La corte vegliata dalla Sacra Famiglia

Sono a Postino le “radici” della famiglia Raimondi Cominesi

Giulio Raimondi Cominesi, classe 1939, è un agricoltore di Postino a cui piace già atteggiarsi ad uomo anziano, concedendosi il vezzo di brontolare su varie circostanze della vita, in realtà svelando autentici aspetti di umorismo, nonchè di saggezza. Ma, come uomo che aspira ad avere legittimamente riconosciuti i gradi di ammiraglio di lungo corso, conduttore di un vascello con cui ha navigato i marosi più tempestosi dell’esistenza, rimpiange i tempi di gioventù, quando a Postino era davvero tutta un’altra vita: «Qui, una casa su due aveva la propria stalletta: poche bovine per ciascuno, si viveva di poco. Negli anni Cinquanta, erano più di una trentina le famiglie di agricoltori, e in paese c’erano due latterie».

Latterie e chiacchiereI due stabilimenti lattiero caseari erano diretti dai Galli e dagli Uberti. I Galli erano tre fratelli: Andrea faceva il lattaio e nel suo caseificio si producevano taleggio, burro e mascarpone; Angelo era agricoltore e Tino macellaio. Uberti privilegiava anche l’emmental. Sia Galli che Uberti cedettero il numero dei rispettivi clienti alla rinomata ditta Locatelli, che a propria volta vendette poi, beni e conferenti, alla industria della Nestlè.Ma il signor Giulio rimpiange anche altri aspetti, più intimi, della vita sociale di Postino: «Una volta - bofonchia, lisciandosi le punte di baffoni che sembrano voler prendere direzioni a proprio piacimento - c’era il piacere di incontrarsi, di stare insieme anche a ciarlare, e c’era sempre qualcuno che la sparava più grossa di un altro: metà delle cose che si raccontavano potevano non essere vere, ma si narravano eventi della vita, si ripercorrevano le tappe dell’esistenza, quella degli uomini, della gente del posto; oggi più che parlare di divertimenti, di ciò che si mangia, al limite di sport, quello che si vede alla tv, non si fa. È un altro mondo. E certo non è più il mio». Sto attentissimo quando Giulio parla, perchè ha un accento non usuale, alcune parole mi sfuggono: «Qui si parla il dialetto delle lumache. Conosce il detto che ogni paese ha la sua lumaca? Ecco, oltre alla sua chiocciola, ogni realtà ha il suo dialetto! Quello di Postino è infarcito di inflessioni lodigiane, cremasche e bergamasche: qui la gente arrivava da ogni dove, gli piaceva il posto, e si fermava...».

Un genitore di valore Non si sa chi di questo ceppo dei Raimondi Cominesi mise per primo solide radici a Postino. Giulio ricorda il suo omonimo nonno, anch’egli piccolo coltivatore diretto, ma è un accenno labile. Forte e romantica, invece, la figura del padre: si chiamava Francesco, ed era nato il 28 febbraio 1907. Egli era un agricoltore di animo pacato: gestiva insieme al fratello Carlo una stalla di ventuno bovine, in via Garibaldi al civico 47, praticamente in centro al paese. Francesco Raimondi Cominesi aveva alcuni valori fondamentali: intanto, non arrecare mai pregiudizi al prossimo, cercando, anche laddove c’erano le apparenze di un torto subito in prima persona, di capire le ragioni degli altri. Amava il proprio lavoro, e da tutti gli erano riconosciuti competenza, onestà e dedizione. Il signor Francesco era un uomo che amava trascorrere il tempo libero con la propria famiglia, composta dalla signora Livia e dai figli Teresina, Giulio e Orsolina. La signora Livia era anch’ella di Postino, e anch’ella faceva Raimondi Cominesi di cognome, senza essere legata al marito però da vincoli di precedente parentela, e con l’unica differenza dal coniuge di possedere un carattere più aspro e severo.I genitori della signora Livia gestivano una tabaccheria in paese: un vero luogo di ritrovo per gli avventori, tanto che sotto al bancone si teneva sempre un fiasco di vino, e nel tardo pomeriggio, quando la saracinesca si abbassava a metà, come ad indicare che avrebbe chiuso a breve, il locale si trasformava se non in una vera osteria, in un luogo dove, fra amici, si poteva bere un bicchierino.

Enel addioDei figli di Francesco e Livia, fu proprio Giulio, testimone di questa pagina, a proseguire nell’azienda agricola. In realtà aveva avuto una diversa opportunità: era stato assunto dall’Enel, un impiego sicuro, che lo avrebbe messo al riparo dalle tribolazioni dei profitti agricoli. Ma l’idea di lavorare in ufficio gli toglieva l’aria; e, dopo soli tre giorni di lavoro, all’Enel non lo vide più nessuno… Così, disse al padre che avrebbe voluto fare l’agricoltore come lui. Il buon Francesco lo squadrò e gli pose una sola domanda: sei sicuro? Il figlio annuì con la testa. Allora il padre, gli chiese ancora: ti sei reso conto, vedendomi lavorare, quanto sia pesante questo impegno, vero? Ancora una volta Giulio annuì, rassicurando il genitore che non lo avrebbe deluso. D’altra parte conosceva bene le attività agricole, per avere dato costantemente una mano durante le estati, quando era ancora bambino, nelle pause della scuola. Nel 1963, a causa di una malattia ai reni, il signor Francesco Raimondi Cominesi morì, e Giulio, che a quell’epoca doveva ancora compiere ventitré anni, si sganciò dallo zio Carlo, e prese autonomamente a condurre la propria azienda agricola.Nel 1968 Giulio sposò la signora Giuliana Gandelli di Bagnolo Cremasco; lei è una donna d’altri tempi, molto romantica: e accenna al fatto che con il marito è stata fidanzata per dieci anni e sono stati già festeggiati i quarantaquattro anni di nozze; Giulio, magistralmente, borbotta sornione: «...Che carriera!». La coppia ha avuto tre figli: Francesco, oggi con il padre titolare dell’azienda, Claudia e Alessandra.

