questa cascina: è stato per questo che un amico ha regalato ai Chiesa ben sette tacchini, appena nati. A prendersene cura è stata la signora Angela, moglie di Gianni Giuseppe. Li ha accuditi con amorevolezza in quanto pare che non vi sia animale più fragile di questo pennuto soprattutto nelle prime settimane di vita, tanto che di un bambino ammalato suole dirsi che “el par un pulin”.
Temibilissime per i tacchini sono le punture di zanzare, che possono rivelarsi letali. E sin quando non cresce loro l’escrescenza rossa e carnosa sotto la mascella del becco mantengono una fragilità notevolissima. Fondamentale è rafforzarli nella struttura fisica, soprattutto nella tenuta inferiore del corpo, sino alle zampe, in quanto su quella parte poserà il peso maggiore del loro volume. Per questo la signora Angela nelle prime settimane di vita dei tacchini ha sempre preparato loro un apposito pastone proteico, con farina, crusca, verdure e pane bagnato. Per crescere un bel tacchino ci vuole un anno, lo stesso periodo per avere polli ruspanti, allevati sempre dalla signora Angela.
gli amatissimi cani
Altro animale amatissimo qui è il cane razza spinone, di cui vi sono almeno quattro esemplari, e a vederli sono davvero bellissimi. Pulcione visse alla cascina Cà dei Tacchini per ventitré anni. Era un cane da caccia esemplare: si tuffava nelle gelide acque delle rogge, sapeva cacciare lepri e fagiani, e fungeva da cane da guardia. Quando morì, il suo padrone Gianni Giuseppe ne soffrì sino a lacrime di radicale desolazione. Per consolarlo gli regalarono uno spinone, che era femmina, e affinchè non immalinconisse le diedero un compagno, e da qui scaturì la prole degli spinoni.
Presenti in cascina anche i cani segugi, e c’è una ragione: entrambe le razze, segugi e spinoni, sono ottimi per la caccia, i primi per la lepre e gli spinoni per i pennuti, e quindi proprio nella campagna limitrofa alla corte è stato organizzato dai Chiesa un quagliodromo, cioè un campo con casotta attrezzato per allenare i cani a rafforzare il loro innato fiuto per scovare le prede.
l’antenato pavese
I Chiesa possiedono molti segreti del mestiere agricolo. Il primo di loro che memoria ricordi si chiamava Emilio, nativo della prima metà dell’Ottocento ed originario di Monticelli Pavese. Già lui era impegnato in agricoltura. Suo figlio Giuseppe, nato nel 1880, fu un autentico personaggio: oltre a gestire la stalla con una ventina di bovine, un numero elevato per quei tempi, più cavalli e buoi per i lavori sui campi, curava un bel vitigno; per questo ogni pietanza che mangiava doveva essere accompagnata dal vino; già di primo mattino col caffè, che lui mescolava appunto con un’intera caraffa di vino. E pure prima di coricarsi, alla sera, faceva lo stesso con la minestra. Una volta alla settimana, invece, s’ingurgitava una bottiglietta di olio di ricino, che riteneva indispensabile per “oliare il motore”.
Anche suo figlio, l’unico maschio tra cinque femmine, e quindi molto coccolato in casa, fece l’agricoltore: si chiamava Carlo, ed era nato nel 1912. Carlo era il papà di Gualtiero e Gianni Giuseppe. Egli aveva un carattere asciutto e diretto: molto bravo sul lavoro, pretendeva il massimo dai suoi figlioli. Pà Carlo aveva una particolare ossessione: quella corte a Monticelli Pavese, di cui i Chiesa erano proprietari, gli toglieva il sonno, perché davvero troppo vicina all’argine del Po, ed il terreno sabbioso rappresentava una fatica improba.
Infatti, dopo l’alluvione del 1951, pà Carlo ritenne fosse giunto il momento di andare via; quella volta l’acqua risparmiò le strutture abitative della corte, ma sommerse i campi, danneggiandoli fortemente.
l’occasione buona
Quando giunse l’occasione giusta, perché i fratelli Barbazza cessavano l’attività alla cascina Cà dei Tacchini di Brembio, pà Carlo radunò attorno ad un tavolo la moglie Maria Lanza, una donna di grande bontà, sempre pronta a dire a chiunque una buona parola, e i quattro figli (oltre ai maschi, le ragazze Emilia e Noemi), e propose loro il trasferimento nel Lodigiano. Era l’anno 1956.
