La Griona, il luogo del ritorno alla terra

Qui i Malabarba, abbandonati i bus, hanno riscoperto le origini

Che vissuto particolare quello della famiglia Malabarba di Ospedaletto Lodigiano! Storicamente, i Malabarba nacquero come agricoltori, ma ciascuno di loro s’era messo nelle condizioni di svolgere un’altra attività, e di recidere proprio i legami con l’agricoltura; eppure, con il trascorrere del tempo, i Malabarba scelsero sempre di ritornare alla base: proseguendo a lavorare la terra, a gestire bovine, a rinsaldare i legami con la propria atavica storia.

Su Angelo Malabarba, classe 1872, nato a Torrevecchia Pia, e figlio di Luigi Malabarba senior, le prime notizie sono note grazie al suo foglio di congedo illimitato dal servizio militare. All’ufficio leva era stato annotato: appartenente al 64° reggimento fanteria, durante il tempo passato sotto le armi ha tenuto buona condotta e servito la Patria con fedeltà ed amore. Poi, si proseguiva con la descrizione fisica: Angelo Malabarba era alto 1,60 e mezzo, aveva capelli neri e lisci, gli occhi “castagni”, il colorito roseo, e la dentatura sana; le sopracciglia erano “castagne”, la fronte bassa, il naso affilato, la bocca piccola, il mento ed il viso ovali. Da grande si fece crescere un paio di enormi baffoni a manubrio, tipici del suo tempo. Angelo era figlio di un piccolo coltivatore diretto, appunto Luigi Malabarba senior, e aveva tre fratelli; i ragazzi collaboravano con il padre nella conduzione della cascina Bosco di Torrevecchia Pia; poi uno dei fratelli era andato a fare il mugnaio e il pilatore di riso al molino della cascina Mangialupo di Bascapè.

dalla drogheria ai campi

Anche Angelo, rientrando dal servizio di leva, aveva pensato di staccarsi dall’azienda agricola, tornando a svolgere un impegno che, durante l’infanzia, aveva saltuariamente mantenuto a Milano: quello del garzone in una drogheria storica della città. Il suo vecchio padrone, apprezzando l’onestà e la laboriosità del ragazzo, lo aveva ripreso alle proprie dipendenze con sincera gioia: e così Angelo in cascina dava una mano soltanto nei giorni festivi. Nel frattempo aveva sposato Rosa Pizzamiglio. Dal matrimonio erano nati Luigi (classe 1902) e poi Anna. Ma dopo qualche tempo Angelo rimase vedovo, e desiderando di dare comunque una guida materna alla propria prole si maritò una seconda volta, prendendo per moglie la zia dei suoi figli: cioè la cognata Angela Pizzamiglio. Da questa seconda unione nacquero altri tre figli: Antonio, Elena e Mario. Sino alla soglia dei quarant’anni, Angelo rimase a Milano, poi tornò a Torrevecchia Pia, dove acquistò la cascina Croce. Anche i figli lo coadiuvavano nell’attività agricola, riconoscendo nella figura del genitore sempre un modello molto valido e un riferimento essenziale. Angelo Malabarba, infatti, era un uomo veramente capace: possedeva il dono della lungimiranza. Era una persona pratica e la sua concretezza la sublimava in saggi detti popolari; rimase storico un suo proverbio: La ca’ a sé da sta a tec e la tera a vista d’og, che se ben ho interpretato alludeva al fatto che la casa doveva essere grande tanto quanto bastava, mentre la terra doveva estendersi sino alla vista dell’occhio. Aveva inoltre un grandissima passione per la meccanica: i suoi figli, che dovevano essere più avvezzi alle modernità, erano addirittura più prudenti di lui, mentre Angelo avrebbe dotato la cascina Croce di tutti i macchinari che venivano immessi sul mercato: da uomo saggio, però, prima s’informava con i colleghi agricoltori che avevano sperimentato le nuove macchine e, se ne sentiva mirabilie, cercava di persuadere i figli ad acquistare quei beni.

sulle corriere

I Malabarba erano molto uniti tra loro e i tre ragazzi, Luigi, Antonio e Mario, rimasero insieme vita natural durante: Luigi, però, ammalatosi, fu il primo a tirare i remi in barca. Antonio e Mario proseguirono, ma avevano più di una titubanza: alla metà degli anni Cinquanta l’agricoltura sembrava in inarrestabile declino, e loro sentivano di dover poggiare le fondamenta delle proprie famiglie in qualcosa di più solido. Ai Malabarba maturò, nel luglio 1956, un’idea: i fratelli Vaiani di Valera Fratta, titolari di una concessionaria di autolinee, cedevano un ramo della propria azienda, ed Antonio e Mario lo rilevarono. Fu così fondata, con sede legale in Torrevecchia Pia, la Società F.lli A. & M. Malabarba, che inizialmente consisteva in due sole linee: Valera Fratta-Lodi e Torrevecchia Pia-Salerano-Lodi, questa seconda frequentata in particolare da agricoltori e mediatori, che si recavano al mercato. Un pullman era guidato da Antonio Malabarba ed un secondo mezzo da Mario Losi. Della società faceva parte anche il figlio del signor Antonio: appunto Luigi, testimone di questa storia. Già dall’età di 16 anni gli era stato attribuito l’incarico di addetto alla biglietteria. Al mattino, dunque, Luigi lavorava per l’azienda dell’autolinee, e nel pomeriggio si dedicava all’attività agricola. Con il trascorrere degli anni la società Autolinee Malabarba crebbe e le due iniziali corse, nel giro di quattro anni, furono raddoppiate. Poi, dopo il 1962, i Malabarba lasciarono Torrevecchia Pia e si trasferirono ad Ospedaletto Lodigiano, subentrando alle Autolinee Chioda.

trattori che passione

Dieci anni dopo i fratelli Malabarba si divisero: Mario si dedicò esclusivamente all’attività agricola, continuando a condurre autonomamente la cascina Bosco e la corte Croce, nella provincia pavese. Antonio rilevò le quote del fratello relative alla proprietà dell’Autolinea di cui divenne il solo rappresentante legale, coadiuvato dai figli Luigi, che era già passato dalla biglietteria alla guida dei pullman, ed Angelo.

