Saturno segna il tempo alla Pompolina

Un’insolita meridiana orna la cascina dei Goglio a San Martino

Certi venti sanno essere ipocriti. Sarà solo una pausa dentro la generale calura estiva di questa stagione, che s’annuncia densa di bolle calde vaporose ed africane, ma a tratti s’alza un leggero venticello, refoli d’aria che si propagano e di cui, anche a ragionarci su, non si intuiscono le sorti: cioè, se il loro è un approdo finale ed arrivano già smorti ad infrangersi sulle verdi barriere di granturco, o se s’annidano per prendere poi definitivamente largo e sferzare la terra con i loro impeti.Sarà per queste sensazioni di vento, che intanto illanguidisce senza remore e, ruffiano, cede nuovamente al caldo, che mi sovvengono certe storie patrie circa i miei avi. O forse c’è una circostanza più vera e reale. Quando era bambino, sentivo raccontare che mio nonno Lombardo Placido fu Agatino, nato nel 1880 a Catania, una lunga permanenza come ufficiale del regio esercito italiano a Piacenza, sposato con Elisa Celaschi, una scrittrice del quotidiano Libertà, fece un giorno una così grande incetta di albicocche sino ad assumerne il colorito, mantenendolo inalterato per un lunghissimo tempo: a differenza dei siciliani del suo tempo, scurissimi di carnagione, egli era diafano, e quella tinta giallognola sul viso lo rendeva più spettrale che mai. La circostanza mi sovviene, in realtà, e dunque il vento è solo un alibi di facciata, perché a mia volta mi sto ingozzando di squisite albicocche, provenienti da un albero del giardino della cascina Pompolina, a San Martino in Strada, offertemi dai fratelli Filippo e Giancarlo Goglio, proprietari della corte e conduttori dell’azienda agricola fondata dal loro nonno.Le albicocche, pur se negli ultimi frutti di stagione, sono buonissime: hanno un succo gustoso, come deve essere il sapore buono della natura. Ne mangio una dopo l’altra e penso che potrei divenire come mio nonno, dando al mio aspetto allampanato un colore giallastro. Sarebbe uno spettacolo!

Una storia anticaBellissima la cascina Pompolina, che vanta una storia molto antica. Nel 1522 era almeno in parte proprietà dei Canonici Regolari Lateranensi. Successivamente divenne possedimento esclusivo dei signori Pavesi, detti Lottaroli, e successivamente dei Biancardi, fra cui vi era Dionigi, ingegnere e deputato. La corte vantava un oratorio intitolato a San Filippo Neri.Oggi una delle bellezze della cascina è certamente il dipinto della meridiana, oggetto di un eccellente ripristino pittorico realizzato da Stefania Lomi, originaria di Castiglione d’Adda ed insegnante di educazione artistica nelle scuola medie. È lei a darmi i ragguagli su questa meridiana e sul dipinto che la caratterizza. L’opera, lunga quattro metri, dovrebbe essere coeva alla casa padronale, realizzata nel 1813 ed è stata realizzata dopo aver posizionato lo gnomone, incidendo il disegno sull’intonaco fresco e dipingendo poi con pittura a calce. All’inizio degli anni Settanta la meridiana fu oggetto di ritocchi. Probabilmente in quella occasione venne utilizzata una pittura acrilica, che si è schiarita e sfogliata nel tempo, lasciando solo visibili le tracce del disegno originario incise nell’intonaco e alcuni residui di colore precedenti al ritocco. La Lomi ha stuccato tutte le imperfezioni con intonaco di grassello di calce, cercando di ripresentare al meglio l’intonaco originario. L’opera è un misto tra il tema originario ed alcuni spunti di innovazione, ove il disegno non era reperibile. Per rispettare e valorizzare la tradizione, ci si è avvalsi delle incisioni presenti e in parte di una fotografia realizzata, proprio negli anni Settanta, durante un matrimonio. Nella parte inferiore del dipinto è raffigurato un dio, ed il suo riconoscimento ha dato adito a qualche dubbio: era infatti comune convinzione che dovesse trattarsi di Saturno, ma disorientava quella barba fluente e nera, che mal si conciliava con l’icona classica, identificata prima ancora dai greci come Crono, e che veniva rappresentata come un vecchio curvo, con barba bianca, e quasi sempre, essendo una divinità protettrice dei campi, in compagnia di una falce, oltre che di un paio d’ali e di una clessidra. È probabile, allora, che la barba nera fosse un errore materiale dell’artista che vi mise mano durante il primo ritocco. Ma il dipinto asseconda altri elementi artistici originari, come il disegno delle piramidi, simboli di avvedutezza storica, considerato che il primo gnomone conosciuto al mondo era, appunto, egizio. E la stessa posizione di Saturno, che guarda verso l’ingresso della cascina come a volerla proteggere e vegliare. Invece, la rappresentazione della campagna è un aspetto nuovo, ed è proprio quella che circonda la corte. Ed anche la frase “tempus omnia vincit” è stata scelta assieme alla famiglia Goglio in quanto si intravedevano solo le pergamene ma le lettere non erano più leggibili e simboleggia pertanto una sorta di motto della famiglia proprietaria oggi della corte. Va infine ricordato che la meridiana è assolutamente funzionante.

