L’allegro cinguettio della cascina Grande

Una inattesa accoglienza per gli ospiti della corte di Quartiano

Alla frazione Quartiano di Mulazzano non spira un solo refolo d’aria. C’è un clima torrido, fitto e consistente. Boccheggiamo tutti. Per strada soltanto gente sparuta, attonita per la calura; avrò incrociato sì e no un paio di persone; filano via tutti veloci e guardinghi; ciascuno cerca il proprio cono d’ombra, e sembra non volerlo rivelare all’altro.

Una colorata sorpresa

Quando arrivo alla cascina Grande, tuttavia, mi rianimo: a catturarmi è il cinguettio di decine di volatili; canarini, bengalini, diamanti, svolazzano al’interno di ampie voliere: malgrado le piume, mostrano di non soffrire il caldo. Le alleva la signora Maria Giovanna Rossetti, moglie di Luigi Bozzi.

Bellissimi e sgargianti di colori i pappagalli della razza inseparabili. Nerina, la terzogenita figlia undicenne di Maria Giovanna e Luigi, mi spiega che questi pennuti devono sempre vivere in una coppia: se uno muore, l’altro non sopravvive tranne che non trovi, immediatamente, consolazione e conforto in una nuova compagnia.

Strano destino quello degli insperabili. In un certo qual modo simboleggia quello della storia e delle vicende umane di questa cascina: in particolare, il valore dell’unione fra le persone, che della corte Grande è stata la natura fondamentale.

A raccontarmi tanti aneddoti di questa cascina, situata al centro della frazione, è Luigi Bozzi, classe 1962, una sincerità d’animo e di cuore che trapela ad ogni sua parola. Lui e sua moglie costituiscono una coppia speciale: s’integrano già con gli sguardi, rivelano una reciproca fiducia che è specchio del loro amore.

Radici diverse

Luigi mi sta narrando del ceppo originario della sua dinastia: i Bozzi non avevano le loro radici nell’agricoltura. Il bisnonno Ettore, agli inizi dell’Ottocento, possedeva un piccolo negozietto dove esercitava due attività, l’una assai distante dall’altra: vendeva, contemporaneamente, biscotti e zoccoli, calzature pesanti, di legno. A queste due ne aggiunse una terza, promuovendo una mescita di vino alla buona. Suo figlio Roberto, nonno di Luigi, faceva il carrettiere: trasportava sassi, con i quali pavimentava le strade urbane dei paesi. E lo stesso lavoro aveva fatto il suo erede, Ottorino, padre di Luigi.

Ottorino Bozzi era nato nel 1911 a Quartiano. Aveva fatto il pavimentatore delle strade sino al 1935, quando era stato arruolato per la Guerra d’Africa e spedito al fronte. Una volta rientrato nel Lodigiano non aveva più voglia di pavimentare le strade e che era giunto il momento di liberarsi dei due ronzini che trainavano il carretto, sempre colmo di sassi. Intuiva che la società stava cambiando e che le prospettive migliori venivano dalle fabbriche. Trovò allora impiego presso una ditta chimica di Melegnano, ma dopo un primo periodo positivo le cose presero una piega inaspettata: i dirigenti della fabbrica decisero, infatti, di trasferirsi in Germania, lasciando liberi gli operai di trasferirsi o licenziarsi. Ottorino Bozzi non ebbe alcuna esitazione e rassegnò le proprie dimissioni. Prese allora a lavorare come muratore sotto la guida di un cugino della moglie. Anche in questa circostanza si fece apprezzare: era un uomo taciturno, ma pieno di voglia di fare; in grado di apporre soltanto la propria firma, non sapeva leggere nè scrivere, sapeva comunque il fatto proprio, e mostrava di cavarsela in ogni circostanza.

Moglie e figli

Nel 1952 Ottorino Bozzi aveva sposato Agnese Spertini, nativa di Mulazzano, la cui famiglia aveva invece radici nell’agricoltura: suo papà, infatti, possedeva una piccola stalletta con due bovine da latte; Agnese aveva anche un fratello, Giuseppe detto Peppino, che aveva rivelato doti d’artista: sapeva suonare il violino. Ma in quegli anni era difficile che i musicisti ricevessero la gloria che sarebbe loro giustamente spettata: questa sua passione, anzi, era considerata dagli altri come una stranezza, quasi un modo di sfuggire alle fatiche del lavoro. Nei locali della zona, quando volevano organizzare una serata danzante, chiamavano Peppino, affinchè con le sue note allietasse i clienti, e lui ne era felice.

Nel 1960 Ottorino e Agnese Bozzi si spostarono per qualche anno a Mulazzano perché volevano ristrutturare la casa di Quartiano. I Bozzi ebbero quattro figli: Celestina, Roberto, Giovanni, e infine Luigi, il testimone di questa storia.

Quando rientrarono a Quartiano andarono a vivere di fianco alla cascina Grande, a quel tempo condotta dai fratelli Rino, Pierino e Raffaele Meazza, originari di Corte Palasio.