Luigi Malabarba è un grande personaggio: dà l’impressione di un uomo che sia riuscito a vivere la propria esistenza assecondando sempre le sue passioni. È un grandissimo esperto di motori, e un raro conoscitore delle caratteristiche di tutti i tipi di trattori: quando da ragazzino andava a scuola, e con la bicicletta si partiva da Torrevecchia Pia per raggiungere Locate Triulzi, undici chilometri fitti fitti, arrivava in classe quando la campanella era già suonata da un pezzo. E non perché fosse pigro di pedalate: tutt’altro. Ma se vedeva un trattore per i campi si fermava ad osservarlo e ne studiava il motore, la funzione, le rese: rimaneva incantato, e memorizzava ogni cosa.

Così cominciò a collezionare piccoli modelli di trattori: dieci, venti, cinquanta, cento. Poi, non accontentandosi più di apparecchiature in miniatura, per quanto graziose da vedere nel loro insieme, prese a ricostruire, pezzo su pezzo, vecchi trattori, sottraendoli agli sfasciacarrozze. Luigi Malabarba è un provetto meccanico: da giovane andava a bottega all’Autofficina Moroni, a Lodi, dove ebbe modo di conoscere ed ascoltare i campioni Eugenio Castellotti e Manuel Fangio.

Oggi il signor Luigi conserva almeno una ventina di trattori: bellissimi, messi a lucido, ricostruiti nella loro assoluta originalità. Per gli appassionati di questi mezzi, una vetrina davvero formidabile: il più antico è un trattore americano, del 1936, ma che in Italia arrivò quindici anni dopo con l’attuazione del Piano Marshall. All’epoca un bastimento approdò a Genova e ne discesero oltre seicento macchinari.

nella nuova corte

Ma quella che sembrava una svolta definitiva, dedicarsi esclusivamente all’Autolinea, si rivelò quasi subito fragile: ai Malabarba, padre e figlio, mancavano tantissimo le zolle di terra. Così si guardarono intorno, e appresa la possibilità di divenire affittuari della corte Griona, proprio ad Ospedaletto Lodigiano, si fecero avanti: era il novembre 1975.

La corte Griona è molto antica. In zona furono rinvenuti oggetti dell’epoca romana, tra i quali spiccava un lumino sepolcrale. Nel passato fu proprietà dell’Ordine dei frati Gerolamini. Numerosi furono i passaggi di proprietà: alla fine del Settecento ne erano possessori i Griffini. Nella prima metà dell’Ottocento titolare dell’azienda agricola era Domenico Villa; successivamente vi possedette Giovanni Pedrazzini; nel 1926 i documenti relativi evidenziano il nome di un certo Meazza. Quindi ne divennero proprietari, per una parte, i fratelli Nino, Luigi e Rosa Soncini, famiglia di possidenti di elevato rango sociale; e le sorelle Terenzio per altra porzione. I Malabarba furono affittuari dell’intera possessione: rilevarono l’affittanza a porte chiuse, che all’epoca vantava una discreta stalla di bovine da latte.

Dividersi tra la gestione dei bus e l’azienda agricola non fu semplice: per quest’ultima i Malabarba si avvalsero dell’aiuto di alcuni contadini. Per quanto complicato fosse seguire ambedue le attività, non si tirarono indietro quando ebbero la possibilità di acquistare parte della possessione terriera: nel 1982 ne rilevarono una prima porzione, e così, nei successivi due bienni, altre due parti.

Per oltre vent’anni i Malabarba proseguirono parallelamente gli impegni. Poi nel 2002 furono costretti a cedere la società delle autolinee: i parametri fissati dai regolamenti regionali, per le coperture di trasporto stradale dei viaggiatori, non consentivano più quella gestione famigliare, a misura d’uomo, che i Malabarba avevano saputo promuovere. La cessazione dell’attività fu un passaggio inevitabile e, pertanto, naturale: si era, comunque, segnata un’epoca.

L’azienda agricola, invece, ha continuato ad innovarsi: oggi essa è interamente basata su indirizzo cerealicolo, ed intensa è la coltivazione del riso. Il signor Luigi Malabarba mi accompagna a visitare gli angoli più suggestivi della corte: c’è un’antichissima stalla, col soffitto interamente ricoperto da piccoli fasci di legna posti in modo verticale, utilissimi nel mantenere il giusto tepore all’ambiente, che garantiva, nel tempo più lontano, un’invidiabile benessere per gli animali. Poi c’è un grazioso giardinetto, sul retro della casa: riecheggia l’antico chiostro dei frati Gerolamini. Di questa corte, Luigi Malabarba recupera un angolo per volta. Ha la tenacia, la forza, e la coerenza dei giusti. Sono passati centosettant’anni da quando il bisnonno Luigi erpicava la terra: da allora, i Malabarba hanno intrapreso molte strade, alcune anche tanto, tanto distanti dal mondo agricolo, eppure sono ancora qui, a lavorare la terra, e la cascina Griona è la degna cornice di questa incredibile storia.

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