La dolce eredità del prozio monsignore

Fu il primo dei Fasoli ad allevare api a Mairago, il paese del miele

Certe questioni sono affari di cuore e di famiglia: i Fasoli, originari di Santo Stefano Lodigiano, oggi radicati a Mairago, s’interessano della produzione di miele dalla seconda metà dell’Ottocento, e ai primi del secolo successivo un loro zio, prete e missionario, fu così bravo nello svelare i segreti dell’apicoltore da garantire alle generazioni successive dei suoi parenti un patrimonio di nozioni, cultura, passione e capacità, che ancora oggi quando si nominano i Fasoli si allude al miele, e quando si dice del miele si pensa ai Fasoli. Tanto che l’agglomerato di Mairago è ormai conosciuto come il paese delle stelle, grazie al planetario della piazza centrale, e del miele.

Un parroco agricoltoreL’agricoltore che mi ospita è Massimiliano Fasoli, conosciuto da generazioni di studenti delle classi elementari, che da anni partecipano ad un progetto formativo promosso dalla Provincia in collaborazione con le fattorie didattiche del territorio denominato “Scuole in campo”; Massimiliano è un uomo in permanente equilibrio tra l’essere uno scienziato delle api, un mago del miele, un narratore di ataviche ed incredibili storie, un agricoltore con la passione dei fiori e della terra.Ma il primo dei Fasoli che cominciò ad interessarsi di apicoltura fu appunto un prete: monsignor Giovanni Fasoli, nato nel 1894; la sua passione si sviluppò già da giovane seminarista, mentre frequentava il seminario di Cassago, in Brianza: allora andava nel giardino della canonica e controllava gli alveari che aveva portato da Santo Stefano Lodigiano. È certo che don Giovanni Fasoli avesse preso questa passione delle api sin da quando era fanciullo, probabilmente trasmessagli - così raccontano le tradizioni di famiglia - da una sua zia.Don Giovanni Fasoli nel 1931 fu nominato parroco di Mairago, dove rimase sino al 1974; si fece benvolere dai suoi parrocchiani, a cui svelava i segreti delle api: nel giardino della casa parrocchiale, infatti, custodiva decine di alveari, e non solo: vi aveva ricavato persino un grosso pollaio. Essendo un trascinatore, aveva convinto i suoi parenti di Santo Stefano Lodigiano a trasferirsi a Mairago. E ovviamente aveva contagiato loro la passione per l’apicoltura.Monsignor Fasoli visse una vita per certi versi avventurosa: all’età di ottant’anni, sconfiggendo le resistenze del vescovo monsignor Magnani, ottenne di andare in Tanzania, ed anche lì promosse progetti per le api. Capì che lì potevano avviarsi iniziative agricole e, dopo un quinquennio di permanenza in Africa, rientrò per convincere il vescovo a reclutare giovani preti con l’indole della missione e dell’agricoltura. Non ottenne nulla, e ripartì da solo così come era tornato: rimase ancora tre anni in Tanzania, poi avvertì il peso dell’età. Tornato, andò a fare il prevosto a Monticelli di Bertonico, dove rimase fino a quando la salute glielo permise, poi si ritirò dai nipoti a Mairago; morì nel 1987 all’età di 93 anni.

L’eredità del nipote Fra i parenti che lo avevano seguito a Mairago vi era un nipote, figlio di un fratello: Giuseppe. Giuseppe Fasoli, finito il secondo conflitto bellico, aveva avviato con altri soci la gestione di una cooperativa alimentare a Mairago: egli s’occupava del reparto vinicolo; comprava l’uva e produceva direttamente il vino. Parallelamente aveva acquisito dallo zio prete tutte le nozioni per divenire un eccellente apicoltore.Così Giuseppe Fasoli non perdeva occasione per approfondire lo studio delle api; persino quando andava in ferie, durante il tragitto in auto per raggiungere la località di villeggiatura, se gli capitava di adocchiare qualche arnia insediata in aperta campagna, allora, ne inforcava il bivio e andava a presentarsi all’apicoltore della zona: chiedeva, s’informava, ascoltava suggerimenti e manifestava le proprie idee. Un uomo aperto, socievole, umile: lui possedeva più di mille alveari, ma era autenticamente convinto che si potesse imparare sempre qualcosa di nuovo. Pur essendo un maestro, parlava di api con semplicità, a prescindere da chi avesse innanzi: esperti quanto lui, adulti, bambini. Nel 1969 dagli Stati Uniti aveva portato un nuovo strumento, un soffiatore che consentiva di liberare con facilità i melari dalle api, accelerando e modernizzando il processo di lavoro. Egli era coadiuvato quotidianamente da due operai, persone che considerava di fiducia: Gino Monticelli e Renato Rossi.

