L’approdo sereno della Sant’Antonio

Qui si è trasferito il ramo sanmartinese della famiglia Invernizzi

In un tramonto sfumato di colori, gli ultimi raggi del sole giocano a rimpiattino con le fronde dei tigli: sono cinquantatre alberi che, ai lati opposti di un vialetto, lasciano filtrare ora un residuo scintillio di luci, ora le prime penombre della sera. Anche la cascina Sant’Antonio di San Martino in Strada è un alternarsi di eterogenee geometrie architettoniche, tra profili abitativi moderni, stalle per bovine a lunghe percorrenze, ed un giardino di lusinghieri propositi, abitato da salici piangenti, aceri, pini.

Radici e approdiSono ospite della famiglia Invernizzi, che vanta radici lontane ed approdi recenti. Il ramo degli Invernizzi di San Martino in Strada ha il suo ceppo originario nel paese più piccolo d’Italia: Monterone, provincia di Lecco, sotto al Resegone. A spostarsi nel Lodigiano era stato Giovanni Invernizzi, ai primi del Novecento: la prima tappa l’aveva fatta alla cascina Campagna di Borghetto Lodigiano, mentre durante la Prima guerra mondiale si era spostato in una cascina della zona di Vercelli; egli era un malghese, e i suoi spostamenti erano frequenti. Anche il figlio, che si chiamava Annibale, aveva scelto lo stesso genere di impegno, e lo aveva proseguito sino al 1930.Il desiderio di offrire una stabilità maggiore alla propria famiglia, aveva però convinto Annibale Invernizzi ad optare per una vita più tranquilla: così era divenuto affittuario dell’azienda dove in quel periodo svolgeva il lavoro come malghese: la corte Vittoria di Turano Lodigiano.Annibale aveva sposato Giulia Lunati di Castiglione d’Adda, anch’ella figlia di agricoltori. La coppia ebbe quattro figli: Luigi detto Gino, nato nel 1933, Luciana, che morì purtroppo ancora infante, Luciano che della sfortunata sorellina prese il nome, nato nel ‘37, e testimone di questa odierna pagina, ed infine Lucia nata nel 1939.

Il fiuto di AnnibaleIl signor Annibale era un agricoltore con un fiuto eccellente per gli affari, ma gli piaceva pure lavorare direttamente in cascina, e molte incombenze anche amministrative aveva preferito delegarle alla moglie; la signora Giulia era una vera lady di ferro: pur dedicandosi tantissimo alla famiglia, si interessava di ogni cosa, e sempre con piglio fermo, deciso. Annibale aveva una sola apprensione: le piene dell’Adda. Lo terrorizzavano, ogni volta che pioveva più forte trascorreva giorni d’apprensione perché sapeva bene i fastidi che avvenivano, in quella zona, ad ogni esondazione.Così, nel 1941, allorché si profilò un buon affare, volle spostarsi alla cascina Vesca di San Martino in Strada, proprietà della famiglia Castellotti. Così, abituato ad essere chiamato dagli amici con la scumagna di “Giuanin”, nome appioppatogli perché così si chiamava il padre e per via della sua bassa statura, Annibale divenne universalmente noto come “Giuanin de la Vesca”.I primi anni a San Martino in Strada furono veramente soddisfacenti. Annibale (o altrimenti “Giuanin de la Vesca”) era indaffaratissimo con i lavori agricoli, e la signora Giulia verificava che ogni cosa funzionasse alla perfezione. In quel periodo il latte continuava ad essere lavorato ancora in cascina: Annibale era un casaro d’eccellenza, produceva un ottimo gorgonzola. Pare che il segreto fosse in un gioco di miscelature. Praticamente di sera si metteva il latte all’interno di un fagotto, da cui trapanava la cagliata, che si lasciava raffreddare. Con la nuova mungitura del mattino si effettuava lo stesso procedimento, ma la nuova cagliata, calda, veniva mescolata con la prima, fredda. Si formavano così le muffe naturali e il gorgonzola era servito. Per 15 giorni il formaggio rimaneva in cascina; poi, per la successiva stagionatura, veniva consegnato allo stabilimento Croce di Casalpusterlengo. Maestri in queste operazioni erano proprio Annibale “Giuanin” Invernizzi e un altro agricoltore, suo grande amico: Bortolo Arioli.

Un assurdo incidenteIl periodo così sereno fu interrotto da una gravissima disgrazia, che si abbatté sulla famiglia Invernizzi: a soli 46 moriva Annibale, a causa di un assurdo incidente; il cavallo che trainava il calessino s’era imbizzarrito, lui aveva provato a tenere ferme le briglie, ma il quadrupede s’era ancora più innervosito, e aveva rovesciato all’indietro la vettura: Annibale era caduto sullo sterrato, morendo istantaneamente. Mancava dieci metri e sarebbe arrivato in cascina. Ed invece così tragicamente moriva “Giuanin de la Vesca”. Ma la signora Giulia, con tre piccoli bambini sulle spalle, non disarmò. E mostrò tutto il suo carattere.In cascina aveva la fortuna di consultarsi con due bravissimi dipendenti: il fattore Giuseppe Massari ed il capo mungitore Alessandro Brunetti. Il primo era stato alle dipendenze degli Invernizzi anche ai tempi della cascina Vittoria, mentre il secondo era arrivato ad un anno dalla sciagurata morte di Annibale, chiamato proprio perché per la stalla serviva un uomo competente e d’esperienza. Brunetti aveva dalla sua una dote straordinaria: possedeva occhio. Bastava che guardasse, anche solo distrattamente, una bovina per rendersi conto del suo stato di salute: orecchie basse ed occhi affossati erano segnali d’allarme molto eloquenti. Era un lavoratore instancabile: una volta che gli altri mungitori avevano aderito agli scioperi, lui era andato dritto in stalla ed aveva munto sessanta vacche di fila, roba da stecchire chiunque altro; lui ne era uscito infatti provato, ma soddisfattissimo per la sua forza.