Agricoltori di razza I Goglio arrivarono alla cascina Pompolina agli inizi degli anni Cinquanta. Famiglia di agricoltori di razza, non appena il suo capostipite si accorse che i tanti figli non avrebbero trovato spazio sufficiente lassù nelle montagne bergamasche, decise di spedirne tre a valle, luogo che offriva buone opportunità a chi aveva voglia di sgobbare e lavorare sodo.Fu così che Felice, Filippo e Annibale arrivarono a Lodi, alla frazione San Grato, alla cascina Paderno dei Carneselle. Dopo qualche tempo i fratelli si divisero e alla cascina Pompolina giunse Filippo.Più ancora dei Goglio, a raccontarmi le vicende di questa corte è un preziosissimo testimone: Angelo Bettinali detto Angiulìn. Suo padre Pepu con due fratelli e suo nonno Angiulìn senior erano qui contadini ed egli, pur avendo scelto per se stesso un lavoro distante dall’agricoltura, ha visto tantissima gente passare attraverso questa cascina e ha conosciuto, direttamente o per sentito raccontare, tutte le generazioni dei Goglio.Di Filippo Goglio, ad esempio, il primo della dinastia che venne alla corte Pompolina come affittuario, Angiulìn aveva sentito raccontare che quando lo si sentiva fischiettare era meglio farsela alla larga: era infatti il segnale del suo nervosismo e che da lì a poco si sarebbe scatenata una bufera, talmente violenta se contrapposta al consueto stile del sciur Filippo, che in realtà era taciturno di natura e si limitava a parlare solo quando era proprio costretto. Egli inoltre era un uomo tanto robusto quanto meticoloso, di una precisione che faceva persino impressione: se diceva una cosa, era quella, non si sgarrava di niente.

Un periodo difficile Il sciur Filippo aveva sposato Tomasina Brunetti e dal matrimonio erano nati due figli: Mario e Giuliana. Il primo aveva proseguito l’attività del padre ma caratterialmente si era discostato da lui: pur essendo ugualmente preciso, amava parlare con i propri contadini, spiegava loro le cose che andavano bene e quelle che avrebbe voluto andassero diversamente. Aveva acquistato la cascina Pompolina e guardava con grande serenità al futuro. Ma egli fu anche un uomo sfortunato, perché morì a 57 anni, lasciando quattro figli, di cui i due maschi, Filippo e Giancarlo, ancora giovanissimi. E visto che la moglie era morta anche lei giovane, ancor prima di lui, dei due ragazzi si presero cura le sorelle maggiori: Maria Teresa e Franca.Fu quello un periodo difficile, che sembrava chiudere definitivamente un’epoca. Sempre Angiulìn Bettinali racconta le figure più caratteristiche dei contadini di maggiore militanza alla cascina Pompolina. Fra questi aveva un posto di rilievo “Maio” Zenato, veneziano, universalmente apprezzato per la sua bellissima voce, con la quale si esibiva in sublimi stornelli. In cascina si cantava durante la permanenza delle mondine e nei periodi in cui si faceva la spannocchiatura e si restava sull’aia sino a sera tardi: allora Maio cominciava a cantare e tutti restavano a bocca spalancata. D’altra parte, quando si trovava a Venezia, avrebbe anche potuto fare carriera, aveva frequentato la scuola di canto, poi non c’erano soldi che bastavano in quegli anni e lui aveva rinunciato ai suoi sogni di gloria; in cascina aveva anche un fratello, Marino, da lui molto diverso: faceva il trattorista e si recava a Lodi con l’automobile per specifiche consegne.C’era poi Giovannìn, che era arrivato a fine carriera all’incarico di fattore: un omino piccolo e magro, ma sempre in prima fila, instancabile, e comunque capace di dare ordini e di farli rispettare. Comandava pure suo genero, Pepi, che faceva il mungitore; altro personaggio di rilievo era il capostalla Piero Gaudenzi.

Una corte serena I fratelli Filippo, classe ’63, e Giancarlo, di sei anni più giovane, crebbero dunque in un clima di amicizia e di rispetto reciproco fra la gente della corte. Non ebbero mai dubbi se intraprendere o meno la strada degli avi: l’agricoltura era nel loro Dna!Filippo ha sposato Margherita; la coppia ha avuto due figlie, oggi studentesse: Marta e Giulia. Giancarlo ha sposato Elisa e loro hanno a propria volta due figli: Sara, di tredici anni, e Mario di undici. L’azienda agricola oggi vanta duecento bovine: il latte Alta Qualità viene conferito all’industria casearia San Tommaso di Villanova Sillaro per la produzione di grana padano. Momento duro, questo, per chi produce il latte: gli ultimi accordi hanno portato il prezzo di vendita a trentasei centesimi al litro. Poco veramente. Malgrado questo i fratelli Goglio tirano dritto per la loro strada: sui tetti di un fienile sono stati posti a distesa pannelli solari, gli investimenti non si fermarono, con la convinzione che per dare un futuro all’agricoltura non bisogna arenarsi davanti alle difficoltà. E poi c’è Saturno che protegge la cascina e la sua azienda agricola: un’immagine così dà forza, e davvero il tempo vince ogni cosa, qualunque resistenza, e alla fine tutte le difficoltà.

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