Accadde, allora, un fatto particolare: Luigi, ancora piccino, rivelò un attaccamento straordinario per la figura di Rino Meazza, e questi lo contraccambiò con lo stesso affetto. Ovunque andasse Rino, Luigino lo seguiva.

I segreti di Rino

In effetti Rino Meazza, nativo del 1915, era un uomo molto, molto buono, capace di coinvolgere i bambini del rione con tante storie, e spiegando loro tutti i segreti del sapere contadino. Per certi versi era anche un uomo incredibile: conosceva un’esagerazione di proverbi e sapeva prevedere le condizioni del tempo anche a distanza di mesi; infatti, sommando il clima di un giorno del mese con lo stesso identico giorno del mese successivo, era in grado di dire che tempo avrebbe fatto da lì al prossimo quadrimestre. Come facesse era un mistero: ma le sue previsioni erano impeccabili!

Rino Meazza aveva sposato Nerina Tediosi; la coppia non aveva avuto figli ed è probabile che, anche per questo, quel buon uomo si fosse così attaccato a Luigino: tanto che, ad un certo punto, con il ragazzo consapevole, gli propose un’adozione, volendogli dare il suo cognome in aggiunta a quello naturale. Luigi Bozzi rimase commosso dal gesto, ma gli sembrava di recare un’offesa al suo genitore e lasciò cadere la proposta.

Accettò invece di lavorare per i fratelli Meazza e divenne loro salariato agricolo: dal signor Rino imparò tantissime cose, su come gestire una stalla e sui giusti modo di irrigazione del campi.

I fratelli Meazza rimasero affittuari della corte, che a quel tempo era proprietà della famiglia Moroni, sino al 1986, anno in cui morì Pierino. A seguito di tale circostanza, subentrò nella società un nipote dei fratelli: Carlo Vitali, di cui il genitore Angelo era lì a Quartiano un piccolo coltivatore diretto.

Tre soci amici

Nel 2000 moriva anche il signor Rino. La sua eredità non era coperta da segreti: già da molti anni aveva promesso a Luigi Bozzi che gli avrebbe lasciato la propria quota d’azienda. Nessuno mosse obiezione, perché tutti riconoscevano che tra il vecchio Meazza e Luigi Bozzi vi era sempre stato un rapporto intenso e straordinario: un autentico rapporto filiale.

Così la società fu intestata a tre titolari: Meazza Raffaele - Vitali Carlo - Bozzi Luigi; tre soci molto affiatati tra loro, pur provenendo ciascuno da una storia molto diversa dagli altri. Nel 2007 morì Raffaele: gli altri due soci acquistarono le quote dagli eredi, e così la titolazione della società fu quella di Vitali Carlo e Bozzi Luigi.

Alla cascina Grande la stalla occupa, tra vacche in lattazione e bovine d’allevamento, 260 capi; il latte viene conferito alla cooperativa Santagiolina, già scelta ai tempi dei fratelli Meazza, che furono anzi tra i soci della prima ora, e furono sempre convinti dell’importanza di beneficiare, sul territorio lodigiano, di un’azienda che, nel difficile contesto economico delle trattative con l’industria di trasformazione, avesse la capacità di rappresentare e difendere le ragioni dei produttori.

L’azienda agricola vanta inoltre mille pertiche di terra: 450 sono destinate alla coltivazione del mais per la realizzazione del trinciato; mentre 550 sono lasciate a prato stabile, cioè non arato, in dialetto dicono che zolle di terra così sono come le “cudeghe vecie”; Luigi Bozzi mi spiega che un prato stabile rifornisce di più varietà d’erbe, come trifoglio, ietto, “lingua di cane”, cicoria, e risulta di estremo gradimento alle bovine per la loro alimentazione. Intanto a Luigi Bozzi si sono affiancati i figli Emanuele e Roberto: il primo è perito agrario, mentre il secondo ha rinunciato agli studi scolastici superiori per dedicarsi immediatamente all’impegno agricolo; infine c’è Nerina, che è stata promossa alla prima media, e che, scolasticamente, promette bene: è infatti appassionata di letture, con particolare interesse per il mondo animale.

La sfida di Emanuele e Roberto, e chissà forse un giorno anche di Nerina, è coraggiosa. Non sono soltanto le ansie per i destini dell’agricoltura a destare preoccupazione; la stessa ubicazione della corte Grande, nel centro della frazione, ha talvolta generato momenti di difficile relazione tra i Bozzi e gli altri residenti. Ma sono inconvenienti che sono sempre stati superati dal buonsenso e dall’intelligenza.

D’altra parte, vi sono ormai interi paesi, pur con tradizioni agricole saldissime, dove oggi non vi risiede neppure una bovina. E, può sembrare un paradosso, la gente del luogo comincia a sentirne la mancanza. Le aziende agricole, allora, continuano ad essere una risorsa per il territorio e per le proprie comunità. Meglio tenersele strette, laddove vi sono, anzichè un giorno rimpiangerle.

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