Sotto il grande platano della Borasca

Tra due cascine “gemelle” scorrono i ricordi della famiglia Cairo

Emilia - per tornare sui miei passi e giungere finalmente alla meta: frazione Borasca di Zorlesco.

Ma aveva ragione il mio carissimo amico Carlo Brusati nel suggerirmi di percorrere una stradina interna, che da Casalpusterlengo conduce appunto a questo piccolo agglomerato dove ogni cosa sembra perduta nella notte dei tempi - come per un incantesimo che ha voluto tutto immobile, lasciando che si cedesse ad una progressiva decrepitezza: le cascine in abbandono, le case disabitate, i negozietti abbandonati - mentre febbrile sembra essere l’aria di chi transita in questa zona, come se, da un momento all’altro, tutto venisse restituito alla vita.

Carlo Brusati mi conosce da anni: sa che certi angoli mi catturano. Che mi piace accostare l’auto sul ciglio della strada, scendere, e fermarmi ad osservare la natura. Talvolta, mi tira per il braccio: andiamo. Il più delle volte si resta, insieme, silenziosi: per un tempo indefinito. Bello, dico io, osservando i contorni di un campo; bellissimo, risponde Carletto. E poi daccapo silenzio.

Così l’amico Brusati mi svela un lungo appezzamento di terra - siamo ancora a Casalpusterlengo - dove un ortolano, il signor Soffientini, coltiva la sua ortaglia con metodo tradizionale: al principio di ogni sentiero vi sono cumuli di letame, tra una verza e l’altra ampie distanze, ogni verdura sembra uno spicchio d’un ritratto d’arte.

tra i campi

Poi entriamo alla frazione Borasca, in una stradina deliziosa, immersa nei campi: questa è la meta di corridori e ciclisti, vengono in tanti ad ossigenarsi, a cercare pace e tranquillità. Sul ciglio sinistro vi è un platano secolare, altissimo, possente: lo piantò Pietro Foroni, il fattore della cascina Borasca, alle dipendenze della famiglia Cairo, presso la quale, questo pomeriggio, freddo malgrado le luci siano terse ed abbiano la forza di allungare le giornate, sono ospite.

La storia di questa famiglia, originaria di Casalpusterlengo, è intimamente legata sia alla cascina Borasca, che acquistarono nel 1923, che alla cascina Nuova, cinquecento metri più in là, sempre nel cuore di Zorlesco, che presero in affitto dal 1946.

La più antica corte, la Borasca, mantiene remoti angoli di suggestiva e incantevole bellezza. Era un’antica proprietà della famiglia Vistarini, feudatari di Zorlesco. Successivamente, probabilmente attraverso alcuni lasciti testamentari, la possessione passò agli Scotti, di Codogno, che nel 1820 la alienarono ai Ferrari. Da questi ultimi la acquistarono appunto i Cairo, i quali lasciarono che l’affittuario, Giuseppe Riboni, finesse il periodo di contratto, e poi, nel 1927, ne presero definitivamente possesso.

Un altro luogo dal quale Carlo Brusati deve tirarmi via è l’oratorio interno alla cascina Borasca e dedicato a san Bartolomeo; questo edificio - come ha avuto modo di raccontare Giacomo Bassi nel nostro libro Oratori di cascina nel Lodigiano - costruito probabilmente su una precedente struttura molto più vecchia ed in totale rovina, fu fatto erigere nel 1756 da Bartolomeo Scotti, ai tempi in cui era il proprietario della corte. Nel 1767, consacrato ufficialmente dalla chiesa, fu aperto al pubblico culto. Ancora l’oratorio fu oggetto di interventi di restauro; il più significativo avvenne quando i proprietari erano già i Cairo: nel 1948, infatti, rifecero la pavimentazione e nel 1969, assecondando le indicazioni espresse dal Concilio Vaticano II, eressero un nuovo altare verso i fedeli. La celebrazione della messa festiva continuò sino alla metà degli anni Novanta del secolo scorso.

commercianti di formaggi

La storia della famiglia Cairo me l’ha raccontata Pietro Cairo, agricoltore che ha eccezionalmente riannodato i tanti ricordi custoditi nel silenzio del proprio cuore, ripercorrendo, con l’aiuto della madre, la signora Itala Lusardi Cairo, gli aneddoti più significativi degli avi.

Inizialmente i Cairo non erano, nella loro progenie, agricoltori. Nonno Pietro, infatti, svolgeva l’attività di commerciante in formaggi. Questo Pietro Cairo era nato nel 1884 e, insieme al fratello Giovanni, gestiva una salumeria in piazza del Popolo a Casalpusterlengo. Un terzo fratello, Francesco, era entrato in seminario ma una malattia se l’era portato via prima che riuscisse a prendere i voti.

Pietro Cairo era un commerciante molto capace: i migliori caseifici gli domandavano consigli, quando dovevano partecipare a fiere e rassegne gastronomiche. Ed era anche un uomo avveduto: infatti, pensò di andare direttamente alla fonte dei propri affari, e provò, riuscendovi, a sperimentarsi agricoltore ed allevatore di bestiame: il latte, fonte primaria per i suoi formaggi, non gli sarebbe mai mancato. Si appassionò poi così tanto al mestiere, che alla fine mollò la salumeria, e si dedicò completamente a questa sua nuova attività.

