L’eterno incanto del vecchio mulino

Torno alla cascina Gualdane, ma questa volta dal lato del Mulino grande, dove oggi il mio amico Angelo Cerri conduce da anni un agriturismo con pietanze e gusti di qualità. Ma per conoscere la storia della famiglia Cerri sono andato oltre Bascapè, dove oggi risiede la signora Gaetana Cerri, preziosa testimone di un’epoca ormai lontana, ricca di intense vicende umane.

una donna instancabile

La signora Gaetana è un’agricoltrice instancabile: alla cascina Santa Martina piove acqua a catinelle oggi pomeriggio, ma lei non mostra alcun fastidio; indossa un paio di stivali e un impermeabile tenuto alla buona, soltanto come copricapo; le osservo le mani: piccole, nodose, con striature nere che le pennellano le rughe. La signora Gaetana è una donna molto colta ed acuta: ha fatto per anni la maestra di scuola elementare, andava ad insegnare in Brianza e a Lissone, partendo da Lodi Vecchio, giornate interminabili inseguendo corriere, bus, tram, treni.

La signora Gaetana si rivela subito quale donna di impeto straordinario e di suggestive particolarità: lei, ad esempio, parla con le foto dei morti; non sono soliloqui i suoi, ma dialoghi accesi, discussioni in cui torti e ragioni si mescolano, e dai quali è difficile poi giungere a una conclusione; ma ad una morale, sì: la signora Gaetana non nasconde mai i propri malumori, e quel che ha da dire, quando non riesce a dirlo in faccia, per ovvie ragioni, quantomeno lo dice alle fotografie dei suoi defunti. E, spesso, sono parole dure, aspre, che graffiano.

Comunque, ne ha anche per me. Ha letto alcune pagine di questa ricerca sulle cascine lodigiane e qualcosa non l’ha convinta. Vi sono famiglie su cui ho scritto, che lei ha conosciuto molto bene, e sostiene quindi che io sia leggermente maschilista, che non valorizzi a dovere la figura delle donne, che sono le vere anime delle corti. Non ammette repliche, la signora Gaetana, neppure quando le dico che, proprio attraverso questi racconti, è stata riscoperta la figura della “marescialla”, la donna che, emancipandosi dai lavori marginali della corte, cui spesso era inizialmente relegata, comandava su tutti: mariti, fattori, contadini. O le altrettanto nobili figure di madri di famiglia, che rimaste vedove, a furia di sacrifici accompagnavano i propri figli alla maggiore età, consegnando intatte e rigogliose le aziende agricole ricevute dai defunti consorti.

radici al femminile

Le stesse vicende dei Cerri, agricoltori bravi e storici mugnai del territorio lodigiano, derivano da una donna. Costei si chiamava Luigia Sari, ed era la vedova del mugnaio della cascina Ognissanti di Borghetto Lodigiano. La signora, ancora giovane in età, si rattristava a pensare di trascorre tutta la sua esistenza in vedovanza. Se ne accorse anche un dipendente del mulino, che era anche tre anni più giovane di lei. Forse una volta provò a confortarla. Ma è altrettanto sicuro che Sante Cerri, appunto il dipendente, rispettoso, educato, pure timido, non si sarebbe mai fatto avanti, se la signora Luigia, in tutti i modi, anche quelli più espliciti, non l’avesse incoraggiato. E così i due convolarono a nozze. Per Sante fu il colpo di una vita: da nullatenente qual era, si trovò addirittura proprietario di un mulino. Ma quella fortuna la pagò a carissimo prezzo: la signora Luigia, infatti, si rivelò nei suoi confronti molto prepotente, lo comandava a bacchetta, lo tiranneggiava in tutti i modi.

Sante e Luigia ebbero quattro figli: Gaetano, Angelo, Pietro e Teresa. Gaetano divenne agricoltore e per anni fu l’affittuario dalla cascina Varia di Lodi Vecchio. Angelo morì nel luglio 1918, in Albania, nella spedizione che contrastava le forze austro ungariche. Pietro scelse l’impegno di mugnaio e andò al mulino della Gualdane, dove vi era una pila per il riso, divenendo affittuario della principessa Giuseppina Gonzaga di Vescovato in Meli Lupi di Soragna. Pietro prese pure in affitto due terreni agricoli nei pressi del mulino, la stalla e il fienile, oltre che una casetta quale abitazione.

un uomo tranquillo

Pietro Cerri era un uomo che viveva la propria vita seguendo una massima fondamentale: lasciare vivere il prossimo in santa pace. Eppure, proprio in casa, si trovava in una situazione opposta alla sua filosofia: sua moglie, infatti, Rosa Colnaghi, della cascina Cà dell’Acqua di Borgo San Giovanni, aveva un carattere tremendo; tanto calmo era Pietro, quanto aggressiva era lei; tanto buono lui, quanto nervosa Rosa. Pietro era un uomo alla buona: si sarebbe accontentato di mangiare ogni giorno pane e formaggio e di potere godere di un bicchiere di vino; Rosa, invece, era molto interessata al soldo, e voleva ottenere sempre di più. Rosa appariva, per davvero, una donna insopportabile. Persino i figli, per quel suo piglio velenoso e scostante, la temevano.

La signora Gaetana, infatti, ha solo parole di sordo rancore verso la figura materna, quanto di dolcissimo affetto per la zia, sorella di Rosa: Maria Colnaghi, detta Mariuccia, che conduceva il mulino alla frazione Riolo di Lodi, ed era una donna di estrema bontà e generosità.