Per i giovani Chiesa era un salto nel buio perché, malgrado Brembio distasse soltanto una quindicina di chilometri, loro non si erano mai spostati da Monticelli Pavese. Partirono dunque con un magone grosso così. Persino il cane di quel tempo, uno spinone di nome Tell, non sapeva decidersi se era meglio stare a Monticelli Pavese oppure a Brembio: così al mattino presto Tell scorrazzava per i campi raggiungendo la vecchia casa sul Pavese ed al tramonto, ripercorrendo la strada inversa, rientrava a Brembio. Il suo dilemma rappresentava lo stato d’animo dei Chiesa; pà Carlo aveva anche lui una grande nostalgia: egli condusse ambedue le aziende, diede il tempo ai suoi ragazzi di crescere e di rendersi autonomi, e quando divenne anziano ritornò definitivamente a Monticelli Pavese.
una crescita costante
I Chiesa rivelarono l’azienda Cà dei Tacchini a porte chiuse: vi erano sessanta bovine. Sempre in quel periodo abitavano in corte una quindicina di contadini; di questi ultimi, alla fine rimase solo Antonio Giupponi, capo mungitore e persona di grande fiducia.
Il latte già a quei tempi era conferito al caseificio Zucchelli: tutti i Chiesa ricordano con affetto il signor Gianni, fondatore dello stabilimento, apprezzato per le sue doti umane e per la profonda generosità: era infatti un uomo capace di dare sempre il giusto consiglio e rispettava tutti, a partire dalle persone più semplici.
Gradualmente i fratelli Chiesa hanno ampliato le potenzialità della stalla e la loro possessione. Fondamentale è stato il contributo delle loro mogli. Gualtiero ha sposato nel 1962 Teresa Bianchessi, originaria del Cremonese, anche se poi la famiglia s’era trasferita a San Martino in Strada, anch’ella proveniente dal mondo agricolo. La coppia ha avuto due figli.
Gianni Giuseppe ha sposato Angela Colombini, nativa di Ospedaletto Lodigiano, figlia di commercianti: i suoi gestivano due negozi e un macello dove venivano lavorati venti maiali al giorno e dal quale si rifornivano numerosi esercizi commerciali del territorio.
Le due cognate sono state, negli anni, un punto di riferimento fondamentale per la crescita dell’azienda agricola; infatti, oltre che per l’impegno diretto, è stato grazie alle loro personalità che le sfide lanciate si sono ampiamente realizzate. Alcune anche divertenti: una volta, ad esempio, il Consorzio Agrario aveva organizzato una speciale gimcana automobilistica, a cui potevano partecipare esclusivamente i trattori. Le donne della famiglia Chiesa insistettero affinchè l’automezzo migliore presente in cascina partecipasse alla gara: vi erano fior di esperti manovratori alla guida dei trattori, ma a vincere il primo premio furono proprio i Chiesa.
il presente
Adesso l’azienda agricola, oltre che da Gianni Giuseppe, è gestita pure dai suoi figli: Maurizio e Carlo; il primo, che si occupa prevalentemente della stalla, è veterinario ed ha il proprio studio privato a Casalpusterlengo; in più Maurizio è un professionista molto apprezzato nel mondo circense: infatti è specializzato nelle cure per gli animali di grandi dimensioni, come elefanti, tigri, pantere e giaguari; spesso è in viaggio per raggiungere circhi dislocati in tutta Europa; a volte invece, soprattutto per le lunghe degenze, preferisce ricoverare gli animali nella cascina di famiglia attrezzando gli ambienti in assoluta sicurezza. Carlo è diplomato perito agrario e si occupa prevalentemente dei terreni, oltre all’addestramento dei cani segugi.
Pà Carlo sarebbe orgoglioso dei suoi nipoti e del percorso sinora fatto. Anche se le radici dei Chiesa oggi sono ben salde a Brembio, e Monticelli Pavese, il luogo tanto amato delle origini, diventa sempre più un pallido, lontano ricordo.
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