Inizialmente i fratelli Cairo andarono affittuari alla cascina Cucca di Codogno, e poi si spostarono alla Cigolona di Casalpusterlengo. E da qui alla cascina Borasca. Nel 1946 divennero anche affittuari della cascina Nuova, di proprietà del dottore Vigorelli di Milano. Oggi il cuore dell’azienda agricola è proprio in questa corte, di cui i Cairo sono sempre affittuari.

un provolone speciale

È quasi superfluo dire che il vanto delle loro aziende agricole fu sempre il caseificio: esso fu mantenuto sino al 1975, quindi per quasi mezzo secolo. Vi erano occupati sei dipendenti; il capo casaro era Luigi detto “Bigiu” Re: cremonese, sapeva produrre provoloni davvero speciali. Negli ultimi anni non lavorava più direttamente: si limitava a dare ordini ai suoi uomini, ma aveva l’occhio fino, e non gli sfuggiva nulla.

Per questo il caseificio dei Cairo s’era fatto un nome, e qui veniva a trattare gli affari personalmente Gennaro Auricchio, fondatore dell’omonimo formaggio, che a propria volta si faceva largo nel panorama nazionale.

I Cairo ebbero numerosi collaboratori; fra questi è giusto ricordare, oltre ai già citati Foroni e Re, il mungitore Armando Merlini e il “fa tutto” Luigi Carelli. Quindi Mario Balzarelli, che era l’autista e accompagnava il signor Pietro Cairo ovunque occorresse, non avendo quest’ultimo mai voluto prendere la patente. Un ruolo di rilievo, all’avanguardia per quei tempi, aveva anche Aldo Toscani, che faceva l’impiegato e si occupava di contabilità, oltre che di tenere i rapporti con vari caseifici e commercianti sparsi in tutta Italia. Altro storico lavoratore fu l’adacquatore Giovanni Rossetti, esempio di longevità: morì infatti, qualche anno addietro, all’età di 105 anni.

due fratelli diversi

Giovanni Cairo, che si occupava a tempo pieno dell’attività agricola, morì nel 1950. Dopo quella data, l’azienda fu condotta da Pietro con i figli Luigi detto “Gino” e Francesco; gli altri figli, infatti, avevano preso strade diverse: Derio s’era laureato in medicina, Esterina aveva sposato un certo Bassi, che a Casalpusterlengo aveva un pastificio; infine c’era Sante, poverino, che morì ventiseienne.

Gradualmente il signor Pietro delegò tutte le attività ai figli: Gino curò il caseificio e l’ufficio, mentre Francesco si dedicò alla campagna ed alla stalla. I due fratelli erano diversi tra loro: Gino era un tipo brusco; reduce dalla guerra in Africa, catturato dagli inglesi, aveva fatto una lunga prigionia in India, e forse qualche amarezza gli s’era impressa nel carattere. Francesco, invece, era più taciturno, meno immediato, anche se tutti gli riconoscevano l’indubbia capacità di sapere trattare con i propri uomini.

Le due cascine, la Borasca e la Nuova, erano considerate come un’unica entità: la forza delle stalle, tra l’una e l’altra, contava sino a duecento capi. Nella sostanza, però, Gino si dedicava alla prima, mentre Francesco seguiva la cascina Nuova, dove era andato a vivere con la propria famiglia.

un incontro fatale

Quest’ultimo era sposato con la signora Itala Lusardi, originaria di Cremona. Lei era maestra e insegnava alla scuola elementare di Casalpusterlengo. Le circostanze per le quali si conobbero furono casuali ed al tempo stesso assai romantiche; la maestra un giorno fu invitata a prendere un gelato da un suo piccolo alunno, che stravedeva per lei. Ogni volta lei aveva lasciato cadere l’invito, ma davvero le sembrava male deludere questo suo allievo. Così un giorno acconsentì all’invito e tutta la famiglia dell’alunno si presentò in pompa magna. Qualcuno propose di andare a prendere il gelato a Codogno. Entrando nel locale, la maestra rimase colpita da un uomo, elegantissimo, distinto, dai modi galanti, che si distingueva tra un gruppo di suoi amici. Quell’uomo era Francesco Cairo e i suoi accoliti, al suo pari, erano tutti agricoltori della zona. Anche l’uomo rimase molto colpito dalla maestra e cominciò a fissarla. Scambiò due chiacchiere sotto voce con i famigliari dell’alunno e da quel momento, ovunque fosse la maestra, guarda caso, si materializzava lui. Lei giungeva ogni giorno da Cremona in stazione, a Casalpusterlengo, e lui era lì ad attendere apparentemente un treno, ma in realtà ad aspettare lei. Lunghi sguardi e infine la tanto attesa dichiarazione d’amore.

Nel 1948 Francesco ed Itala si sposarono. Ebbero due figli: il nostro Pietro, nato un anno dopo le nozze, e principale testimone di questa storia, e Manuela, giunta sei anni più tardi, e che oggi è un’apprezzata restauratrice di dipinti d’arte.

Pietro, dopo la morte del padre, avvenuta nel 1995, ha proseguito autonomamente l’attività agricola: oggi conduce 860 pertiche di terra a monocoltura, talvolta si avvale dell’aiuto di contoterzisti, ma è un uomo a cui il lavoro non spaventa ed è capace di trascorrere, alla bisogna, intere giornate sui campi.

Guardo i suoi occhi, che sono di un blu straordinario: intuisco quanto ami osservare l’orizzonte del cielo, e starsene in santa pace. So che quest’intervista è stato, in primo luogo, un suo atto di gentilezza. Cronista e lettori non possono che ringraziarlo di ciò.

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