Dall’antipatia all’amoreLa signora Giuliana da ragazza frequentava già Postino, e lavorava proprio nella campagna dove i Raimondi Cominesi costruirono la loro nuova stalla; in quel tempo della sua gioventù, ella era addetta alla raccolta dei sassi sui campi. Si trattava di un compito delicato e importante: prima della falciatura era necessario ripulire i terreni da ogni ingombro, soprattutto dai sassi, altrimenti quegli arnesi dopo due falci sarebbero stati inservibili. Quel periodo era affollato di presenze femminili sui campi: c’erano le mondine, chi zappava l’erba che s’aggrovigliava al granturco, chi spannocchiava direttamente sui campi o sull’aia.Ma l’incontro tra Giuliana e Giulio fu del tutto casuale, svincolato da legami agricoli, e la signora, quel giovanotto esuberante e smaliziato, inizialmente non lo trovò affatto simpatico. È arcinoto, tuttavia, come ostilità e amore, inizialmente, viaggino sullo stesso binario. Infatti, il corteggiamento di Giulio andò quasi immediatamente a buon fine.Per i Raimondi Cominesi quello era un tempo di cambiamenti: agli inizi degli anni Settanta, Giulio aveva acquistato un campo dal signor Rovida, e aveva cominciato ad impiantarvi due silos, di quelli cremaschi. Infatti, l’inventore di queste strutture era stato un tecnico specializzato in costruzioni agricole, il dottore Franco Samarani, che nei primi decenni del Novecento aveva lavorato presso la Stazione di Caseificio di Lodi. Grazie ai suoi studi e agli approfondimenti sulle tecniche inglesi, americane e tedesche, Samarani era stato in grado di sollevare gli agricoltori da una persistente loro angustia, cioè quella della conservazione dei foraggi per il nutrimento delle bovine; ed aveva individuato nei silos, per la chiusura ermetica dei coperchi, utile ad eliminare i rischi di fermentazione dei raccolti, una soluzione vincente. La Stazione di Batteriologia Agraria di Crema divenne, proprio grazie a Samarani e ai suoi collaboratori, un punto di riferimento per l’intero territorio nazionale, e i silos cremaschi furono richiesti anche dall’estero.

Un impegno gravosoCosì la nuova corte nasceva sotto i migliori auspici, malgrado l’addensamento di un cupo ed imprevisto nuvolone alleggiasse sopra alla testa dei Raimondi Cominesi: infatti, per avviare i lavori di costruzione Giulio aveva chiesto un prestito ad un istituto di credito pari a centodieci milioni delle vecchie lire, e si era trovato a sottoscrivere un impegno di restituzione di 290 milioni. Da non chiuderci occhio durante le notti. Tanto che, con buona pace delle proprie aspirazioni, stava pensando di rinunziare a tutto, e di rimanere nella piccola corte di via Garibaldi.Ma quelli, per fortuna, erano altri tempi: il latte veniva venduto a buon prezzo, e il mercato agricolo era generalmente rigoglioso. I Raimondi Cominesi raccolsero la sfida e riuscirono a fare fronte agli impegni economici.C’era da attribuire la denominazione alla nuova corte e in questo caso furono le circostanze a fornire un suggerimento: un giorno, Giulio lavorava su un campo quando vide che un trattore e il suo rimorchio, sfuggiti alla guida del conducente, gli stavano rovinando addosso; in quell’attimo Giulio comprese che, finendovi sotto, non avrebbe avuto alcuna possibilità di salvezza; d’istinto, con un colpo di reni, si gettò a fianco di una cappellina che custodiva l’immagine della Madonna con i propri cari, e durante quel balzo ebbe il tempo non di pregare, ma di avere una precisa illuminazione: se avesse trovato scampo alla morte, la sua nuova cascina sarebbe stata intitolata alla Sacra Famiglia. E così, per fortuna, avvenne.

Padre e figlioNella conduzione dell’azienda, Giulio è affiancato dal figlio Francesco, anch’egli titolare dell’azienda agricola. È un uomo solido, con le idee chiare: dal padre ha imparato la lezione di sapere anticipare i problemi, di cercare di avere sempre la vista lunga, gestendo la quotidianità con un pensiero rivolto anche al futuro. Francesco è versatile sul lavoro, anche se privilegia le attività di stalla, che rappresentano la maggiore opportunità di reddito nel proprio sistema d’impresa. I Raimondi Cominesi hanno cercato di avere bovine d’eccellenza, rafforzando costantemente la linea genetica degli animali. Oggi il latte, prodotto da una novantina di vacche, viene conferito al caseificio San Giovanni di Pandino, che aderisce al “Consorzio salva cremasco”, specializzata nel quartirolo dop e nei formaggi molli come burro, brie e crescenza.Sull’aia della cascina Sacra Famiglia, appartata dietro l’agglomerato di Postino, razzola una chioccia con la sua dozzina di piccolissimi pulcini. Al mio stupore, patron Giulio Raimondi Cominesi mi mostra altre chiocce e decine e decine di minuscoli pennuti: Giulio sorride largo, felice della natura, della vita, e del suo mondo, in parte perduto, ma sempre luminosissimo e ben in vista dentro al proprio cuore.

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