La corte dove il mais sposa il basilico

La scelta innovativa dei Perotti alla cascina Arioli I di San Rocco

Un essiccatoio mobile rapisce ogni mia attenzione; osservo la granella di mais scendere a precipizio dentro il gigantesco contenitore e penso che i cicli della natura svelino, in qualche modo, il segreto dell’esistenza: tutto è un continuo fluire. Prima si è provveduto a spannocchiare con la mietitrebbia, e ora celermente, per evitare la fermentazione, si ripone la granella verde all’interno dell’essiccatoio; il volume stipato può essere di 120 quintali. All’interno dell’essiccatoio, vi è un bruciatore a gasolio, e la granella sarà riscaldata per quattro ore di fila; quindi si procederà al raffreddamento per un’ora; successivamente la granella sarà posta su un carro e portata in magazzino: lì potrà essere conservata per un anno, volendo anche di più, ma a quel punto occorrerebbe sottoporla a trattamento, soprattutto per evitare l’assalto di un pestifero coleottero. Questo animaletto è conosciuto come “müsgus”, ma ovviamente non è il suo vero nome; la sua azione è estremamente nociva: divora la farina e lascia soltanto l’involucro esterno della crusca.

I POLLI

Ad appassionarmi alle vicende del mais e del suo acerrimo nemico è Stefano Perotti, agricoltore di San Rocco al Porto, proprietario dell’azienda agricola sita nella cascina Arioli I. È un piacere conversare con lui perché ha una dote straordinaria: è sempre di buon umore. Qualunque suo racconto è condito da allegria, risate, sogghigni, battute, tutte estemporanee, ma attraverso le quali si colgono le radici del buon senso e della concretezza.Tutti i Perotti sono così: simpatici e concreti. Così come erano pure i loro avi, che alle avversità della vita, molti anni fa, avevano risposto con grandissima dignità e con la capacità di fare buon viso a cattiva sorte.Era infatti accaduto che il capostipite, salariato alla cascina Fittarezza di Somaglia, si fosse ammalato di polmonite rimettendoci la vita. La vedova si era trovata così da sola a crescere i suoi quattro figlioli. Lei si chiamava Teresita Geografici: era originaria di Piacenza, ed il cognome le era stato dato dall’Orfanotrofio della città, che l’aveva accolta quando era piccina. Teresita svolgeva il lavoro di pollivendola e tante persone preferivano comperare da lei polli e uova perché sapevano così di aiutare questa famiglia così sfortunata.A quell’epoca i Perotti vivevano a Guardamiglio. I quattro figli cominciarono a lavorare molto presto: il primogenito, Enrico, prese ad aiutare la madre; Luigi imparò il mestiere di ciabattino; Giuseppe andò a lavorare come muratore, e l’ultimogenito, Ernesto, divenne anch’egli pollivendolo.

UN GROSSO IMPEGNO

Agli inizi degli anni Venti i fratelli Perotti si trovarono davanti ad una grande opportunità: a San Rocco al Porto si stava procedendo alla vendita della cascina Cantarana, e loro misero mano a tutti i risparmi per aggiudicarsi quella corte. Fu allora che Giuseppe, che era nato nel 1896, decise di lasciare l’impegno edile e di dedicarsi totalmente all’agricoltura.Il primo periodo fu di comprensibile entusiasmo, ma poco dopo subentrò il panico per la crisi economica che aveva investito l’intero Paese, e che aveva avuto come conseguenza la svalutazione della lira ed il deprezzamento di tanti beni. I fratelli Perotti riuscirono, fortunatamente, a mantenere salda l’azienda agricola. Erano tra loro molto uniti e non prendevano mai decisioni se soltanto uno di loro non la pensasse come gli altri. Avevano l’abitudine di pranzare insieme, con le loro famiglie: e la tavolata era interminabile.Alla fine quello che si dedicò totalmente all’impegno agricolo fu proprio Giuseppe; egli era un uomo saggio e risparmiatore: aveva il vezzo del sigaro, che divideva in tre pezzetti: uno per il mattino, uno da fumare dopo pranzo, ed il terzo nel tardo pomeriggio, mentre con la rimanenza riempiva la pipa. Era anche un uomo estremamente religioso: faceva parte di una congregazione laica, e la domenica si svegliava più che mai di buon umore perché quello era il giorno dedicato al Signore ed occorreva allora salutarlo con visibile gioia.Non gli erano, tuttavia, mancate le tribolazioni: era rimasto presto vedovo, ed anche la figlia di soli sei mesi se ne era andata all’altro mondo. Giuseppe Perotti apparve sbandare, ma non disarmò. Qualche tempo dopo conobbe una brava ragazza del suo paese, Santa Fiorani, e si risposò. Dal matrimonio nacquero Ernesto, chiamato Rino, e Teresita.

