Quella corte degli uomini bellissimi:alla Motta il feudo rurale dei Castellotti

Qui una volta era tutto, o quasi, dei Castellotti. Questa dell’attuale Motta Vigana, frazione di Massalengo, era una zona priva di mezze misure: nel 1633 aveva la denominazione dei maggiori possidenti, tanto che l’agglomerato di casette e stalle era conosciuto come Ca de Jacomo e Antonio Motta e faceva comune con Ca de Giovanino del Fra. L’aggiunta Vigana venne dopo, mutuandola da una famiglia di Lodi, che qui vantava qualche pertica di terra.

Per naveGià dalla prima metà dell’Ottocento i Castellotti avevano preso possesso della cascina Motta e di ampie porzioni di terra. Il capostipite s’era partito sin dallo stretto di Gibilterra per cercare fortuna in Italia: giunto nel nostro paese, con prima tappa Genova, aveva sentito dire che le migliori fortune si facevano in agricoltura, e aveva quindi pensato di scendere in Emilia. Il Lodigiano doveva rappresentare una tappa solo intermedia ma s’innamorò subito di questi luoghi e decise di piantarvi la sua base.Maggiori dettagli sappiamo sul figlio, Francesco, di cui una notizia certa è quella della sua morte, avvenuta nel 1875. Ma poiché le persone è meglio ricordarle da vive, le altre notizie sicure che si hanno è che ebbe nove figli, tutti agricoltori. I figli di questi ultimi presero invece strade diverse: fra loro, nella parentela, si ricorda ancora un professore Castellotti, emerito psichiatra di fama eccelsa.

Uomini di rangoDei vecchi Castellotti si ricordano tante cose: in particolare che gli uomini erano bellissimi; che il loro rango accresceva di livello più passavano le generazioni; che erano danarosissimi ed amanti della bella vita; e che l’agricoltura la videro a lungo come una forma privilegiata di ricchezza che non come un mestiere con cui inzaccherasi gli stivaloni di fango.Uno degli eredi di Francesco fu il cavaliere Desiderio, titolo a cui teneva tantissimo, tanto da volerlo scolpito pure nella sua lapide. Fu podestà di Massalengo e la sua autorevolezza era unanimemente riconosciuta. Aveva sposato donna Agnese Galliano di Dovera, imparentata con la nobile famiglia dei Barni, e l’unione aveva accresciuto i fasti della casata dei Castellotti.

Una donna straordinariaDonna Agnese Galliano fu una figura straordinaria: perlustrava quotidianamente la zona a cavallo, indossando un enorme grembiulone, fra le cui pieghe nascondeva ogni ben di Dio per i bambini dei contadini e dei poveri. Ella aveva in altissima considerazione un giovane che si rivelava assai esperto nelle cure medicamentose erboristiche: si trattava di Baldrighi, storico “medegon” della frazione, al quale personalmente ricorreva per consigli che riteneva preziosissimi. Il consorte di donna Agnese, appunto il cavaliere Desiderio, era un uomo statuario: altissimo, incuteva soggezione a tutti, meno che ad un cavallo che, imbizzarritosi, lo scalciò colpendolo ripetutamente. Il malcapitato cavalier Desideri, che a quel tempo si avviava alla settantina, provò a reagire, e a dimostrarsi più forte di quel nerboruto destriero, ma una sopraggiunta peritonite emorragica non gli diede scampo.I coniugi Desiderio e Agnese Castellotti avevano avuto quattro figli: Francesco, nato nel 1905, Maria, che sposò l’agricoltore Pacchiarini della cascina Triulza, Gina coniugata Tedeschi, e sempre coniugata Tedeschi vi era anche la quarta figlia Giuseppina: due sorelle, quindi, avevano sposato due fratelli.