Arnie nomadi Ovviamente seppe tramandare ai figli la passione per l’apicoltura: ed insegnò loro il nomadismo, già praticato ai tempi dallo zio monsignore, che noleggiava un camion e portava gli alveari in Brianza.Così anche Massimiliano Fasoli, figlio di Giuseppe, ha mantenuto nel tempo le tradizioni di un apicoltore nomade. La motivazione per le transumanze è dettata dalla necessità di mettere le api in condizione di “bottinare”, cioè di fare bottino di nettare. Inoltre, grazie a questa pratica, è possibile ottenere miele di origine botanica differente: i mieli cosiddetti monoflora. Negli anni ‘60/’70 per beneficiare delle diverse fioriture si andava fino alla foce del Po, e in Liguria, sulle montagne della valle d’Aosta o del Resegone.Massimiliano Fasoli, ancora bambino, affascinato da quelle avventure, diceva alla madre di essersi portato avanti con i compiti e accompagnava il padre in varie località per depositare gli alveari; spesso il camion impiegava cinque ore per arrivare alla meta, si scaricavano di notte le casette delle api, e nei giorni successivi si tornava per verificare le condizioni degli alveari. Ma oggi, con il venir meno di fioriture in certe zone, con l’aumento dei costi di gestione ed anche a causa dei cambiamenti climatici, l’azienda Fasoli ha ristretto il raggio d‘azione portando gli alveari nell’alta pianura e sulle Prealpi lombarde. Trovare il posto dove alloggiare questo particolare accampamento non è semplice: occorre individuare luoghi isolati, lontani dalle strade e da altre fonti d’inquinamento, spesso portando gli alveari sulle spalle per sentieri impervi. Serve avere il permesso ufficiale da parte del proprietario dell’appezzamento, che è quasi sempre un agricoltore, e quindi l’autorizzazione dell’Azienda sanitaria locale, a cui va dichiarata la fioritura che s’intende sfruttare. Gli alveari devono essere accompagnati dal certificato sanitario rilasciato dall’Asl.

Una scelta naturale Massimiliano Fasoli ripercorre le sue scelte di vita: dopo aver conseguito il diploma di geometra, optò per l’impegno con gli alveari; suo fratello Enrico inizialmente s’interessò del reparto vinicolo, che poi chiuse, andando quindi ad aiutare il fratello nell’attività apistica. In azienda collabora pure la moglie di Massimiliano: Elena Marazzina, figlia dello storico sindaco di Massalengo. Oggi l’azienda ha 400 alveari dislocati in 11 apiari, situati nella campagna lodigiana.Alla morte del padre Giuseppe, avvenuta nel 1986, Massimiliano prese a condurre in prima persona l’azienda di famiglia, mettendo a frutto tutti gli insegnamenti del genitore, il quale era stato un maestro eccellente: spiegava tutte le operazioni che svolgeva a voce alta, e ora quegli atteggiamenti che sembravano quasi forzosi svelavano tutta la loro validità. Massimiliano Fasoli esalta la qualità del miele, che considera un alimento completo, ricco di zuccheri semplici facilmente assimilabili: fruttosio e glucosio, enzimi, sali minerali, vitamine, aromi, oltre ad un mix di 200 elementi circa in piccolissime dosi che le piante prendono dal terreno e che le api assorbono.Tra api e fiori c’è uno straordinario rapporto: l’insetto vola sulla pianta, ne succhia il nettare, sostanza liquida e zuccherina, profumata e dolce del fiore, che una volta portata nell’alveare verrà trasformata in miele; inoltre la peluria dell’animale si sporca di polline, e quando l’ape entra in un nuovo fiore della stessa specie, allora avviene l’impollinazione che darà vita ai frutti. Le api, infatti, vanno su piante da frutti o su quelle colture che hanno necessità di essere impollinate; si tratta, appunto, di quelle piante che, essendo a fecondazione entomofila, possiedono il nettare, con il quale richiamano le api.

L’occhio sul mondo Pur essendo sull’argomento uomo estremamente dotto, Massimiliano sa parlare con estrema semplicità del suo lavoro. Per questo i tanti bambini delle scuole che vengono qui, nella sua azienda agricola di Mairago, lo adorano. Lui non smette mai di aggiornarsi. Il mese scorso è stato in Argentina, perché a Buenos Aires si è svolto il 42° congresso mondiale degli apicoltori. Egli, infatti, è consigliere nazionale della Federazione Apicoltori Italiani, iscritta alla Associazione internazionale Apimondia.All’incontro hanno partecipato 70 delegazioni provenienti da tutto il mondo: un incontro di culture, di etnie, di colori, di abiti, di tradizioni e di usanze. È stata un’occasione importante per gli apicoltori per potere riflettere sullo stato di salute delle api e della loro relativa produzione. I problemi oggi sono tanti; il primo è individuato nel clima e nelle sue strane bizzarrie, con un ottobre che sino alla metà del mese ha proposto temperature estive, mentre luglio era stato piovoso in molte zone: le api - lo si sa bene - devono beneficiare di climi stabili con le fioriture nei loro tempi consueti, mentre le stagioni si stanno rivelando davvero imprevedibili, così che le fioriture si accorciano o si succedono troppo velocemente, sino ad accavallarsi tra loro. Poi ci sono le problematiche sanitarie, perché come tutti gli animali, le api soffrono di proprie patologie.Gli argentini, però, hanno sottolineato che un serio problema potrebbe derivare dalle persistenti monocolture non nettarifere: mancano infatti i fiori e, quando ve ne sono, si tratta di poche e ripetute varietà. Qui da noi stanno venendo meno i prati di trifogli, l’erba medica scarseggia, il tarassaco è quasi un miraggio. Inoltre la monocoltura provoca un’altra conseguenza, anche se Massimiliano Fasoli è parco di parole in questo senso, in quanto non vuole inasprire un conflitto con l’ambiente agricolo, visto che lui per primo, in quanto apicoltore, si qualifica come agricoltore: ma i diserbi e i trattamenti insetticidi, se usati in modo indiscriminato, rappresentano un vero rischio per le api.Torno a casa con il mio barattolo di miele, dono di Fasoli: ha una lucentezza così trasparente che vi immergerei un dito per assaggiarne il gusto. Ripenso a monsignor Giovanni e al campanile di Mairago che fu la casa per qualche alveare: chissà alla domenica, con lo scampanio della musica che chiamava a raccolta i fedeli, quante api in libera e momentanea fuga!

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