AGRICOLTORE E FALEGNAME

Il maschio proseguì l’impegno agricolo. In realtà era bravissimo anche nei lavori di falegnameria, tanto che avrebbe potuto optare per questa attività, che tuttavia preferì mantenere solo come hobby.L’avvento di Ernesto pose la famiglia nelle condizioni di allargarsi. Infatti, nel 1960 egli andò come affittuario alla cascina Contesse, sempre a San Rocco al Porto. Un anno prima Ernesto aveva sposato Teresa Vezzulli e sempre nel 1959 era nato il loro primogenito Stefano.Alla cascina Contesse, Ernesto si fermò solo per un triennio: infatti, il proprietario della corte, Fornaroli, che era andato a condurre un’azienda nel Pavese non si era trovato bene in quel territorio, ed era voluto così rientrare a San Rocco al Porto; c’erano rapporti così buoni e di stima tra lui ed Ernesto Perotti che quest’ultimo non se l’era sentita di occupargli l’azienda e così, appreso che si liberava la cascina Arioli I, aveva deciso di trasferirsi.Nel giro di poco più di tre anni Ernesto Perotti e famiglia si erano trovati a condurre tre corti, tanto che i suoi figli erano nati in ciascuna di esse: Stefano alla cascina Cantarana, Maria Giovanna alla cascina Contesse, ed Ortensia alla cascina Arioli I. Le sorelle Perotti sono ambedue insegnanti: la prima alla scuola primaria di San Rocco al Porto, mentre la seconda alla scuola primaria di Fombio.Quando correva il 1963, la cascina Arioli I era del signor Ravera di San Rocco al Porto e veniva condotta dai fratelli Giancarlo e Giuseppe Vezzulli, che erano i cognati di Ernesto Perotti.

NUOVI INVESTIMENTI

Gradualmente Ernesto cominciò ad acquistare qualche appezzamento di terra e nel 1967 la corte. Nel 1974 fu costruita una più moderna casa padronale, a fianco di quella vecchia. E nel 1977 fu realizzata una nuova stalla. Fu così ampliato il numero dei bovini per la produzione di carni sino ad arrivare ad un centinaio di capi.La cascina Arioli I divenne una meta d’obbligo per i più rinomati commercianti; qui era di casa Piero Fogliazza, un piacentino; ma anche con i fratelli Oleotti ed i Fiorani di Guardamiglio si raggiungevano buoni affari. A volte c’erano pure i mediatori che si prendevano la briga di condurre le trattative. Abili nella conduzione di questi affari, a San Rocco al Porto, erano Antonio Zoppi, detto Tugnelu, e Piero Caperdoni, universalmente noto come Capardon.Al buon esito si giungeva dopo estenuanti confronti: quando si profilava l’ipotesi di un accordo il mediatore era abilissimo ad afferrare le mani del venditore e del commerciante, a fargliele stringere, ed a schiaffargli sopra la propria, a suggellare la definitiva intesa. Così quelle trattative erano caratterizzate da grida, recriminazioni, offerte, e soprattutto da un incredibile e frenetico movimento di mani, che si sottraevano, si protendevano, si inseguivano, si acchiappavano, e finalmente si stringevano.

DAI BOVINI AL GRANTURCO

Stefano Perotti cominciò a fare sul serio intorno ai venti anni, ma già da bambino andava tenuto a freno poiché era in grado di mettersi alla guida di un trattore. Egli ha proseguito l’azione di espansione dell’azienda agricola, soprattutto relativamente ai campi: la loro cura diveniva un impegno ormai faticoso, tanto che agli inizi degli anni Novanta si era pensato bene di ridurre considerevolmente i capi di bestiame. Dei bovini Stefano Perotti si è poi liberato definitivamente nel 1998, quando si manifestò negli allevamenti il rischio dell’encefalopatia spongiforme bovina (mucca pazza) che fece crollare il valore degli animali.Da allora l’azienda ha privilegiato le colture: mais, barbabietole, grano. E poi una scelta innovativa: basilico e prezzemolo, prodotti per una prestigiosa ditta di San Rocco al Porto, la Formec Biffi. È stata un’esperienza all’inizio faticosa, ma che adesso sta dando ottimi risultati: quest’anno su 2 ettari di terra sono stati resi 800 quintali di solo basilico, e 190 quintali di prezzemolo. L’obiettivo è quello di prendere a riferimento il pesto ligure, per ottenere un prodotto di altrettanta qualità. La Formec Biffi invia un proprio tecnico per le verifiche opportune sulla cura delle piante e queste collaborazioni hanno dato ottimi risultati.Ad aiutare Stefano Perotti in azienda vi è un ragazzo che mostra di privilegiare il lavoro in agricoltura non solo come sbocco professionale, ma quale reale passione di vita: si tratta di Giuseppe Cavalloni, ventenne di San Rocco al Porto; sta imparando gradualmente, sta comprendendo che per entrare nella mentalità dell’agricoltore occorre avere pazienza, capire le cose, non agire mai d’istinto, sapere interpretare i segni della natura: in questo ha come maestro impareggiabile il suo principale, Stefano Perotti. Ogni richiamo, per la sua esuberanza, equivale ad un monito: ma Giuseppe comincia a distinguere bene le cose, adesso - come mi spiega - sa metterci più testa nei lavori affidatigli; e poi i consigli di Stefano Perotti, sempre così di buon umore, non sono mai rimproveri, ma lezioni di vita, di cui un giorno Giuseppe potrà fare tesoro, e non solo in agricoltura.

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