Rubriche/Cascine
Domenica 29 Maggio 2011
Sotto i porticati maestosi
l’intreccio di molti destini
La storia della famiglia Ciserani alla cascina de Livraghi
E’ un intreccio di destini e di incroci, quello della cascina de Livraghi, nel quasi omonimo paese di Livraga. Mentre osservo i maestosi portici attraverso cui si accede alla parte nuova della corte, Mario Ciserani, conduttore dell’azienda agricola insieme al cugino Luigi, si sgola al telefono: sta spiegando ad un suo collaboratore come risolvere il problema ad un cardano, che è un giunto indispensabile al movimento di una falcia condizionatrice, macchinario che comprime l’erba. Sto cercando di capire, attraverso le indicazioni di Mario, come risolvere il problema e quale sia la funzione di questo mezzo.Ad un certo punto, siamo in tre a parlare contemporaneamente: Mario al telefonino, Giacomo Rossi che cerca di tradurmi, gesticolando, le spiegazioni tecniche che dà il primo, ed io che interrogo entrambi sul significato di alcuni termini.
Una squadra efficiente
Ho compreso - ma le cose non stanno del tutto così, e Rossi e Ciserani mi riprendono, puntualizzano, chiariscono, ma io sono uomo di mare e qualche approssimazione sulle zolle bucoliche deve essermi pur perdonata - che l’erba schiacciata dalla falcia condizionatrice dovrebbe perdere con maggiore velocità i propri gradi d’umidità; la pressatura evita che essa venga rigirata troppe volte eliminando così le infiltrazioni della terra. L’erba schiacciata è lasciata in fila per mezza giornata: non appena nella sua superficie si forma una prima evidente crosta, allora, viene rigirata; quando poi l’erba è definitivamente secca, a quel punto, si va con un altro mezzo, cioè con il rotoballe: l’erba viene imballata e condotta in cascina; una volta avvenuta la fermentazione verrà conservata in file perpendicolari da sei “balloni” ciascuna.Intanto, c’è questo cardano da sistemare. Poi arriva un’altra chiamata su un secondo telefonino per un diverso problema: Mario dà ulteriori indicazioni. Siamo insieme da una ventina di minuti e credo di avere capito il mio ospite: è uno che non si risparmia, che ama il proprio lavoro e vive in sintonia totale con i propri collaboratori.Me ne rendo definitivamente conto quando Mario Ciserani mi racconta un’abitudine, ormai un rito, che puntualmente avviene ogni sera, in cascina: a fianco della loggia padronale, s’incontrano le persone che lavorano nell’azienda agricola. Parlano fitto e programmano la giornata dell’indomani: quel che c’è da fare e come realizzarlo.Questo è un gruppo consolidato: gente che si stima, che sa riconoscere l’uno l’importanza dell’altro, che sa fare squadra.Oltre ai cugini Ciserani, Mario e Luigi, vi sono i collaboratori di stretta fiducia, ciascuno arrivato alla cascina de Livraghi come avesse con essa, e con la famiglia Ciserani, un appuntamento segnato dal fato.
Collaboratori fidati
C’è Alberto Monticelli, che lavora in campagna; era compagno nelle classi medie di Mario Ciserani. Un giorno, finita la scuola, ormai ventisei anni addietro, si presentò in cascina col padre. I Ciserani pensarono ad una visita di cortesia, uno di quegli incontri per fare giocare insieme i ragazzi. Invece papà Monticelli era lì per chiedere un posto di lavoro per il proprio figliolo. Alberto fu accolto a braccia aperte. Con i Ciserani ha un rapporto alla pari: c’è una lunga frequentazione, consolidata da un’amicizia sincera, ma è un uomo intelligente e sulle decisioni, pur esponendo sempre il proprio punto di vista, non interferisce mai.Poi c’è il mungitore: Livio Baldrighi. Tanti anni fa faceva il saldatore delle bombole del gas. Poi avverte che qualcosa in azienda non andava bene, che l’attività poteva cessare da un momento all’altro. Bussò alla cascina de Livraghi: chiese ai Ciserani di poter lavorare per loro. Al momento c’era posto solo come mungitore: forse un compito inadatto per chi non era mai stato del mestiere. Livio insistette. Mario Ciserani ne parlò al cugino Luigi: non si sentivano di deluderlo. Gli proposero qualche giorno di prova. Difficile che avrebbe resistito. Invece Livio si rivelò un’incredibile scoperta, bravo, veloce, versatile, appassionato: suo padre era stato a lungo un mungitore alla cascina San Tommaso di Villanova Sillaro e, da ragazzino, lui, osservandolo, gli aveva rubato il mestiere.Un ultimo collaboratore è qui da poco meno di un anno: si chiama Giuseppe Oleotti, lavora in campagna, anche lui si è integrato bene.