Un agricoltore docA prendere le redini dell’azienda agricola fu Francesco, che oltre ad un patrimonio ragguardevole possedeva le qualità per essere un eccellente agricoltore; fu però frenato dal suo fascino di uomo di mondo, brillante, propenso agli affari. Egli aveva sposato una donna altrettanto bella, dotata di occhi straordinariamente magnetici: si chiamava Velia Mai, figlia di agricoltori, che avevano la propria corte alla cascina Piacentina della frazione Calvenzano di Caselle Lurani.A quel tempo l’azienda agricola dei Castellotti aveva una stalla per la produzione del latte e Francesco aveva voluto che si rimettesse mano all’antica casera, producendo qui il formaggio: suo casaro di fiducia era Malusardi, grazie al quale si realizzavano perfette forme di grana e ottimi provoloni. Questa produzione del formaggio consentì a Francesco di affrancarsi dal classico ruolo dell’agricoltore per assumere quello di commerciante e mantenere così un insieme di relazioni sociali. Egli era cugino del famosissimo Eugenio Castellotti, e la tradizione narra che i bolidi del pilota trovassero ricovero qui in cascina, nascosti sotto coltri di fieno.

Nel commercioFrancesco Castellotti s’intestardì così tanto nel vedersi più commerciante che agricoltore da commettere una serie di passi falsi. Intanto la moglie, la bellissima signora Velia, cominciò a trovare disdicevole la vita di campagna, preferendo quella di città. La coppia decise di trasferirsi a Lodi, con i figli Desiderio, nato nel 1933, e Maria Luisa detta Marisa, di qualche anno più giovane. Qui il signor Francesco decise di divenire socio di un prestigioso mobilificio: ma - per dirla con una battuta - di prestigiosi c’erano soltanto i debiti, che in un biennio mandarono in malora la società e parte delle ricchezze, pignorate dai creditori, di Castellotti che, ignaro della disastrosa situazione economica del suo socio, si trovò a risponderne in solido.

Generazioni a confrontoQuando si cade, occorre sapersi rialzare, ma in modo da camminare ancora se non spediti, almeno con buon piglio. Il signor Francesco non ebbe questa forza. Nel 1956 ritornò a Motta Vigana ed all’impegno agricolo, lasciandosi affiancare dal figlio Desiderio: tra i due, tuttavia, vi furono immediate divergenze, dovute al normale conflitto generazionale.Soprattutto il signor Francesco, per quanto coadiuvato dal figlio già maggiorenne, non gli diede il sufficiente spazio, e continuò a gestire autonomamente gli affari. Desiderio se ne rabbuiò. Non poteva accettare questo disinteresse del padre. Egli già osservava l’impegno agricolo con il piglio degli aristocratici, limitandosi a seguire da lontano il mungitore in stalla e l’addetto alla porcilaia. Ma non partecipare alla conduzione dell’azienda agricola lo frustrò ; egli si dedicò comunque, e con grande passione, ai suoi cavalli razza avelignese, curando un piccolo allevamento, partecipando a mostre e competizioni, e alle bovine di razza limousine.

Addio all’aziendaIntorno alla fine degli anni Sessanta, per via di cattive condizioni di salute, e avendo patito un paio di noiosissimi interventi alle anche, Desidero decise di chiudere i battenti dell’azienda agricola, crucciandosene non poco. Difficile dire quali malinconie lo attraversassero. In poco più di dieci anni era cambiato un mondo: forse le precedenti generazioni dei Castellotti, comunque distanti dalle reali fatiche agricole, non colsero i mutamenti sociali e la necessità di attrezzarsi per continuare ad essere protagonisti in agricoltura. Infine, un’improvvisa malattia si portò via Desiderio, quando aveva 64 anni, prima che potesse reagire, tornare alla tempra vivace dei Castellotti, o semplicemente a mettere a fuoco meglio quella bontà d’animo che, tuttavia, non riusciva mai ad esprimere con giusta consapevolezza.

Un presente di nostalgiaQueste vicende mi sono state raccontate dalla sua consorte, la signora Dina Vitali, figlia di agricoltori della storica cascina Legorina di Vizzolo Predabissi. Uno straordinario personaggio la signora Dina, ospitale e simpatica, è conosciutissima in tutta Lodi per il suo particolare lavoro: è colei che, da anni, registra e scrive tutti i resoconti dei consigli comunali della città. Desiderio e Dina hanno avuto due figli: Elena, impiegata presso l’Asl di Lodi, e Daniele, che ha intrapreso la carriera assicurativa presso le Generali, di cui è agente a Melegnano. La cascina Motta ha così smarrito la sua originaria vocazione: sull’aia razzolano però galline e oche, fanno la loro apparizione anche le caprette, qualcosa di atavico, alla fine, è rimasto. E la cascina Motta resta, malgrado qualche ferita, un formidabile, insostituibile baluardo agricolo del territorio lodigiano.

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