Ragazzi in gambaCrescendo, i ragazzi di casa Invernizzi rientrarono dal collegio e cominciarono a lavorare in cascina. Veramente a Luciano sarebbe piaciuto proseguire gli studi: aveva appreso la grande lezione morale del padre, a cui piaceva tantissimo la cultura; al povero Annibale, infatti, piaceva l’istruzione e trascorrere il tempo con gente che ne sapesse più di lui: ma quando i discorsi si facevano complicati, provava un senso di frustrazione, di disagio. Aveva perciò raccomandato ai figli di fare i compiti con la necessaria concentrazione, senza mai lagnarsi, perché l’istruzione nella vita serviva. La madre, però, gli spiegò che l’impegno dei due figli le consentiva di risparmiare la paga di due contadini e li richiamò in cascina: forse contò pure il discorso sulle esigenze del borsellino, ma certamente la signora, che aveva un ottimo intuito, riconobbe in Gino e Luciano la stoffa degli agricoltori.Gino si occupava dei mercati, mentre Luciano era più uomo di fatica, rivolto alla gestione della stalla e alla cura dei campi. Sino alla fine degli anni Sessanta, gli Invernizzi mantennero una sessantina di bovine, successivamente, quando la proprietà della cascina Vesca realizzò la stalla all’aperto, il numero fu aumentato. Nel 1966 Luciano sposò Luigia Podenzani di San Martino in Strada, il cui padre aveva una macelleria nel centro del paese. La signora rimase colpita dal carattere determinato di Luciano, atteggiamento che apprezzò tantissimo anche nel vederlo lavorare in cascina, sempre attento, presente, concentrato, instancabile. La coppia ha avuto due figli: Elisabetta e Giovanni.

Una corte recenteNell’anno 2000 la proprietà decise di subentrare direttamente nella conduzione della cascina Vesca. Luciano scelse allora di acquistare la cascina Sant’Antonio, una corte costruita solo di recente, cioè nel 1970, dall’allora proprietario Desiderio Pavoni, che aveva pensato bene di lasciare l’attività agricola per dedicarsi ad altra originale avventura imprenditoriale.Così, dopo una vita trascorsa insieme, in grande armonia e reciproca fiducia, i fratelli Invernizzi, sopratutto pensando all’avvenire dei propri figli, decisero di dividersi: Gino andò alla corte Gualdane di Lodi Vecchio, mentre Luciano venne alla cascina Sant’Antonio. Inoltre Luciano Invernizzi ha anche un centinaio di bovine presso la cascina Grande di Caviaga, così che in certo senso sembra avere ripreso spunti di vita malghese. Il latte viene conferito al caseificio Raimondi di Villanova Sillaro.E poiché la storia sembra a volte ripetersi, oggi Luciano è affiancato dai propri figli, Elisabetta e Giovanni. La prima si dedica a tutti gli aspetti contabili, mentre il secondo si occupa maggiormente di aspetti pratici: in questo periodo, ad esempio, si dedica particolarmente alla stalla. I ragazzi hanno cominciato a macinare idee e su alcuni tetti dei caseggiati rurali della corte sono stati posti pannelli per il fotovoltaico. Elisabetta è una donna a cui piacerebbe recuperare i valori più bucolici della natura, e dell’agricoltura apprezza i ritmi quasi abitudinari, e comunque stabili delle lavorazioni.Figli e moglie, vorrebbero che Luciano Invernizzi, ormai con settantaquattro primavere sulle spalle, rallentasse i ritmi. Ma lui è un uomo d’acciaio, ha la stessa perseveranza dei suoi tempi d’oro. Ma siccome è anche un uomo intelligente, dice che più che alla forze si affida, come gli aveva insegnato il suo indimenticato maestro Alessandro Brunetti, all’intuito dell’occhio. In stalla, oltre che dare da mangiare alla mandria, osserva con attenzione le bovine: si accorge delle loro necessità, si adopera per le cure necessarie. È un maestro nel cogliere anche lo stato di calore di una bovina, allorchè le va praticata l’inseminazione artificiale: sapere interpretare il momento giusto significa anticipare le rese del latte almeno di un mese pieno.Dopo una mattinata trascorsa in stalla, il meritato riposo non giunge neppure al pomeriggio: il signor Luciano è ancora fra le sue bovine. Osserva, scruta, discute con i figli. E un po’ di pace la trova alla sera, quando, nel rientrare nella sua bella casa, fa il giro esterno, lungo il vialetto dei tigli. Osserva il sole al tramonto e attende la nuova alba per tornare al lavoro.

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