L’approdo della cascina Polenzone

Grazie all’amico Gabriele Rossi, vado alla cascina Polenzone di Brembio - ospite della famiglia Bonfanti - ed ammiro antichi affreschi, che rimandano a questo luogo come monastero presso il quale vivevano le monache di San Benedetto di Lodi. Il convento era stato fondato nell’anno 1919 dal dottor Alessandro Leccamo, il quale devoto e pio, l’aveva concesso alle consacrate. Ma i suoi nipoti, più propensi agli affari, avevano dato il benservito ai canti e alle laudi mattutine, si erano riappropriati della corte, e l’avevano venduta ai signori Cortesi-Paccalodio. È storia dell’altro ieri. Più di recente la corte apparteneva ad un avvocato, che aveva sposato una giovane veneta, arrivata nel Lodigiano dopo l’esondazione del Polesine. Quando lui morì - agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso - la cascina fu donata al Seminario di Lodi, mantenendo la vedova il solo usufrutto.

IN AFFITTODal 1957 ne sono affittuari i Bonfanti. Il patriarca si chiamava Gabriele ed era originario di Caselle Landi; nato nel 1887, era un uomo molto concreto e riservatissimo. Avendo avuto quattro figli, fu lui a scegliere di spostarsi a Codogno, alla cascina Catanzino. Nel 1948 i Bonfanti rilevarono anche la conduzione della corte Incoronata di Castiglione d’Adda, realtà che oggi non esiste più. E nel 1957, appunto, arrivarono anche alla cascina Polenzone di Brembio. I quattro figli di Gabriele erano agricoltori memori di una grande tradizione di famiglia: l’unione serve a semplificare tutte le difficoltà. Così, pur se in cascine diverse, gestirono gli affari come fossero un’unica società: Cesare conduceva la cascina Catanzino, Alberto ed Angelo erano alla corte Polenzone, mentre Ernesto curava gli affari alla cascina Incoronata. I cambiamenti però non erano completati: nel 1964, lasciando definitivamente la corte di Castiglione d’Adda, i Bonfanti presero l’affittanza della cascina Codazza di Mairago. E nel 1977 divennero pure conduttori della cascina Due Muzzane, sita alla frazione Vittadone di Casalpusterlengo. I quattro fratelli Bonfanti avevano un grande rispetto l’uno dell’altro e, appunto, fu questo il loro segreto nel riuscire a gestire situazioni complesse, mantenendo sempre tra loro una formidabile unione. Ad essi, andava aggiunta una sorella, che si fece suora, consacrandosi all’Ordine delle Figlie dell’Oratorio: il suo impegno era rivolto ai bambini, fece la maestra all’Istituto di Boretto, in provincia di Reggio Emilia, e morì all’età di 64 anni per una malattia.

IL “REGIÙ” E GLI ALTRIDei maschi, Angelo era il “regiù”, quello che si recava al mercato e concludeva gli affari: aveva un fiuto formidabile, sapeva quando tirare o mollare la corda, ma la sua fortuna era la buona relazione con gli altri fratelli, che lo assecondavano, senza mai impuntarsi quando emergeva qualche idea diversa. Alberto era il più anziano: uomo molto mite, viveva per il lavoro, il principio e la fine della sua giornata si consumavano nella stalla, così per oltre cinquant’anni, senza mai un giorno di ferie. Se non era a mungere, lo si trovava sull’aia a sistemare persino i particolari più irrilevanti.Cesare era stato quello con la vita più sofferta: mandato al fronte, e fatto prigioniero, era stato per tre anni in Africa, e dopo in Inghilterra, dove almeno era stato assegnato al lavoro dei campi presso un’azienda agricola. I precedenti anni di prigionia in Africa, tuttavia, lo avevano provato molto: la scarsità d’acqua lo aveva fatto ammalare. Quando riuscì a tornare a casa, sembrò rifiorire, ma certe cicatrici non gli si rimarginarono più. Infine, c’era Ernesto: umile come il fratello Alberto, ma meno chiuso; anzi, affabile e propenso ai cambiamenti. Fu lui, dopo una prima permanenza a Castiglione d’Adda, a spostarsi alla cascina Polenzone di Brembio. E fu nel 1977 che i fratelli Bonfanti, di comune accordo come sempre avevano interpretato le loro esistenze, decisero di dividersi.