Malgrado quel carattere così prepotente, Pietro sembrava amare la consorte con tutto il cuore, e comunque fece con lei sette figli.

Pietro non si limitava soltanto a fare il mugnaio. Aveva pure una piccola stalla con sette bovine; il latte lo si conferiva inizialmente ad un piccolo caseificio di Salerano sul Lambro; poi fu dato alla ditta Invernizzi, che per contratto voleva due bidoni al giorno, ma alla domenica ne venivano richiesti quattro. Le vacche assolvevano inoltre ad una funzione particolare: Pietro poneva su di esse la biancheria, che poi indossava, trovando gli indumenti ben caldi. In cascina vi era pure una cavalla, che annualmente partoriva un puledrino, che poi, una volta svezzato, veniva venduto garantendo così un costante reddito.

un tragico episodio

La vita scorreva serena alla cascina Gualdane quando un episodio segnò profondamente e tragicamente la famiglia Cerri. Pietro, noto a tutti per il suo buon cuore, non si sentì di negare un prestito ad un conoscente, sicuro che questi gli tornasse a rate, e in breve tempo, quanto datogli. Il tale, incassata la somma di sette milioni di lire, una cifra da assoluto capogiro a quei tempi, quando si trattò di restituire la somma, pur con modesti acconti, cominciò ad eclissarsi e alla fine, papale papale, disse a Pietro che non era nelle condizioni di restituirgli alcunché.

Fu un colpo durissimo. Pietro cadde in un mutismo totale e sua moglie Rosa nell’isteria più assoluta: pianse a tal punto che un’intera pentola si riempì delle sua lacrime; oggi quel recipiente pende dal soffitto di casa della signora Gaetana, simulacro che rappresenta un monito e la forza di riprendersi, di ricominciare da zero.

Furono anni tremendi: Pietro non sapeva a quale santo votarsi, e più volte gli balenò in mente l’idea di gettarsi nell’Adda e di farla finita. Furono i figli ad aiutarlo, a dargli una prospettiva. In particolare, fu fondamentale l’aiuto del terzogenito Sante, che per alcuni decenni è stato l’anima di questa porzione delle cascina Gualdane; Sante oggi ha 83 anni, perso nelle nebbie di ricordi confusi. Lo conobbi anni fa, quando visitavo i mulini del Lodigiano: era un uomo pieno di aneddoti e di storie da raccontare, orgoglioso del luogo che abitava e della sua famiglia. Oggi conserva l’istinto del lavoro, ha l’impeto di rendersi utile, ancora indomabile.

Tanto tempo fa, quando suo padre Pietro cadde in depressione, fu Sante a farsi carico di lui; gli fece credere che riprendersi sarebbe stato più facile di quanto in realtà fosse, e lo spronava a lavorare, dandogli incarichi che servissero a fargli credere che la sua presenza fosse ancora utile e determinante. Sante fu così il simbolo della tenacia, e spronò tutti i suoi famigliari a reagire.

Importante per la famiglia Cerri fu pure l’aiuto degli Scorletti, che erano gli affittuari dell’altra porzione delle Gualdane: gente di vero cuore, che seppe sostenere gli sfortunati vicini in tutti i modi e con ogni mezzo.

una nuova frontiera

Sante Cerri aveva preso in sposa Bruna Marescotti, originaria della frazione Santa Maria in Prato di San Zenone al Lambro. La coppia ebbe cinque figli: Pietro, Rosangela, Paolo, Angelo, Sergio. Nel mondo agricolo è rimasto il solo Angelo, anche se la tradizione dei mugnai non è stata dimenticata da nessuno. Anzi, Pietro usa espressioni molto romantiche sul suo passato: i colori e le luci della campagna sono quelli che accendono e rendono vive tante sue nostalgie. Angelo ha imparato dal padre il principio dell’onestà e a saper riconoscere sempre quello che è degli altri.

Angelo è conosciuto da tantissimi lodigiani e da flotte di turisti milanesi che vogliono godere di una cucina ancora genuina, per essere il conduttore del rinomato agriturismo della Gualdane. Nel passato questo locale era sorto come cooperativa-fiaschetteria, gestita da sei contadini della zona. Fu poi Sante Cerri a proseguire da solo, organizzando un’osteria alla buona. Dal 1996 è divenuto agriturismo, il primo nel Lodigiano. Angelo vi è subentrato nella conduzione, a tempo pieno, dall’anno 2000.

Gradualmente l’agriturismo è migliorato: una volta l’attrazione erano le macine del Mulino, tutt’ora funzionante e che mantengono inalterato il proprio fascino; poi Angelo ha abbellito il cortile, che sembra un luogo di montagna con l’antico fienile in legno e piante di fiori che dall’alto piovono a grappoli. Negli interni delle sale per la ristorazione, cui è possibile accedere solo in giorni prestabiliti, secondo le prescrizioni che regolano le attività degli agriturismi, si possono ammirare gli ambienti di una volta, quelli casarecci e autentici, dove al di là del buon cibo lodigiano, è bello soffermarsi per conversare, tirare tardi e sorseggiare del vino, versando da un fiasco che dia luce ad un altro ricordo od ottenebri nell’oblio quella residua, dolorosa, pungente, ultima nostalgia.

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