Fratelli e cugini
I Ciserani sono affittuari della Fondazione Vittadini dal 1957. A giungere qui furono quattro fratelli: Vittorio Emanuele, Ireneo, Giuseppe, Vittorio. Ho seguito le loro sorti, avendone scritto a proposito di altre cascine, e ne conservo un bellissimo ricordo, come dei loro discendenti.Dal 1975, dopo un paio di passaggi, alla cascina de Livraghi rimasero Giuseppe, papà di Mario, e Vittorio, padre di Luigi.Questi fratelli Ciserani sono stati, tra loro, veramente complementari; Giuseppe è un uomo schivo, silenzioso: con grande passione ha sempre seguito la terra, e quando c’era da assumere decisioni importanti delegava tutto al fratello Vittorio, di cui aveva grandissima stima. Quest’ultimo, mancato nel 1988, era più estroverso: seguiva la stalla, e sopratutto le relazioni con il mercato e con il mondo esterno.Alla sua morte, le nuove generazioni dei Ciserani si rimboccarono le maniche. Entrambi i cugini erano predestinati come agricoltori. Che Mario dovesse fare questo mestiere lo si capiva da quando era ragazzino: già alle classi elementari, parlava come un dotto uomo di zolle, e riempiva di chiacchiere l’autista dello scuolabus, Giacinto Crovezzilli, su tutti i lavori che lo attendevano non appena sarebbe arrivato in cascina: una volta rientrato, gettava in mezzo all’aia la cartella e correva ad osservare l’attività dei contadini, primo fra tutti quel Paolo Boretti, che come trattorista lavorò per quarant’anni con i Ciserani. E siccome torturava il padre e lo zio per rendersi utile, questi ultimi gli avevano affidato un compito: portare la “pignatina” con limone e ghiaccio agli uomini in campagna. Anche Luigi aveva la stessa identica passione, forse rivelata con minore esuberanza.
Decisioni importanti
Entrambi i cugini, crescendo, assunsero ruoli di maggiore rilievo, sempre affidategli dai rispettivi genitori; in cascina vi era pure una porcilaia con un migliaio di maialini. Quando veniva il mediatore, Colombo Tenca, per prelevare i maiali ingrassati, toccava a loro contare i suini che venivano imbarcati sul camion, verificandone anche il peso. Erano tempi sereni, e i ragazzi pare avessero tutto il tempo per imparare. Ovviamente la perdita di Vittorio tolse quella spensieratezza che sino ad allora aveva caratterizzato la vita dei giovani Ciserani.Vi erano, inoltre, decisioni importanti da assumere. La stalla, che vantava 160 capi, andava risanata dalla leucosi. I Ciserani decisero così di privarsi della quasi totalità delle bovine. Ne tennero soltanto trenta, immuni da rischi di malattie, e che dessero le maggiori qualità per un’efficace rimonta.In quegli anni si rivelò fondamentale la figura dello zio Ireneo. Entrambi i cugini mostrano di avere per questo loro parente un affetto straordinario. Rivelano, anzi, quel bellissimo sentimento della gratitudine. Lo zio Ireneo, storico agricoltore della cascina Sabbiona di Brembio, fu una guida fondamentale: quando ancora non erano le sette del mattino si presentava in cascina e si confrontava con i suoi nipoti. Dava loro pareri, indicazioni, suggerimenti. Alla sera voleva risentirli e si faceva raccontare, per filo e per segno, come era andata la giornata. Se coglieva un’insicurezza, una titubanza, era lì a rinfrancare e rincuorare. Mario Ciserani dice che suo zio Ireneo gli ha veramente insegnato tanto; gli ha fatto comprendere che ogni stagione, nel lavoro come nella vita, ha le sua attese, e che bisogna avere pazienza e non mollare mai la presa. Gli è stato maestro nella semina e nel raccolto. E gli ha donato quel che è la cosa più importante per un uomo: la sicurezza.
Una nuova stagione
Partendo da quelle trenta vacche, Mario e Luigi ripresero a potenziare la stalla. Il numero delle bovine è stato progressivamente aumentato parallelamente all’acquisizione di nuovi ettari di terra. Oggi si producono 27mila quintali l’anno di latte, che viene conferito al caseificio Zucchelli di Orio Litta, il cui proprietario, il dottor Ambrogio Abbà, è universalmente considerato come il re del grana tipico lodigiano. In azienda avvengo mediamente 270 parti all’anno. Negli ultimi tempi, però, sono nati sopratutto vitelli. Valutate le condizioni negative del mercato, oggi i Ciserani preferiscono tenere i vitelli portandoli a cinque quintali e mezzo prima di venderli. E queste statistiche, nelle percentuali tra vitelli e bovine femmine, è stata la ragione per optare, nella fecondazione artificiale, verso il seme sessato, che dà altissime probabilità di ottenere un parto con bovina femmina.Ogni decisione viene condivisa dai cugini Mario e Luigi; il primo riconosce all’altro la capacità di saper delegare, di avergli lasciato gli spazi per agire con la più assoluta autonomia; Luigi apprezza del cugino la meticolosità, la serietà con cui affronta ogni impegno, quell’impulsività che lo porta a non sottovalutare mai nulla.In effetti, Mario Ciserani è così: una molla sempre in movimento. Sembra rilassarsi solo quando osserva il suo erede, Alberto, dolcissimo poppante di tre mesi, avuto dalla moglie Ilaria. Davanti a quel bimbo, persino i telefonini che squillano passano in secondo piano. Il sole al tramonto spegne i suoi raggi lungo gli atavici portici della corte.Ci sarà il tempo, oggi, soltanto per il confronto degli uomini della cascina de Livraghi sulle cose da affrontare l’indomani. Poi puntuale arriverà, prima di sera, la chiamata dello zio Ireneo.
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