RITI QUOTIDIANIErnesto Bonfanti, una volta giunto alla cascina Polenzone, non cambiò certo le sue abitudini: alle 4.30 del mattino era in piedi, e sedici ore dopo si trovava ancora in pista, a lavorare. Aveva un rito al quale teneva tantissimo: il pranzo comunitario del mezzodì con la propria famiglia, con il sottofondo del telegiornale per commentare le notizie più importanti, soprattutto quelle relative alla politica e all’economia. Il signor Ernesto aveva sposato Giuseppa Angela Mezza di Camairago. La signora proveniva anch’ella dall’ambiente agricolo: il padre fece per quasi quarant’anni l’agente degli Arioli, storici agricoltori di Camairago, nel cui ceppo vi è don Domenico, missionario in Niger. Ma oltre a curare gli affari altrui, il signor Mezza aveva una propria stalla con undici vacche da latte. I Mezza avevano anche un figlio, unico maschio, che aveva fatto la guerra sul Don: le ultime notizie lo davano ricoverato in ospedale per una ferita alla gamba, ma non sembrava una cosa grave, solo che dopo scese il silenzio più assoluto e la sua scomparsa rimase un mistero. La signora Giuseppa Angela Mezza ha occhi azzurrissimi e modi gentili, eppure da giovane pare avesse un piglio autorevole e deciso: spesso consigliava il marito, anche sugli investimenti, e in ogni caso voleva sempre essere informata sulle attività della cascina.

UN EMIGRANTE MANCATOChi ben presto affiancò il padre sul lavoro, fu Emilio Giuseppe Bonfanti, testimone di questa odierna storia di famiglia. Dal genitore aveva imparato l’assiduità sul lavoro, a non rinviare a domani quello che poteva farsi il giorno prima. E ad avere una cura speciale per gli animali, dai quelli in definitiva, quando si ha una stalla importante nei numeri, dipende il proprio reddito. Eppure il signor Emilio poteva trasferirsi ben lontano; alcuni suoi cugini, infatti, originari del Piacentino, avevano deciso di espatriare in Brasile cercando fortuna, oltre che nel settore agricolo, pure in quello delle escavazioni petrolifere: le cose presero proprio la piega giusta, così nel 1968 i cugini brasiliani chiamarono Emilio affinché seguisse le loro fattorie. Emilio Bonfanti tergiversò. C’era una ragione importante, fra quelle irrinunciabili: vale a dire l’amore. Il signor Emilio aveva infatti conosciuto Paola Salvatori di Mairago, in un certo senso un incontro del destino, visto che suo padre lavorava in stalla alla cascina Codazza, ai tempi della conduzione degli stessi Bonfanti. La signora rimase colpita da quell’uomo solido, leale, onesto e trasparente nei sentimenti come nelle azioni. Intanto nel 1982, all’età di 61 anni, per un tumore al pancreas, veniva a mancare il vecchio capostipite Ernesto. Ma la sciagura peggiore avvenne nel 1985, quando all’età di 31 anni, Mario, il fratello di Emilio, mentre si recava a prendere un erpice da un fabbro, finì col trattore in un fossato, rimanendo schiacciato e morendo per le gravi ferite riportate.

OLTRE LE DIFFICOLTÀEmilio Bonfanti vacillò: era rimasto solo, con la preoccupazione di avere a carico la moglie, i loro tre figli ancora piccoli, la sorella Giuseppina Elisabetta, la cognata vedova con un bimbo piccolo ed un secondo in arrivo; il nascituro oggi è prete a Sant’Angelo Lodigiano: don Mario Ernesto Bonfanti, che mise a fuoco la vocazione in un contesto sereno e ben soddisfacente della propria vita. Dopo la disgrazia del fratello, Emilio s’interrogava ogni giorno sulla fede e sulla speranza cristiana, e più si tormentava, e più stringeva i denti. La moglie Paola fu eccezionale: salì sul trattore, lavorava sui campi per ore, senza fare mancare nulla ai figli. Davanti alla tentazione di mollare tutto, la forza interiore si rivelò essenziale: Emilio mantenne la stalla, e la scelta fu premiata dal fatto che i figli maschi crescendo spontaneamente scelsero di proseguire l’impegno agricolo. Mauro, classe 1975, lavora sui campi, ma è versatile anche su altri fronti: fienagione e mais da insilaggio sono destinati all’alimentazione della stalla; a quest’ultima provvede Andrea, classe 1978, uno che non conosce arresti sul lavoro, assecondando le bovine che non conoscono il calendario, e non prendono perciò pause durante i week end. Infine c’è la mezzana, Sara, classe 1976, laureata in Economia e Commercio e che ha un proprio lavoro. Durante l’incontro, c’è un parto plurimo in stalla: arrivano due vitellini. Sono maschi. Per una stalla da latte, c’è poco da esultare. Ma la mamma lava i suoi cuccioli, ed essi provano già a stare in piedi sulle zampe. E tutto sembra avere un suo magnifico ordine nel ciclo della vita.

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